Prende al mattino quando, sotto il tiro incrociato delle notizie economiche che vanno dalla diminuzione del PIL alle cupe previsioni di Bankitalia per il 2013, ci chiediamo per quanto tempo ancora dovremo pagare il conto per commensali non graditi.
Osservando il giocoso sali-scendi dei leader nell’ascensore della politica, non sorprende l’abilità che hanno avuto nel tracciare programmi di governo con obiettivi identici, ma privi delle indicazioni essenziali: quali le priorità delle scelte politiche e, soprattutto, quale fascia sociale sarà condannata ad affrontarne il maggior peso?
Al momento il dibattito si é bloccato sulla diminuzione dell’IMU, tassa iniqua votata da tutti.
Come sempre il dio “consenso” domina la scena di una campagna elettorale che ha impettegolito persino l’algido Professore e ha consentito al proprietario di Arcore di rinnovare il suo piumaggio.
In un paese in cui ormai si fallisce anche di crediti, sembra impossibile sfuggire a quell’invecchiamento culturale che sclerotizza le curiosità, il desiderio di crescita e le capacità d’impresa. Il sogno di Bobbio di “un’Italia normale”, enunciato dopo la fine della seconda repubblica, é sfumato miseramente e del grande sogno italiano del dopoguerra è rimasto soltanto lo sberleffo di Crozza nell’imitazione di Briatore!
Non é bastato il segnale forte del crollo verticale delle iscrizioni ai partiti per convincere i signori delle tessere, abilissimi nel mantenere la proprietà degli apparati, che i cittadini sono moralmente ed economicamente esausti e che non sarà sufficiente indossare l’abito chiaro dell’etica per cancellare quel sentire comune che, con sufficienza, viene liquidato come anti-politica.
È concepibile, ad esempio, che le trentennali invocazioni di commercianti, imprenditori e professionisti affinché si proceda verso una radicale riforma della mostruosa macchina della burocrazia vengano regolarmente disattese?
Siamo diventati prigionieri del nostro presente, l’affannata corsa del politico che ha guardato esclusivamente alle scadenze elettorali ha offuscato l’immagine sacra dell’Uomo di Stato che deve avere lo sguardo teso verso un orizzonte lontano. Il breve periodo è figlio della lotta per il potere, è condizionato dall’impellenza dei sondaggi, rappresenta gli interessi particolaristici delle tribù e dei fortini che, secondo alcuni, dettano le regole nel nostro paese.
Salvo rare eccezioni, e il manifesto riformista di Morando e di Tonini è tra queste, nessuna formazione politica si è riallacciata al concetto di interesse generale insito nei programmi a lungo termine. La gravità della nostra situazione economica è la prova concreta di quanti pericoli contenga quella che Condorcet, agli albori della rivoluzione francese, definiva “la democrazia dell’immediatezza”.
Il paese è vecchio, sembra non avere più energie vitali, ha perduto la sua anima e le sue speranze. L’ultimo rapporto del CENSIS parlava di morte del desiderio sociale; si é verificato un collasso dello spirito pubblico aggravato da un individualismo che la rivoluzione laica, senza prevederlo, ha reso assoluto. Quale destino ci attende nell’immediato? Ci disperderemo come topi impazziti nelle nostre strade? Alcuni seguiranno, intontiti, il solito pifferaio, altri andranno oltre confine, altri ancora aspetteranno il miracolo accontentandosi di rosicchiare le briciole di un paese che si sgretola come una pasta frolla non riuscita.
Non sarà facile riconquistare il gusto dei valori ed eliminare il complesso di inadeguatezza che ci pervade, la virtù civica degli eredi del “fatti non foste a viver come bruti” ci appare oggi come irraggiungibile, eppure la speranza di un ripescaggio è latente in ognuno di noi.
Ritroveremo il coraggio di uscire dai discorsi sul metodo per affrontare quelli sul merito come ci hanno insegnato i nostri Padri, ripartendo da quel valore immenso che é la conoscenza.
Resisteremo alla tentazione di smobilitare guardando i nostri collaboratori e le loro vite indissolubilmente legate alla nostra e, alla sera, riposto l’elmetto, penseremo di poter passare alla storia come gli irriducibili interpreti dei primi anni di un secolo disorientato.
Nietta Bruno
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