Enna. Il 2 luglio è il giorno centrale della festa della Patrona, solennizzata, dapprima, con messe in duomo e poi, di pomeriggio, con la processione. Sin dal 2 giugno vengono dedicate in onore della Madonna messe e tridui, con largo intervento di fedeli, non pochi dei quali, specie al mattino per la messa delle 6,30, celebrata in duomo durante il mese di giugno, vengono dalle loro abitazioni a piedi scalzi ed in forma penitenziale.
Questa usanza antichissima viene chiamata in dialetto “u’ priu”, cioè gioia, festa, poiché tutte le campane del duomo suonano a distesa prima della messa. Mentre si svolge la messa mattutina del 2 luglio, a Montesalvo vengono sparate 101 salve di mortaretti. Poi le sacre funzioni si susseguono senza interruzioni.
Alle 10,30 un solenne pontificale celebrato dal vescovo della diocesi di Piazza Armerina (da cui dipende Enna) alla presenza delle maggiori autorità civili e militari locali.
Sulle scale dell’ingresso principale della chiesa, la banda municipale, che ha già percorso le vie principali della città suonando marcette, intona ad intervalli della musica che rispecchia inconfondibilmente quest’aria di festa. Subito dopo l’ultima messa, viene allestito il grande fercolo sul quale verrà portato in processione il simulacro della Madonna.
I confrati di Maria SS. della Visitazione lavorano febbrilmente per montare i “bajardi”, cioè le aste esterne del fercolo, dalla sagoma ovale, in legno stagionato, irrobustite all’interno con ferro e rivestite in pelle. La loro fattura risale al 1891. Caratteristici sono i numeri progressivi stampigliati a fuoco sulla parte laterale dei “bajardi”.
Essi determinano il posto di spalla, cioè lo spazio che viene occupato dai confrati portatori, tramandato da padre in figlio per intere generazioni. I posti numerati sono in tutto 124: da 1 a 100 all’esterno, dal 101al 102 agli anelli esterni e da 113 a 124 nelle traversine interne. Quindi, i portatori dovrebbero essere 50 per lato, 3 per anello esterno e 3 per traversina, ma ogni anno sono sempre di più.
La numerazione è contemplata specificatamente nello statuto originale della confraternita. I posti più impegnativi, che richiedono maggiori sforzi fisici per i portatori, sono i dodici per lato, sotto il cassone della “nave d’oro”. La vestizione del simulacro della Madonna viene completata nel primo pomeriggio, alla presenza di poche persone; infatti le porte esterne del duomo sono chiuse e l’accesso in chiesa è sorvegliato dalla forza pubblica.
La statua della patrona viene a poco a poco ricoperta dai cosiddetti fasciuna, stoffe in panno rosso nelle quali sono cuciti innumerevoli monili d’oro, collari, anelli, orecchini, bracciali, che i fedeli di tutti i tempi hanno donato come ex voto e che ricoprono interamente la Madonna.
Infine, sul capo della statua, viene posta la corona d’oro, inestimabile gioiello di pregiata oreficeria, espressione del raffinato livello artistico dell’artigianato siciliano dell’epoca. Questa fu cesellata nel 1652 dagli orafi palermitani Leonardo Montalbano e Michele Castellani, ed è suddivisa trasversalmente in due sezioni sovrapposte. In quella inferiore sono rappresentati, su equidistanti e artistici medaglioni m smalto decorato, la Natività, l’Adorazione dei Magi, lo Sposalizio di Maria, l’Annunciazione, la Visitazione a S. Elisabetta e la Resurrezione di Gesù.
Nella parte superiore vi sono delle effigi di angeli disposti tutt’intorno. La corona è tempestata di gemme e pietre preziose, tra le quali fanno spicco i rubini, i granati, gli smeraldi ed un’infinità di brillanti che avvolgono come in una nuvoletta lo intero gioiello. Verso le 17 la chiesa viene aperta ai fedeli, che così possono ammirare il grande fercolo della Madonna, in dialetto vara, chiamato “nave d’oro” poiché è finemente laminato in oro zecchino.
La “Nave d’oro” fu intagliata nel 1590 dallo scultore Scipione di Guido che dipinse anche la struttura portante centrale con degli splendidi colori dai contrasti policromi. Nel 1600 la “vara” fu ulteriormente restaurata ed in un primo momento la si voleva rifare in argento, tanto che fu fatto venire da Palermo un argentiere, tale Michelangelo Merendino, il quale realizzò il primo angelo.
Poiché la “Maramma” non era rimasta soddisfatta di tale fattura, l’argentiere Sebastiano Lancello, anch’egli palermitano, eseguì un secondo angelo in argento, nel 1667. La evidente diversità fra i due angeli dissuase gli amministratori dei beni del duomo a proseguire con questo genere di lavoro. Solamente nel 1732 il fercolo ebbe un restauro più sistematico, che fu affidato all’intagliatore Paolo Gu glielmaci e all’indoratore Gregario Grimaldi. Infine, nel 1957, il maestro Fedele di Catania restaurò ancora una volta la “nave d’oro”.
