sabato , Ottobre 5 2024

Enna: I bombardamenti del luglio 1943

A breve sarà costituito ad Enna un Comitato per l’istituzione del Giorno della Memoria a ricordo delle vittime civili dei bombardamenti aerei delle forze armate alleate del luglio1943. L’iniziativa si deve all’Associazione “Fundrò” presieduta da Giuseppina Giliberto. La decisione è maturata a conclusione della conferenza di Augusto Lucchese, storiografo, saggista, pubblicista e giornalista, tenuta nei giorni scorsi presso il salone del Convento di Montesalvo. L’illustre oratore, ennese di nascita, catanese di adozione, ha intrattenuto l’uditorio, con dovizia di particolari, sugli eventi bellici verificatesi in Enna tra il 9 e il 13 luglio 1943, quando le fortezze volanti americane bombardarono la città, provocando ingenti danni e decine di vittime civili. Nel libro, in corso di pubblicazione, dal titolo “Enna – ricordi di guerra”, vengono ripercorse le ore drammatiche delle incursioni aeree di quei giorni, vissute dall’autore, allora quattordicenne, che  annotò,  giorno per giorno, nelle pagine di un quaderno, gelosamente conservato fino ad oggi.

Augusto Lucchese nasce a Enna ottantadue anni fa, terzogenito di quattro figli, da genitori entrambi insegnanti elementari. Compie gli studi nella città natale, dove si diploma nel 1946. Già a sedici anni è impegnato nel sociale, crea l’associazione Gioventù Italiana di Azione Cattolica “Giosuè Borsi” con sede nella chiesa sconsacrata di Santa Croce in via Sant’Agata, demolita oltre cinquant’anni fa per motivi di viabilità. Fonda il quindicinale “Roccia Viva” alla cui direzione e redazione si dedica con entusiasmo. Consegue il diploma di laurea in economia e commercio presso l’Università di Catania. Nel 1949 è funzionario del Provveditorato agli Studi di Enna. Nel frattempo partecipa a due concorsi pubblici (Ministero P.I. di Roma e Cassa Centrale di Risparmio V.E. di Palermo) entrambi vinti a pieni voti. Poco più che ventenne assume servizio presso la Banca ed è assegnato alla filiale di Gela. Nel 1951 rientra a Enna e nel marzo del ’53 è prescelto, attraverso un concorso interno, per dirigere l’agenzia di Melilli nel siracusano, prima tappa di una lunga e brillante carriera che lo porterà a ricoprire sempre più elevati incarichi dirigenziali e operativi. Non rinuncia, però, a perseguire la naturale tendenza a migliorare ogni conoscenza culturale attraverso approfondite ricerche anche in campo umanistico, storico e artistico. Cerca sempre di non venir meno alla sua passione per il giornalismo e la pubblicistica. Nel 1998 costituisce in Viagrande (CT), assieme ad amici intellettuali, l’Associazione socio-culturale “Ethos” della quale è tuttora presidente e appassionato animatore. E’ autore di saggi storici riguardanti le vicende della seconda guerra mondiale, di cui l’ultimo, già dato alle stampe, dal titolo “Enna 1943- ricordi di guerra”, che uscirà nei prossimi mesi. Inoltre, ha pubblicato diverse opere letterarie di vario genere tra cui spicca una monografia su Giovanni XXIII – il Papa dell’umiltà e della bontà, edito nel 2007 dall’editrice Akkuaria (CT). Ha pubblicato, inoltre, un libro di poesie e di storie vissute dal titolo “Pensieri e riflessioni”. In occasione della conferenza, è stata allestita presso il Chiostro del Convento una mostra documentaria “Da Castrogiovanni ad Enna tra Monarchia e Repubblica” con manifesti, proclami, giornali, periodici, foto, lettere ecc., curata dal professore Salvatore Di Mauro  dell’Associazione socio-culturale Ethos, prossima al gemellaggio con la Fundrò ennese.

Salvatore Presti

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Per gentile concessione dell’autore del saggio storico “Enna 1943 – ricordi di guerra”, in anteprima, pubblichiamo il 1° capitolo del libro.  (nella foto: Augusto Lucchese)

 

L’incalzare degli avvenimenti

Tutto, ad Enna, sembrava rientrare nella normale routine. Ciò malgrado ebbero a manifestarsi, ben presto, ulteriori difficoltà in campo alimentare, principalmente dovute alla necessità di approvvigionare le mense ufficiali del Comando d’Armata e i refettori dei vari reparti militari di stanza.  Le autorità civili, infatti, avevano l’obbligo di dare la priorità a tali esigenze, particolarmente nel campo della panificazione, della macellazione e dei prodotti agricoli locali.  

