Non occorre scomodare, per una breve prefazione ad un volumetto di poesie d’un giovane, che forse poeta è nato, ma può darsi che non colga mai la corona, altisonanti concetti, o citazioni d’uomini illustri (facili a trovare anche compendiate in prontuari). Basta rifarsi agli stessi scritti poetici di Michele Sabatino, qui raccolti – mi pare – più per sfidare sé stesso, e come per fissare un’età della sua vita e ritrovarsi, che per coscienza di raggiunta maturità.
Le poesie della presente raccolta, composte nello spazio di più di dieci anni, ed ora limate, rilucidate e poste in forma più compiuta, dicono quel che dicono tutte le poesie: il bisogno del «poeta» di trasporre la realtà d’un attimo nelle forme della letteratura, e perciò rendere plastiche e comunicabili ad altri le proprie esperienze più umane, più spirituali e più liberatorie.
Così come lo sculture agisce con lo scalpello, o il pittore con il pennello. Lo sfondo geografico è molto poco la Sicilia del Sabatino, e lo spazio temporale è molto più che i ventisei anni dell’Autore. Il variare tematico e cronologico dei componimenti copre – con slanci tipicamente utopistici giovanili, e perciò più veri – l’Europa intera, che le letture mazziniane dello studente di Scienze Politiche rendono unitaria più di quanto sia in realtà; ma naturalmente è l’Europa di un siciliano, e si sente ad ogni verso «politico».
E’ l’obbligato orizzonte di uno sperato «riscatto», o se si vuole l’anelito e quasi il grido per una liberazione da secoli di provincialismo o isolazionismo in cui fu tenuta (speriamo si possa parlare al passato) la terra di Sicilia. Anelito civile, passione umana di impegno, bisogno d’amore e intrecci dì sentimenti di gioventù forgiano i canti, ora più pudichi, ora più pubblici delle poesie.
Il tempo non scorre nei versi del Sabatino, oppure è apparente, perché il passato ed il futuro sono ricondotti ad un pregnante presente, in cui l’Autore sempre riconsidera eventi e sentimenti. Chi legga con attenzione e partecipazione i componimenti, s’accorgerà alla fine che non si è mosso dal presente: tutte le tempeste e le estasi dell’animo del «poeta» riportano al momento in cui scrive, in cui fissa, elaborandolo, il proprio animo.
Non saprei dire se le poesie della raccolta abbiano una matrice letteraria precisa, o si possano ricondurre ad una «scuola»; e in fin dei conti mi parrebbe fatica sprecata ricercarlo. Certo è che ognuno di questi canti giovanili, anche nel¬l’inconsapevolezza dell’Autore, gira intorno al colle o alla torre di leopardiana memoria, nel bisogno eterno, d’ogni uomo che abbia coscienza di spirito, di scrutare «oltre la siepe» (nel nostro caso oltre l’isola, oltre il mare, oltre l’Italia stessa), ossia di penetrare – si direbbe seguendo il genio di Agostino d’Ippona, se il paragone non fosse quasi blasfemo – nelle più profonde intimità dell’animo. Questo fa Michele Sabatino.
E non è da dire che non raggiunga una statura poetica, a me pare, rispettabile, se non notevole. Altri giudichi meglio di me. Lo vorrei soltanto consigliare al lettore i bei versi «Di se stesso», con chiare reminiscenze letterarie, forse di scuola, elaborate però in maniera personale, che non sono certamente mediocri. Ognuno poi gradirà quel che più gli piace, e avrà modo qui di scegliere, per sentirsi (anche se non anagrafìcamente) siciliano, europeo, innamorato (nel senso più ampio del termine), entusiasta, deluso, giovane o vecchio, insomma per leggere, anzi rileggere in una superiore trasposizione poetica, la propria vita, o il proprio animo, a confronto con quello del «poeta».
E abbiamo posto le virgolette alla parola poeta, non certo per censura al Sabatino, ma per il troppo rispetto e quasi riverenza che la parola evoca in noi. Forse, oltre tutto, poesia è anche il coraggio, in tempi di cieco consumismo degli affetti, di volare alti sopra la mediocrità, ed esporsi al riso degli sciocchi con la vista penetrante e serena dell’artista. Roma, 30 settembre 1994
Giovanni Castaldo
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