Perché? E’ l’interrogativo che mi sono posta appena è stata data la notizia della ritrovamento del corpo di Vanessa. Perché è successo?
Potevamo fare qualcosa per proteggere questa giovane donna che potrebbe essere nostra figlia, sorella, amica?
Forse Vanessa aveva chiesto aiuto magari senza parlare, muta, sperando che qualcuno aprisse le orecchie, spalancasse gli occhi, non si girasse dall’altra parte e ascoltasse questo grido silenzioso che viene dal profondo e che noi non siamo riusciti a sentire troppo presi dai nostri problemi quotidiani.
Il tema della violenza sulle donne si presenta spesso e prepotentemente nella mia vita di donna e di presidente dell’unico sportello antiviolenza della provincia di Enna. A noi le donne chiedono una voce. A noi le donne chiedono di parlare per loro, di nominare e nominare tante volte quello che succede all’interno delle case.
Perché la violenza è soprattutto esercitata dagli uomini sulle donne, è in larga misura esercitata all’interno della famiglia o da persone conosciute dalle vittime. In Italia oggi si consuma una violenza e un’aggressione contro l’altro che non ha precedenti.
Vanessa è la 46ma vittima dall’inizio del 2012 uccisa all’interno di una relazione affettiva. Una mattanza.
Non si può passare dal semplice fatto di cronaca al nulla di fatto della vita di ogni giorno. Un nonnulla – violento che si può dimenticare così come si fa con un vecchio film, un vestito liso, un giornale già letto.
La violenza e l’abuso – e noi dei Centri Antiviolenza lo ripetiamo ogni giorno – non sono una moda, non è un abito che s’indossa e domani via! Sappiamo bene che in questi giorni si diranno e si scriveranno migliaia di parole su questo fatto di sangue, arrivano le televisioni ad intervistare i parenti, gli amici, i cittadini. Lo spettacolo mediatico è pronto, gli esperti sono tutti lì negli studi televisivi pronti a fare a brandelli vite in nome dell’audience. Ognuno vorrà dire la sua, ognuno si prenderà meriti, ognuno darà giudizi, qualcuno invertirà i ruoli facendo passare il carnefice come una vittima e la vittima come un carnefice perché attaccare il concetto di vittima e le vittime stesse è un altro modo di impedire che l’indicibile – ossia che la violenza contro le donne è maschile – venga enunciato con chiarezza.
Ognuno di noi ha delle responsabilità, ognuno di noi nel proprio ambito può dare il proprio contributo perché queste morti non pesino sulla coscienza di ognuno di noi.
Quando la violenza contro le donne assurge solo in queste occasioni eclatanti ha l’effetto di nascondere il carattere strutturale del fenomeno e di occultarne le relazioni profonde con la nostra cultura e la qualità dei rapporti corrente nella nostra società.
Si tende a dare una qualche giustificazione all’evento delittuoso: omicidio passionale è la frase più ricorrente. Ma cosa significa omicidio passionale?
Quante donne sacrificate per quello che poi qualcuno ha fatto passare per amore, per gelosia, per disperazione. Perché gli uomini si giustificano. Loro uccidono solo per amore, solo per disperazione, solo per gelosia.
Non dicono “io sono un assassino” si trincerano dietro la facciata dell’amore, della gelosia dimenticando che le donne non sono oggetto nelle mani di nessuno e che il vero amore è altro: è rispetto dell’altro. Non ci sono giustificazioni. Questi uomini non sono pazzi perché già catalogandoli per tali noi li giustifichiamo. Sono solo assassini che non hanno avuto nessuna pietà per le loro compagne.
Adesso si scaverà nella vita di Vanessa, quasi a cercare anche lì una giustificazione: si dirà che se l’è cercata, che era una ragazza “leggera” che lei sapeva con chi stava.
Tutte giustificazioni che sembrano già attenuanti a questo brutale assassinio. Noi non giustifichiamo pretendiamo che si faccia giustizia, che si faccia in modo che quello che è successo a Vanessa non succeda mai più e per fare ciò dobbiamo ammettere che questo nostro Paese Italia ha una emergenza che si chiama violenza.
Maria Grasso
Presidente Associazione Donneinsieme “Sandra Crescimanno”
Piazza Armerina