Leonforte. Si dice che una sagra che si rispetti debba Consacrare, commemorare, solennizzare la qualità dell’oggetto preso in questione, e quindi attuarne una giusta campagna pubblicitaria.
Si dice che una sagra debba soddisfare le aspettative culinarie o sorprendere esse stesse per l’unicità del prodotto offerto.
Ma tutto questo a Leonforte accade? E’ accaduto con la 26° Sagra delle Pesche, e dei prodotti tipici tenutasi nei giorni 6 e 7 ottobre?
Diversi i dubbi insorti fra i forestieri per i quali la sagra avrebbe dovuto definirsi diversamente, data la scarsa rappresentanza della tipica pesca nel sacchetto, e dei suoi derivati come pesche sciroppate, marmellate e succhi di frutta, e la presenza variegata di prodotti di altre province che hanno fra l’altro denotato un certo apprezzamento.
Gli stessi prodotti tipici come fave e olio non erano certo così ingenti fra gli stand.
Solo due a rappresentarli. Alcuni degli stessi rivenditori hanno accusato un mancata politica economica mirante a restituire un certo protagonismo del frutto.
E che dire degli agricoltori, perno centrale della sagra che hanno lasciato per un tempo non certo limitato, gli stand vuoti, lasciando di stucco molti dei clienti abituali(alcuni non si sono neanche presentati).
Diverse le giustificazioni offerte da questi: sbalzi climatici che hanno: o tardato l’arrivo delle pesche, o addirittura anticipato la loro stessa raccolta, e quindi lasciato sforniti i coltivatori che hanno trovato modo di venderli in modalità differenti antecedentemente alla manifestazione.
Lo stesso sindaco Gianni D’Anna ha per lo più attribuito le “carenze” della sagra agli imprevedibili mutamenti climatici che non avrebbero in tutti i casi reso possibile un ridisegno delle date di attuazione della sagra. S’è invece mostrato fiducioso per una sagra che è solo una delle manifestazioni pubblicitarie della pesca che gode indubbiamente di altri metodi di diffusione, e che verrà adesso tutelata dall’istituzione, avvenuta il 19 luglio- di un consorzio I. G. P.: identità geografica protetta, che ne limita la produzione ai soli pescheti di Enna, Assoro, Agira, Calascibetta, oltre che Leonforte, conferendo quindi un riconosciuto marchio di qualità a un prodotto che nonostante conti un nutrito lavoro di giovani peschicoltori, non ha trovato quest’anno come forse anche negli ultimi anni, un giusto riconoscimento da parte del proprio stesso produttore principale.
Sono infatti lontani i tempi in cui Leonforte vantava la massiccia presenza del frutto e dei suoi derivati grazie anche a degli incentivi offerti dal comune agli agricoltori, nelle condizioni quindi di vendere il prodotto a prezzi più modici rispetto ad ora e gratificati perciò, da maggiori richieste.
A penalizzare il tutto ovviamente contribuisce uno scarso interessamento alle tradizioni che sempre più limitate si offrono nelle tavole, non solo in quelle leonfortesi.
pubblicato il 7 ottobre 2007