      E non mancava neppure lo stillicidio delle ordinanze di requisizione di immobili, di trasferimento di scuole e uffici pubblici, di concessione di alcune aree demaniali per l’approntamento di capannoni, depositi e insediamenti ad uso militare.     

      A distanza di qualche mese, Enna ebbe anche ad ospitare il Comando del già citato C.A.T. (Corpo Aereo Tedesco), il che comportò altre requisizioni quale quella dell’immobile di proprietà del Cav. Corona (in Via Roma, accanto la Chiesetta di Santa Teresa) e  dell’intero Albergo Centrale con relativo ristorante.

      I vari giornali che quotidianamente giungevano nell’unica edicola allora esistente, quella del sig. G.B. Buscemi, oltre a riportare i consueti bollettini di guerra e le relative notizie di approfondimento, si soffermavano spesso sul fatto che, frattanto, la lotta in Mediterraneo s’era fatta più serrata.  Lungo le infide rotte del Canale di Sicilia, peraltro, si combatteva già, senza esclusioni di colpi, la “battaglia dei convogli”.  Era ben chiaro a tutti, anche a noi sprovveduti giovincelli, che da parte italiana occorreva fare ogni sforzo per assicurare i rifornimenti alla “quarta sponda” (Libia), così come per gli inglesi era inderogabile affrontare dure prove e sicure perdite per portare aiuto a Malta.

      Nell’evolversi di un tale scenario di guerra, divenne chiaro che Enna aveva assunto un ruolo militare di primo piano sebbene continuasse a rimanere indenne, e lo fu ancora per molto tempo, da ogni offesa aerea.  Per i credenti, era prevalsa l’idea che si fosse concretizzata l’intercessione della Santa Patrona. Per i non credenti, invece, era intervenuta quella della “dea bendata”.

      Tutto dipese, in realtà, dal fatto che i servizi informativi inglesi, ancora non tanto radicati ed efficienti, erano giunti alla conclusione che il comando di vertice della 6° Armata fosse ubicato a Caltanissetta.  Avranno ritenuto, bontà loro, che Enna, data la disagevole posizione geografica, specie sotto l’aspetto della viabilità, fosse il posto meno adatto per ubicarvi un Comando di tale importanza. 

      La cittadinanza, per altro verso, almeno nella sua grande maggioranza, s’era quasi assuefatta ai molti inconvenienti dovuti allo stato di guerra, alle varie pesanti carenze in campo alimentare, al precario funzionamento dei servizi pubblici, ai disagi dell’oscuramento. Quest’ultimo, poi, pur non presentando le caratteristiche di un vero e proprio coprifuoco, complicava, e di parecchio, la già difficile vita quotidiana, a parte il fatto che induceva la gente a starsene segregata in casa, a luci soffuse e con le imposte schermate e ben serrate. 

      Noi ragazzi, ad esempio, dovevamo rinunciare spesso alla passeggiata serotina con i compagni, dovevamo rispettare un drastico orario di rientro, dovevamo rinunciare, nelle ore serali, ad andare al cinema, unico diversivo esistente nell’ Enna degli anni ’40 (n.d.r.: Il cinema “San Marco” – purtroppo demolito e dato in pasto alla spietata speculazione edilizia degli anni ’60 -, gestiva un “cartellone” di tutto rispetto e quasi sempre proiettava  rinomati films, quali ,ad esempio, “Luciano Serra Pilota”, “Il Fornaretto di Venezia”, “Il Ponte dei Sospiri”, “La disfida di Barletta”, “La Cena delle Beffe”, “Pia de’ Tolomei”, ecc., senza dimenticare i celeberrimi “La Corona di Ferro”, “Scipione l’Africano” o “Addio Kira”). E quelle poche volte che, previa autorizzazione paterna e materna, si realizzava un si fortuito evento erano dolori per riuscire a rientrare indenni a casa nel buio pesto della sera.

