La prospettiva della riconsegna dei propri padiglioni auricolari agli spazi urlati dei comizi elettorali fa rabbrividire la gran parte degli italiani.
Le elezioni politiche sono prossime e tutti i Siciliani, astenuti dal voto e non, hanno un ricordo recentissimo del frastuono che promanava dai palchi dei comizi per le regionali.
Nasce, impellente, il desiderio di una “vacanza dalla politica ululata”, a quanti piacerebbe riscoprire nell’anima quell’incantevole rumore provocato dal pensiero attivo e costruttivo che nasce proprio nel silenzio!
Per troppi anni la parola é stata profanata divenendo un facile strumento per l’inganno e l’impostura, per la diffamazione e la cialtroneria.
È probabile che nel silenzio anche la politica possa ritrovare un suo valore e la credibilità perduta.
Visto come “bene-rifugio”, il silenzio diviene un’ipotesi complessa in una società venduta ormai all’immagine e al clamore della menzogna, perde la sua essenza in un paese che ha abbandonato la buona pratica della lettura, che vive la poesia come una vergogna e che non ha più strumenti per comprendere che soltanto in esso nascono l’arte, la musica, la creatività.
Proviamo a immaginare l’innesto della preziosa pianta del silenzio nelle menti di chi pratica la politica urlata: i Grillo, i Di Pietro, i La Russa e giù giù fino a molti dei nostri rappresentanti locali sarebbero costretti a inventarsi altre modalit di comunicazione.
Riteniamo che se i membri della commissione parlamentare istituita per la riformulazione della legge elettorale avessero parlato meno e lavorato con una reale intenzione di riforma, oggi andremmo al voto con più democrazia in tasca.
Inoltre, piuttosto che dotare i parlamentari di un “premio di reinserimento” alla fine del loro mandato, come se si trattasse di ex-detenuti in gravi difficoltà, pagheremmo loro, molto volentieri, prima dell’insediamento nei rispettivi ruoli, uno stage formativo nella “Accademia del silenzio” creata ad Anghiari, nei dintorni di Arezzo, nata da un’idea di Duccio Demetrio e di Nicoletta Mattiot. Una vera e propria scuola, un laboratorio nel quale gli iscritti apprendono una contemporanea metodologia di comunicazione, un’ecologia della parola nel rispetto del tempo, dei luoghi e delle persone.
L’obiezione più scontata è che un silenzio occidentale non è pensabile, si ritiene, errando, che il silenzio appartenga esclusivamente alla cultura orientale, in realtà questa dimensione spirituale, solitaria e preziosa che ha sempre come sfondo una natura benigna, apparteneva anche alla nostra cultura contadina, maestra di un silenzio condiviso che scandiva i tempi del lavoro nei campi e quello delle donne impegnate nei lavori domestici e che offriva spunti di riflessione sia nella gestualità sia nelle interminabili pause degli anziani che nei bagli siciliani intessevano i loro “cunti”.
Impossibile immaginarne un ripristino, ma, considerato che la crisi economica sta provocando una erosione dei diritti fondamentali dei cittadini, bisogna fermarsi, erigere grandi templi dedicati al silenzio per meditare sulle azioni da intraprendere, per fermare la sfiducia e lo scoramento, ma, soprattutto, per ridare voce ai diritti che da sempre sono lo specchio e la misura delle ingiustizie.
Nei giorni degli auguri, auspichiamo che possa essere recuperata l’importanza dell’ascolto dell’altro e che si possa passare, entro breve termine, dalla dimensione di “insetti dentro un vasto alveare” a quella più universale di uomini alla ricerca della verità e dell’armonia.
Nietta Bruno