La vara della Madonna ha una forma rettangolare; per ciascuno dei due lati maggiori vi sono tre grandi angeli dalle ali spiegate che sorreggono, a guisa di cariatidi, due semiarchi, posti su un capitello in stile ionico retto dalla loro testa, che congiungono il tetto. Questo è smaltato all’interno in celeste, mentre all’esterno è laminato in oro. Dall’alto dei semiarchi laterali, e dagli archi anteriore e posteriore, pendono artistici festoni e pennacchi. Il tetto esterno è sormontato da una edicola esagonale finestrata sulla quale c’è Gesù risorto che regge un piccolo stendardo. Sulla sommità degli archi e dei semiarchi sono posti degli angioletti che suonano vari strumenti musicali.
Al centro del tetto interno vi è come una grande stella dai raggi marcati e da essa si proietta verso il basso l’effige di Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo, che sembrano adagiati su una nuvoletta in rilievo d’oro zecchino. Nelle navate laterali della chiesa vi sono i simulacri di S. Giuseppe e S. Michele che precederanno nella processione la “nave d’oro”.
Intanto cominciano ad arrivare i primi “Nudi”. Alle 19 la grande processione comincia a muovere dalla chiesa madre. Apre la sfilata un grandioso stendardo sorretto da abili uomini che compiono caratteristiche evoluzioni, degne dei più famosi equilibristi. Infatti, riescono a percorrere diverse decine di metri, poggiando l’estremità inferiore dello stendardo sulle punte delle dita o sulla fronte, oppure addiritura sul naso. Moltissimi sono i bambini con l’abito della prima comunione, seguiti da gruppi di donne che compiono il consueto viaggio a piedi scalzi, per penitenza. Le confraternite della città sono rappresentate con le bandiere : i confrati indossano gli antichi costumi spagnoli, con le mantellette multicolori e i cappucci a visiera alzata.
L’ordine delle precedenze è uguale a quello della processione del Venerdì Santo; non partecipa la rappresentanza dell’arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio, che interviene solamente alle processioni della Settimana Santa, mentre la bandiera della confraternita di Maria SS. della Visitazione precede la “nave d’oro”. Alle confraternite seguono i simulacri di S. Michele Arcangelo e S. Giuseppe, portati a spalla dai giovani confrati di Maria SS. della Visitazione, che compiono il noviziato, aspirando di portare negli anni successivi la vara del la Patrona.
La grande insegna dello Spirito Santo, sorretta dal rettore di questa confraternita, è interposta fra le statue dei due santi. Non appena questa parte di processione ha iniziato a sfilare dalla chiesa madre, è la volta della “nave d’oro”, cui, prima di muovere dalla navata centrale, vengono tributate acclamazioni dai “Nudi” che recitano in ginocchio una breve preghiera, seguiti da invocazioni dialettali che terminano con il corale “Viva Mari”.
Mentre la vara si affaccia sul portale centrale del duo-mo, nella adiacente piazza Mazzini vengono sparate assordanti salve di mortaio che sembrano un autentico bombardamento, fragoroso e prolungato, tra lo stormire a festa di tutte le campane delle chiese cittadine, quasi ad esprimere un saluto alla Patrona, all’inizio della sua processione. Allo sventolio dei fazzoletti bianchi che i portatori del la “nave d’oro” tengono in mano, un po’ per asciugare i copiosi sudori che da lì a poco verseranno, un po’ per avvolgere le rudi corde che legano ai “bajardi” per consentire una presa più sicura, la processione muove dalle scale del duomo.
La via Roma, separata da due grandi ali di folla reverente al passaggio della processione, è sfarzosamente illuminata da archi di lampade multicolori, che congiungono la parte alta dei palazzi. I confrati portatori procedono a piedi nudi e vederli nel loro incedere stentato e sbilenco a causa delle diverse stature, sotto il gravoso peso della vara, infonde un senso di commozione.
Infatti i posti numerati, essendo stati assegnati tanti secoli fa ai loro antenati e poi tramandati per decine di ge-nerazioni, non permettono ai portatori di disporsi secondo un graduale ordine di altezza, per cui capita che due confrati di statura inferiore alla media siano collocati allato ad un confrate più alto e viceversa.
I portatori indossano i caratteristici camici a sacco, formati dalla vistina legata alla vita e dalla cammisa a guisa di casacca, i cui bordi inferiori e superiori sono ornati con pregevoli ricami e merletti confezionati al tombolo o all’uncinetto. Sulla spalla esterna, dove non poggia il “bajardo”, c’è una sorta di grande fazzoletto triangolare di colore celeste, annodato sotto l’ascella opposta e uno stretto scapolare di nastro, anch’esso celeste, che termina con un’effige rettangolare dal bordo a frangetta dorata, su cui è ricama to il monogramma di Maria tra i fiori e ramoscelli.
