Cronachetta siciliana dell’estate 1943 di Nino Savarese.
Singolari pagine memoriali di dolente meditazione, diario di un intellettuale raffinato che sa trasformare in “piccolo teatro del mondo” gli angusti confini di una provincia contadina dove la sofferenza, la miseria, il dolore, la violenza, la sopraffazione, gli stenti secolari del vivere quotidiano, esaltati e messi a nudo dalla guerra che arriva dopo secoli e trascorre come una ventata di bufera, assurgono a simbolo e ad emblema di una condizione umana universale.
Savarese scrisse Cronachetta siciliana … nel 1944 ed è un resoconto del repertorio umano che si misura con la presenza tragica della guerra. Ne viene fuori un ritratto dell’animo umano e dei comportamenti della gente del nostro paese nel periodo dei bombardamenti alleati. Se con la guerra tutte le regole e le consuetudini sociali vengono stravolte e sovvertite dall’istinto di sopravvivenza, tuttavia alcuni continuano ad avere comportamenti usuali o addirittura ancora più rimarcati.
Così a pagina 51 del testo è descritta questa scena di vita reale: “I miei vicini, com’era da aspettarsi, non si comportano tutti allo stesso modo di fronte al pericolo. Alcuni lasciano andare le donne e i ragazzi al torrente, ma essi non si allontanano dalle case e dai loro animali. Altri badano a fare vantaggiosi baratti coi soldati tedeschi e italiani: vino, uova ed anche pane fresco, scatole di carne, giubbe di tela e anche (insperata fortuna) qualche paio di scarpe nuove. I paurosi cercano docilmente la compagnia degli altri, i duri di nervi si confermano nel loro silenzio, altri, combattuti tra la paura e l’interesse, si allontanano solo quando si sentono gli aeroplani sul capo. I primi allentano a mano a mano la sorveglianza dei loro campi, i secondi la rafforzano”. L’altra opera L’altipiano fu scritta nel 1915 ed è una descrizione contemplativa in cinque capitoli (il cammino, la sosta, le donne, l’ebbrezza, la casa) dello stato d’animo dello scrittore ambientata in chiave autobiografica nella Castrogiovanni degli inizi del 1900. Le Operette sono una descrizione di elementi naturali e di scene di vita quotidiana scritte nel 1933.
Nino Savarese (ritratto da Guttuso) nato ad Enna, allora Castrogiovanni, l’11 settembre 1882, è uno di quei figli di una terra ingrata, cui rimase profondamente legato anche quando fu costretto, come tanti ennesi prima e dopo di lui, a quella diaspora di cervelli che nei decenni ha sempre impoverito le risorse culturali di questa città. Narratore e saggista fu influenzato da un clima culturale che mirava a rinnovare la cultura italiana, reagendo al positivismo in filosofia e al dannunzianesimo in letteratura. Figlio di Antonino, commerciante di tessuti, e Teresa Paladino, insieme ai suoi cinque fratelli (Vincenzo, Federico, Raffaele, Salvatore e Maria) visse la sua fanciullezza tra il podere di San Benedetto e la città di Enna. Pur dimostrando una grande intelligenza e sensibilità d’animo, manifestò ben presto una certa insofferenza per gli studi regolari che destò non poche preoccupazioni in famiglia. Il suo interesse era tutto rivolto alle piccole rappresentazioni teatrali che organizzava in casa con i coetanei, dimostrando tanta abilità da suscitare ammirazione anche tra gli adulti. Altra grande passione della sua vita fu l’amore per la campagna, in particolare per San Benedetto, luogo dove si rifugiava ogni qual volta marinava la scuola.
La morte della madre causò una scissione all’interno della famiglia: Vincenzo, inizialmente seguito anche da Raffaele, si trasferì a Palermo, dove divenne direttore della fabbrica di mobili Ducrot. Resteranno ad Enna Salvatore, che continua l’attività del padre, e Maria.
Finito il ginnasio, Nino s’iscrisse alla scuola inferiore di agraria a Caltagirone, che terminò anzitempo per ritornare ad Enna, luogo in cui poteva dedicarsi meglio alla lettura, suo passatempo preferito, ed alla redazione delle sue prime novelle.
Tra il 1905 e il 1908, assolto l’obbligo militare, si trasferì anch’egli a Palermo dove frequentò il liceo. Il fratello Vincenzo tentò di farlo lavorare nella fabbrica di mobili che dirige ma ben presto dovette rinunciare ai suoi buoni propositi: fu proprio durante un viaggio di lavoro a Mazzarino, commissionatogli dal fratello, che Nino scrisse il suo primo dramma in dialetto siciliano “Massaru riccu”, poi portato sulle scene da Giovanni Grasso. Correva l’anno 1909 e lo scrittore decise di interrompere gli studi liceali per trasferirsi a Roma, assecondando la sua sete di cultura, il riacutizzarsi delle sua ambizioni di scrittore ed il bisogno sempre più pressante di vivere lontano dalla famiglia da cui non si era mai sentito compreso.
