Enna 29/01/07 – Nelle 281 pagine del programma dell’Unione non vi era (e non vi è) un solo rigo che riguardasse quelli che propagandati come “pacs” ora sono stati tradotti per l’inclito pubblico in “unioni civili”. E non perché tra gli undici (partiti) estensori del programma (un anno, con laboratorio ad hoc) nessuno ci avesse pensato, ma perché ove colà immessi avrebbero alienato la simpatia di una buona fetta di elettorato cattolico e simile nonché la gerarchia religiosa. Ma l’argomento era vero e proprio convitato di pietra, e come tale passata la festa – elezioni – si è subito gabbato il santo (silenzio) con un clamore da non dare pace alla intera compagine governativa. Ministri pronti a dimettersi (ma quando!?) ove il governo portasse in aula problemi del genere, altri, di forze politiche oggi governanti il governo, pronti alla barricate e due signore (Pollastrini e Bindi) chiuse in una stanza con il premier (no, non si pensi male: sarebbe assurdo) a districare la matassa e trovare una soluzione all’italiana digeribile per tutti, e forse anche per santa romana chiesa, l’unica che a chiara voce dice che un cattolico non può mai approvare cose di simil fatta.
Non ha torto e non solo dal suo punto di vista ma anche sul piano lessicale, costituzionale, giuridico italiano ed universale.
Mi spiego. Antefatto: il lemma “matrimonio” viene dal latino matri munus cioè dare compito alla madre (ipotetica) quale una delle componenti dello accordo (che per la Chiesa è non si dimentichi “sacramento”) con il quale si crea una nuova famiglia. Onde persone di sesso diverso che abbiano il compito di procreare con riconoscimento civile religioso. La Costituzione Italiana che – lo ripetono tutti e sempre – fu scritta nel 1947 da persone che appartenevano ad un sacco di partiti e con idee giuridiche e religiose diverse, sancisce allo art.29 che la repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Onde senza matrimonio (poco importa se civile o religioso) non vi è famiglia con tutti gli annessi e connessi. Il Diritto civile italiano contempla lo istituto del matrimonio (civile si intende) come unione tra un uomo ed una donna ufficialmente sancita dinanzi ad un ufficiale dello stato civile.
La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo allo art.16 precisa che “raggiunta l’età nubile” l’uomo e la donna hanno diritto di sposarsi per creare la famiglia che è nucleo fondamentale della società. Punto
E se due persone non vogliono contrarre matrimonio (fatto loro si direbbe) ma vogliono stare assieme?
Nihil obstat-nulla in contrario. Vanno davanti ad un notaro e stipulano un bell’atto (pagando si intende), che appunto perché tale ha valore giuridico.
I “pacsiani” (non dico unionisti perché potrebbe pensarsi stia parlando dei membri dell’unione che ha vinto per un pelo le elezioni) si preoccupano del fatto che nell’ultima ipotesi – meglio evento – le due persone non sono protette dal “welfare” cioè non hanno assistenza sanitaria, pensione di reversibilità e quanto connesso.
Vero. Infatti in Francia ad esempio per i pacs (pacte civil de solidarieté) si tratta di un atto tra due persone stipulato e depositato in Tribunale che da diritto dopo tre anni di convivenza allo utilizzo delle norme del welfare. Ed in Belgio alla “cohabitation legale” (convivenza legale) atto depositato allo stato civile, si applicano per la eredità ed assistenza sociale, gli articoli previsti nel diritto matrimoniale.
In nessuno dei due stati si parla d’altro se non di unione tra due persone di sesso diverso, ma la situazione pare sia tranquilla e tale potrebbe essere anche in Italia se si legiferasse statuendo che due persone ove vogliano convivere al di là dello istituto del matrimonio stipulano un atto (notaro) e lo depositano in tribunale ove sentenza provvederà a dar loro i diritti relativi alla assistenza sociale – welfare – ed alla eredità (inclusa pensione di reversibilità): ma senza parlare di “famiglia” e matrimonio” che sono ben, ma proprio ben, altra cosa.
Insomma se vi è qualcuno che per ragioni proprie (qualcuna rara ma comprensibile) non vuole inguaiarsi con il”matrimonio” e civile e religioso, ma voglia coabitare – è il verbo che più mi piace – lo Stato glielo consenta pure ma essendo chiaro che non debba violare né la costituzione, né la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, né il lessico della nostra lingua, e soprattutto non creare né un’altra chiesa né un altro stato!
I latini dicevano che i “pacta” si basano sulla fiducia e sulla lealtà dei contraendi.
Per cui se non “servata”- rispettati – il contraente violatore era, diremmo in siciliano, un “infame” con tutto ciò che tanta offesa comporta.
Non cerco di evitare che Mastella si senta ancora una volta “conculcato”, ma tento di evitare che gli prenda un colpo (spirito umanitario e perché no caritatevole), sempre che pensi veramente ciò che dice.
grimliondr@libero.it