“Libertà è partecipazione” cita una fortunata e non dimenticata canzone italiana musicata da Giorgio Gaber. Corollario di questo motto è che all’aumentare delle occasioni di partecipazione alle decisioni pubbliche, aumentano gli spazi di libertà sia individuali che collettivi.
In tale contesto, alcuni studi si spingono anche a dimostrare che la partecipazione alla vita pubblica rappresenta un importante indicatore di “felicità”. Le competizioni elettorali sono, per antonomasia, i momenti più solenni in cui la persona diventa cittadino della propria Nazione, attore della propria comunità, finanziatore di capitale sociale e veicolo di educazione civica.
Da qui la conclusione che anima i più, soprattutto in periodi di disaffezione dalla politica come questi, secondo cui l’esercizio del diritto di voto oltre ad essere un diritto costituzionalmente garantito è anche un dovere morale.
Mi permetto di non aderire acriticamente a questo teorema, partendo dalla considerazione che non è affatto vero che una democrazia ad elevata partecipazione è necessariamente una democrazia migliore. Sono fermamente convinto che gli elettori irresponsabili dovrebbero astenersi piuttosto che votare male. Votare, mentre è certamente un diritto, non è affatto un dovere. Se si decide liberamente di votare, bisogna farlo dimostrando di essere consapevoli, razionali, privi di pregiudizi, retti ed adeguatamente informati circa i propri convincimenti politici. Quanti lo sono?
Orbene, diffusi, soprattutto nel meridione assistito, sono i casi di “voto strappato” e questo risultato non configura altro che un’attività dannosa non solo per se stessi ma per l’intera collettività. Votare male è infatti un serio problema collettivo, non diverso dall’inquinamento atmosferico. Chi brucia plastica nel proprio terreno produce danni inevitabilmente anche agli altri che, civicamente, preferiscono invece smaltire i propri rifiuti con la tecnica della raccolta differenziata. Allo stesso modo chi vota male perché distratto, ovvero perché costretto, non si rende conto di danneggiare gli altri, costretti a risentire delle scelte sbagliate altrui nella selezione della rappresentanza politica.
Ceteris paribus, dovremmo tutti condividere il costo del non inquinare. La riduzione dell’inquinamento elettorale è un obiettivo più avanzato rispetto all’elementare partecipazione opportunamente invocata da Gaber. Gli obblighi che oggi contraiamo gli uni con gli altri in virtù del nostro “stare assieme” non si concretano solamente in un “dovere di votare” ma anche nell’obbligo civico di “non votare male”. Ci sono molti modi per esprimere le proprie “virtù civiche”. L’esercizio del voto è uno fra tanti ma i riflessi che questo ha sulla collettività impongono una certa diligenza che, in tempi di antipolitica, andrebbe maggiormente soppesata.
Massimo Greco
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