Non è stata una libera scelta, ma gli Italiani si stanno trasformando in uno dei popoli economicamente più vessati del pianeta!
L’elenco dei soprusi e dei loro artefici non procede secondo numerazione, sarebbe arduo come contare le pieghe di una gonna plissé: dimentichi sempre da quale piega hai iniziato la conta.
Tra piccoli e grandi oppressori anche i detentori del potere intermedio per eccellenza, quello mediatico.
Il caso è specifico, ma emblematico e riguarda i titolari degli innumerevoli B&B operanti nel territorio nazionale sollecitati dalla Rai al pagamento annuale di un canone di abbonamento “speciale”, straordinariamente esoso anche per le strutture alberghiere ed extra-alberghiere.
La normativa di riferimento per i B&B, dalla legge-quadro nazionale a quella regionale, sancisce un principio inequivocabile: il B&B è un’attività ricettiva esercitata nell’ambito dell’organizzazione familiare utilizzando parte dell’abitazione nella quale il titolare dimora ed ha obbligo di residenza, fornendo alloggio e prima colazione.
Per l’espletamento dell’attività di B&B non è necessario il cambio di destinazione d’uso dell’immobile che resta accatastato come civile abitazione, non è necessaria l’iscrizione alla Camera di Commercio e, inoltre, non è richiesto il possesso della partita IVA.
La lettura è chiara: non siamo in presenza di una vera e propria impresa.
Mancanza di informazione, distrazione dei funzionari e dell’ufficio legale della Rai o un più elementare, ma italianissimo, “proviamoci”?
Le missive della Rai contengono una velata minaccia di comunicazione alla Guardia di Finanza in caso di mancata corresponsione delle somme presuntivamente dovute, elemento questo non trascurabile.
Ci chiediamo, infatti, in quali altri paesi cosiddetti civilizzati si verifichi un’analoga prassi intimidatoria!
Considerazioni finali: quanta glaciale indifferenza da parte di chi dovrebbe tutelare con convinzione il turismo! Quanta mancanza di cura nel favorire la crescita di chi, con il proprio lavoro, contribuisce alla diffusione del turismo relazionale divenuto negli ultimi tempi un modello di accoglienza di radicale importanza per l’economia di tutti i paesi europei!
Nietta Bruno
Canone Rai, anche per pc, smartphone e altri apparecchi?
Dai pc agli smartphone, passando per videoregistratori e tablet nessuno è salvo, neanche i sistemi di videosorveglianza. Questo canone speciale, come viene chiamato, costerà agli imprenditori dai 200 ai 6mila euro l’anno, una cifra che può sembrare modesta se vista singolarmente, ma che – se aggregata – corrisponde a un prelievo di oltre un miliardo di euro l’anno.
La novità del momento in casa Rai è l’estensione del pagamento del canone alle aziende che abbiano in ufficio dispositivi elettronici come smartphone, tablet e Pc, predisposti a ricevere segnali televisivi, anche se non è quello il loro principale utilizzo. Questa, l’infausta trovata del dg Lorenza Lei. “Un balzello assurdo – commenta Rete Imprese – le aziende dovranno sborsare 980 milioni”. Su Twitter impazza la polemica: tutti contro il servizio pubblico e #Raimerda diventa il trend.
Basta fare un giro per la Rete e subito sul social network appaiono a cascate i commenti degli utenti, tra l’incredulo e l’indignato. “Ma #raimerda è un nuovo canale? Gianni direttore e mosca al posto della farfalla?” scrive @GiTode. @Skande, invece, ribatte: “Se hai un videocitofono devi pagare il canone”.
E ancora “#raimerda non guardate i televisori nei negozi, potrebbero chiedervi il canone” cinguetta @psymonic. La discussione impazza un po’ ovunque, sul web e per le strade.
Nel caso di un’estensione del pagamento ai privati e in mancanza di riferimenti giuridici chiari, nel calderone entrerebbero tutti coloro che hanno un monitor o chi vede la TV su altri device. E non vale la scusa che non si guarda Mamma Rai. Una sentenza della Corte di Cassazione del 20 novembre 2007 ha stabilito che ” il canone di abbonamento radiotelevisivo non trova la sua ragione nell’esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente, da un lato, e l’ente Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, dall’altro, ma costituisce una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo”.
Ultim’ora:
La Rai ha rinunciato al canone su pc, tablet e smartphone. E’ il risultato di un confronto con il ministero dello Sviluppo Economico. La svolta c’è stata perché il ministero ha dato un’interpretazione della norma del 1938 relativa al canone che esclude quei prodotti dal pagamento. La decisione arriva dopo le polemiche di giorni scorsi.
La Rai ha accolto quest’interpretazione, dopo un breve contraddittorio. DI fondo, il ministero ha fatto notare a Rai che sarebbe stato assurdo imporre un pagamento che avrebbe certo penalizzato lo sviluppo del digitale in Italia, proprio in una fase in cui il Paese sta cercando di potenziarlo.
Lo stesso parere è arrivato da Confindustria Digitale. “Un’assurda forzatura giuridica, ma soprattutto un’iniziativa fuori dal tempo e in totale contrasto con gli obiettivi dell’agenda digitale e gli sforzi che si stanno mettendo in atto per rilanciare la crescita del Paese”, ha detto il presidente Stefano Parisi, sul “balzello che la Rai vorrebbe imporre a imprese e professionisti per il possesso di pc, tablet e smartphone”.
“Innanzitutto va chiarito – continua Parisi – che i pc non sono stati concepiti per la ricezione di trasmissioni radiotelevisive, ma per innovare l’organizzazione del lavoro e la comunicazione. Il fatto che possano ricevere segnali televisivi lo si deve al processo evolutivo del mondo digitale, di cui lo stesso settore radio tv ha fortemente beneficiato per il suo sviluppo. Quindi l’estensione del canone Rai agli apparati dell’Ict, la pretesa di associarlo alla titolarità di un abbonamento a banda larga, il richiamarsi a una legge del ’38 per tassare tecnologie del duemila, sono frutto di un’interpretazione del tutto arbitraria non supportata da alcun riferimento legislativo”. Il ministero è d’accordo e Rai deve seguire.