      Senza dire, altresì, delle gravi difficoltà da superare nel caso di una serata di pioggia, magari di quella  fastidiosa che ti si attaccava addosso da tutte le parti, o peggio ancora, di fitta nebbia.

     La familiare “paisana”, anche allora parecchio affezionata alla beneamata Enna, impediva, come suol dirsi, di vedere al di la di un palmo dal naso.  In assenza di precisi punti di riferimento, era sempre presente, quindi, il rischio d’inciampare negli scalini dei marciapiedi, di andare a sbattere contro un “pizzu di cantunera” o di prendere di petto qualche palo della luce. 

      Quando non si poteva uscire, ed erano parecchi i pomeriggi che ciò avveniva, si stava rintanati in casa a studiare o a leggere. Erano, principalmente, i romanzi di Emilio Salgari, di Giulio Verne, di un non tanto conosciuto Luigi Motta, o i variegati “gialli” che non mancavano mai,  a meritarsi un posto di prima  fila  nella  modesta  libreria  personale,  ricavata  da un vecchio mobile di cucina in disuso. In essa si accumulavano, altresì, i vari brillanti settimanali per ragazzi, dal “Corriere dei Piccoli”, all’ ”Avventuroso”, a “Il Balilla”, abbondantemente integrati dai periodici albi di “Mandrake”, della serie “Audace”, dell’ “Uomo Mascherato”, di “Dik Fulmine”, di “Cino e Franco”.  Con interesse, con entusiasmo e talvolta con apprensione, si seguivano le incredibili avventure degli invincibili e coraggiosi  personaggi.  Erano altresì parecchio spassosi   i fumetti di “sor Pampurio”, del “sig. Bonaventura”, di “Capitan Fracassa”, di “Ciurcillone”, del sig. Lambicchi, inventore, quest’ultimo, di una favolosa “arcivernice” che, spalmata su di una immagine o su di una foto qualsiasi, riusciva a rendere vivo, in carne e ossa, il personaggio ritratto. 

       Chiusasi la scuola e non potendo impiegare il tempo solo a scorazzare a vuoto per le vie del centro cittadino, dovevamo pur escogitare qualcos’altro per riempire le tediose ore casalinghe.  Avevo ideato, all’uopo, un simpatico gioco. Assicuratomi l’aiuto e la partecipazione di mio fratello Giulio, c’eravamo dati da fare per costruire una numerosissima “flotta” di barchette di carta (spesso utilizzando i fogli dei quaderni ormai in disuso) che, in relazione alla loro grandezza, venivano pomposamente battezzate “corazzate”, “incrociatori”, “cacciatorpediniere” ecc.  Quando si presentava la possibilità di dedicarci al quel gioco, provvedevamo a sgomberare, da libri, calamai e altri oggetti di scuola, l’intera scrivania della nostra stanza. Poi ciascuno disponeva in “linea di combattimento, la propria “flotta” e, quando lo schieramento era completo, iniziava il combattimento utilizzando degli elastici che, tesi fra le dita, servivano a lanciare, più o meno abilmente, piccoli ma efficaci proiettili di carta. Vinceva, ovviamente, chi riusciva a centrare ed affondare più navi avversarie.

       Eravamo ormai nel pieno dell’estate di guerra del 1941 e, certamente, la situazione non era il meglio che si potesse desiderare nell’età adolescienziale, specie quando essa appariva stracolma di privazioni e disagi che imponevano un continuo spirito di adattamento e di accettazione.

       Eppure noi ragazzi, all’epoca, pensavamo che la vita era pur sempre un dono prezioso, irrinunciabile, e che la si dovesse vivere intensamente, anche avventurosamente.

        Era ben chiaro, però, che ben poco delle spinte emotive e istintive connesse all’età, poteva trovare adeguato riscontro nelle formali e autoritarie strutture giovanili della GIL. Anzi tutt’altro.