Tra il 1909 e il 1915 Savarese visse la sua prima esperienza romana, interrotta da continui ritorni ad Enna, dovuti a problemi finanziari. Durante uno di questi, e precisamente nel 1911, incontra Maria Savoca, sua futura moglie, discendente da una delle famiglie più ricche della borghesia commerciale siciliana. Una relazione funestata sin dagli inizi dal disaccordo della famiglia di lei, che non vide mai di buon occhio quello scrittore squattrinato e senza futuro. I due dovettero vivere separati per molti anni, fino a quando nel 1931 decisero di fuggire e sposarsi all’insaputa di tutti. Risale proprio alle sue nozze il regalo che Guttuso fece all’amico Savarese: un ritratto, oggi custodito nella biblioteca comunale di Enna. Scelsero Roma come loro dimora, dove, grazie alle risorse economiche di Maria, affittarono un appartamento, che d’estate alternarono con la quiete della villetta costruita nelle campagne ennesi di San Benedetto. Altra passione dello scrittore furono gli animali: i gatti innanzitutto, che gli suggerirono lo spunto per la redazione del libro “Gatteria” del 1929, e gli uccelli, tra i quali soprattutto i rapaci accuratamente addestrati, come la miglior tradizione federiciana forse inconsapevolmente gli suggeriva.
Nel 1927 esce ad Enna il primo numero del periodico “Lunario Siciliano” fondato insieme all’amico Francesco Lanza ed a cui collaborarono autorevoli firme dell’epoca quali Aurelio Navarria, Arcangelo Blandini, Emilio Cecchi, Telesio Interlandi. Nelle intenzioni dei due creatori, il periodico mensile doveva riflettere l’ordine delle fasi lunari e ad oggi rappresenta una vivace testimonianza del modo in cui essi intendevano l’isola, luogo morale e necessità culturale. Nonostante l’ottimo avvio, a causa di problemi di natura economica, la sede del periodico venne trasferita a Roma nel 1928: iniziò così la seconda fase del periodico che si protrasse fino al 1929 e vide la collaborazione dei più grandi nomi della letteratura italiana dell’epoca, quali quelli di Giuseppe Ungaretti, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Silvio D’Amico. Dopo una sospensione di due anni, le pubblicazioni vennero riprese nel 1931 ma a Messina e solo per tre numeri. Sulla scia di questo periodico, nel 1941 Savarese propose “Il Lunario del contadino siciliano”.
Va ricordato anche il contributo che l’autore diede al cinema: risale al 1940 la visita a casa sua del regista Giacomo Pozzi Bellini, il quale, incaricato dalla Lumen Veritas S.A., intendeva realizzare un film sull’opera di frazionamento del latifondo, l’appoderamento e la creazione di borghi o centri rurali di servizi pubblici che il regime aveva avviato in tutta l’isola. Il testo intitolato “Motivi per un film sulla Sicilia di ieri e di oggi” costituisce la testimonianza del lavoro svolto da Savarese per questo soggetto cinematografico ed in cui sono evidenti i primi segni della sua posizione nettamente antifascista, che si evince dalla descrizione della povertà e del dramma sociale dei contadini siciliani e della loro diffidenza innata nei confronti dello stato. Il soggetto “Giornate di Lavoro” consegnato alla Lumen non poté che lasciare insoddisfatti i rappresentanti della casa cinematografica, che mascherarono dietro ad esigenze tecniche e pratiche la disapprovazione dei dirigenti fascisti, rimasti delusi nelle loro aspettative di leggere nel testo una sorta di propaganda del regime.
Nella “Ricerca di un’ombra” del 1942 pubblicato per Sansoni, Savarese si ritemprò dalle amarezze derivanti dalla mancata realizzazione del film rifugiandosi nella quiete di Enna. Nel 1943 l’avanzata delle truppe anglo americane gli impedì di rientrare a Roma. Questa forzata clausura, insieme alle agitazioni derivanti dal separatismo isolano furono i motivi all’origine dell’articolo “Separatismo e inserzionismo”, pubblicato sul “Solco” di Enna nel 1944 e che ritrae il problema della Sicilia e del Mezzogiorno in quel particolare momento. Nel 1944 pubblicò per Sandron “Cronachetta Siciliana”, un’efficace rappresentazione di tutte le sue angosce, i tormenti, la rabbia di quegli anni.
Risalgono a quel periodo le sue migliori sperimentazioni in ambito teatrale, come “Il Ratto di Proserpina” e “Il lamento di Prometeo”. Tra tutti spicca il suo dramma in quattro quadri “Il Figlio della Pace”, dove Savarese espresse tutto il suo amore per la campagna, qui insito nel suo rimpianto di un mondo naturale semplice, di una vita sana, di una comunione ideale tra uomo, terra, animale e cielo e la speranza che la riforma agraria potesse dare ad ogni cittadino un podere da coltivare. Ideali che l’autore aveva già espresso precedentemente in “Terre Perdute”, una delle sue “Favole Drammatiche”, pubblicate postume da Enrico Falqui nel 1962, in cui al valore del ritorno alla natura e di un distacco dalla vita di città e dalla scienza, si coniuga la rappresentazione idealistica di una società senza servitù né povertà e che sconosce parole quali «avarizia, invidia o furto» grazie alla generosità di una terra vasta e feconda.
L’8 Gennaio del 1945 Nino Savarese morì a Roma a soli 63 anni per i postumi di una paresi intestinale. Pochi giorni prima aveva lasciato il suo testamento morale tra i versi di “Siamo un fiume lento”, pubblicati nel febbraio successivo nella Nuova Antologia.