Il rettore della confraternita di Maria SS. della Visitazione precede la “nave d’oro” insieme ai componenti del consiglio di amministrazione. Anch’essi sono a piedi scalzi ed indossano la mantelletta di raso celeste recante a sinistra l’effige ricamata dalla Patrona. Quando viene appiccato il fuoco alle micce dei mortaretti, la “nave” viene fermata e non riprende il suo percorso se prima non si ode l’inconfondibile ultima esplosione, la più fragorosa, chiamata “’a botta du masciu”.
Attraversata la via Roma si giunge in via Mercato, dove la processione si immette in un angusto budello, in cui riesce a passare a malapena la “nave d’oro”. Questa, addirittura, viene tolta di spalla e portata dai “Nudi” quasi raso terra, sorretta dalle corde saldamente ancorate ai “bajardi”. E’ una discesa snervante e sfiancante, e al tempo stesso la più spettacolare. Questa via, chiamata “’a calata da Abbatiedda”, è lastricata con basole levigate di pietra lavica e spesso i piedi scalzi dei portatori vi scivolano. Un breve tratto percorso lentamente ed ecco uno dei punti più difficili : la curva che immette nel cosiddetto “chianu de’ prucini”. La via Mercato raggruppa in un unico quartiere diverse piccole frazioni contigue che vengono indicate con antichi toponimi. Oltre alle già cennate “Abbatiedda” e “chianu de’ prucini”, esistono tutt’oggi le denominazioni originarie di questi luoghi.
La prima è la cosiddetta “Mola”, dove anticamente esisteva il maggiore mulino di Castrogiovanni, che si affaccia sulla sottostante via Passione; poi c’è la zona di S. Matteo, occupata nel secolo XVI dagli esuli di Fundrò, Gatta e Rossomanno, che, avendo appoggiato nelle lotte feudali contro re Martino I le famiglie Scabro degli Uberti, Ventimiglia e Chiaramonte, ebbero confiscate le loro terre di origine. Infine il famoso “passu da Madonna” che s’innesta immediatamente dopo con “’a purtedda du Rizzu”: il punto cruciale e più impegnativo, dove spesso le forze dei portatori cominciano a venir meno. Pochi strattoni decisi e una rincorsa per via Montesalvo.
Ultima curva importante, quella situata nel “chianu di S. Vastianu”, che immette nell’ultima salita che conduce direttamente a Montesalvo, nella cui chiesa si conclude la processione. Le ultime centinaia di metri che separano il tratto di strada dall’agognata meta sono le più tormentate e vengono percorse dai portatori un po’ di corsa, un po’ arrancando a malapena, tanta è la stanchezza degli uomini. Nei loro volti si legge inconfondibilmente la fatica, il dolore fisico, la prostrazione: maschere di sudore, con gli occhi arrossati e l’espressione sconvolta, emergono allineate l’una dopo l’altra.
Piazza Europa e la zona adiacente il mercato ortofrutticolo sono stracolme di persone : pare che tutta la popolazione si sia assiepata qui per vedere passare la vara della Madonna. Mentre il sole tramonta all’orizzonte e solo pochi metri separano dalla chiesa di Montesalvo, l’immensa folla sembra aprirsi attorno alla vara. Giunti sulla sommità di Montesalvo, la “nave” viene girata ed entrata in chiesa, come in retromarcia. I fedeli, anch’essi scalzi, che hanno seguito la processione, si riversano attorno alla cancellata della chiesa, che viene chiusa in fretta.
Un’ultima acclamazione dei “Nudi” saluta l’ingresso della Madonna, che intanto viene issata sull’altare maggiore, spoglia degli ori e del prezioso mantello. Ai portatori, stremati e senza fiato, irriconoscibili con le divise intrise di sudore, scolorite e talvolta strappate, vengono offerti vino e mastazzola, sul cui dorso è impresso il monogramma “W M”, cioè “Viva Maria”.
I mastazzola sono caratteristici biscotti duri, di forma slargata, impastati con il miele e il loro peso è di circa 250 grammi; inoltre viene utilizzata una speciale farina (majorca), pregiata qualità, molto nota nelle zone della Sicilia centrale. Anche ai partecipanti delle “Cerealia” venivano distribuiti dolci votivi simili ai mastazzola, perché a base di farina e miele di favo. Con l’ultima fragorosa e assordante “botta du maschi” hanno fine le manifestazioni folcloriche che hanno solennizzato la festa della Patrona.
Rino Realmuto, giornalista professionista. Dal Giornale di Sicilia è passato alla sede regionale Rai per la Sicilia, occupandosi di problematiche sociali con servizi e inchieste per i telegiornali.