      La propaganda e la cultura fascista, infatti, esaltavano le gesta di uomini e soldati di cui la “nuova” Italia doveva andare fiera, ed elargivano a piene mani roboanti frasi ad effetto, slogan militaristi e una infinita sequela di pensieri mussoliniani. Era quella sorta di subdola incentivazione psicologica che si incontrava dappertutto, nei libri di testo, sulle copertine dei quaderni, nelle figurine degli eroi delle varie guerre, nei manifesti, persino nei luoghi più impensati. Una vera e propria corsa sfrenata alla più pleonastica retorica che veniva esteriorizzata con ogni mezzo, anche mediante scritte murali a caratteri cubitali che, pur a volere, non potevano passare inosservate: “meglio vivere un giorno da leone che cento da pecora”, -“credere, obbedire e combattere”, -“la parola d’ordine è una e sola: vincere e vinceremo”, -“se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi”, – “l’aratro traccia il solco, la spada lo difende”,  – “il sangue degli Eroi rende immortale la Patria”, – “libro e moschetto, balilla perfetto”, – “…l’ulivo della pace italiana nasce da una foresta di 8 milioni di baionette, appuntite e bene affilate….”, “l’Impero è tornato sui colli fatali di Roma” ecc. ecc.   

      Non va dimenticato, però, che nell’ambito delle giovani generazioni, cresciute in un tale artificioso contesto, tutto sembrava conforme allo spirito del momento e non mancavano certo spunti di autentico fanatismo.

     Adesso, però, c’era la guerra, quella vera, anche se non da tutti condivisa.

     Nel contesto del vasto scenario bellico era chiaro che, in relazione allo sviluppo dell’arma aeronautica, anche le più lontane zone del Paese potevano essere colpite da micidiali azioni offensive, ponendo in serio pericolo la popolazione civile. La guerra moderna, ormai, non si combatteva più solo nei vari teatri d’operazioni, ai confini della Nazione, ma investiva territori anche parecchio lontani. La Sicilia, a tal proposito, a fronte dello sviluppo assunto dalle operazioni militari in Mediterraneo, era da considerare, sotto molti aspetti, “zona di guerra”, se non proprio zona di prima linea, pur se la situazione di effettivo pericolo differiva da zona a zona.  A noi ennesi, ad esempio, e quindi ai molti forestieri, militari e non, a vario titolo presenti in paese, era dato fruire, almeno in quel momento, di una qual certa situazione di privilegio rispetto ad altri centri reiteratamente sottoposti alla ferocia dell’indiscriminata offesa aerea.

      Era come se alla cittadinanza della vetusta “Urbis inexpugnabilis”, fosse stata concessa una formale deroga o una sorta di immunità.

      Essa poteva continuare, così, a crogiolarsi, almeno per il momento, nella convinzione di appartenere ad una sorta di speciale categoria, quella dei semplici spettatori. Gli abitanti di Enna, in effetti, malgrado nessuno di loro potesse asserire di essere esente dai deleteri effetti dello stato di guerra, stavano vivendo quasi con distacco ciò che accadeva altrove. Era pressoché inesistente l’atmosfera di paura, di rischio, di incombenti pericoli che in altri centri rappresentava il sostrato del quotidiano cui, talvolta, s’aggiungeva il pauroso quadro di distruzioni e di morte provocato dai bombardamenti aerei.  Enna, buon per lei, seguitava a godere, invece, della fortuita combinazione di non essere ancora inserita nelle mappe operative dei bombardieri alleati. Ne scaturiva il fatto che s’era troppo facilmente interiorizzata l’errata sensazione di sentirsi al sicuro e da ciò, forse, nasceva l’insana tendenza a non rattristarsi più di tanto per le ferali notizie che giungevano da altri luoghi.  Sembrava che a quest’ultime fosse attribuito solo il valore di pura e semplice cronaca, magari spiacevolissima, ma pur sempre cronaca. 

       E come se ciò non bastasse non erano pochi coloro che, con incosciente “malucchifari”, trascorrevano il tempo “stravaccati” nei bar del centro, magari giocando a carte. In quel triste e deprimente scenario, caratterizzato da una fitta coltre di fumo di sigarette che impregnava l’aria straviziata, non era difficile ascoltare strampalati discorsi d’ogni genere riguardo ai “fatti del giorno”, con particolare riferimento agli avvenimenti bellici.

     Era quantomeno incredibile che pochi o nessuno si rendesse conto che parecchie di tali soggettive opinioni finissero con lo scivolare, inevitabilmente, in errate valutazioni e facessero assumere a coloro che si accaloravano nel sostenerle, i connotati di vacui strateghi da tavolino.  E sarebbe come far loro un torto, se si dimenticasse di citare i tanti altri che ritenevano di potersi arrogare la prosopopea d’essere informati più di chiunque altro, solo perché, forse, avevano letto più attentamente i giornali.

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