giovedì , Ottobre 10 2024

Una società senza padri

Fermato con la droga in tasca, acquistata per organizzare un “coca-party” in occasione del diciottesimo compleanno del figlio, un padre esclama: “Cosa ho fatto di male?!”.
Alle ore 21,00 del medesimo giorno Monsignor Segalini, Vescovo di Palestrina, invitato a un programma televisivo, fornisce la sua lettura sulla impresentabilità dei dodici cardinali accusati di omertà, ma presenti in Conclave: “In fondo… si sono comportati come quei padri che coprono e proteggono con il silenzio i figli che sbagliano”.
In entrambi i casi e in mille altri ancora la parola padre emette un suono falso.
Si é avverata la profezia di Alexander Mitscherlich, psico-sociologo tedesco che negli anni sessanta aveva intuito che l’assenza della figura paterna nelle sfere del privato e del pubblico avrebbe condotto a una patologia della società.
Ed eccola!
Padri che, con un rituale da tragedia greca, sopprimono i figli per vendetta nei confronti delle loro donne o che, spostandoci dal codice penale ai fondamentali della pedagogia, tradiscono il loro ruolo e considerano i figli come rivali o, ancor peggio, come esecutori di un destino che avrebbero voluto per sé.
Maestri che, lontani dalla concezione deamicisiana della paternità condivisa, abdicano al ruolo formativo cui sono chiamati.
Governanti che, rinunciando alla propria autorevolezza, hanno compromesso la solidità dell’organizzazione sociale.
Nel nostro paese, seppelliti i “Padri della Costituzione”, gli eredi hanno restituito miserevoli esempi di contraddizione, di insipienza, di corruzione e di altri comportamenti che non hanno generato nei cittadini i necessari processi di identificazione.
E così queste sbiadite figure paterne, pubbliche e private, rendono difficile l’incontro dei rispettivi figli con la realtà, li indeboliscono, li scoraggiano e danno origine a fenomeni regressivi e antisociali, perché è inevitabile che le esistenze senza padri si popolino di nemici.
A differenza di quella materna, infatti, la funzione paterna è un fatto culturale, “un’invenzione sociale”, spetta ai padri l’insegnamento del principio di responsabilità, la predisposizione di un piano di crescita, l’impartizione delle regole, l’indicazione dei limiti.
Scomparsa la società patriarcale e l’etica autoritaria della sottomissione, scardinate le regole del conformismo e della distanza affettiva (spesso i figli morivano senza il ricordo di un abbraccio paterno), nulla ha sostituito quel tipo di rapporto, eccetto la figura del “nuovo padre” tollerante al punto da divenire un permissivo a oltranza, aperto al dialogo tanto da subire insulti e turpiloqui, fantasioso al punto da accettare l’improponibile.
Un padre dal profilo indefinito che deve assumere una sua consapevolezza per poter rispondere alla insoddisfatta, ma insopprimibile “voglia di padre”.
L’abolizione dei NO ha provocato la fine dei desideri e il dilagare dei “perché no?” ha vanificato l’educazione alla invalicabilità dei paletti per una esistenza civile.
Appurato che lo Stato ha un forte obbligo di paternità, molti dubbi assalgono i cittadini:
é padre uno Stato che azzera le risorse per l’assistenza ai suoi figli più sfortunati?;
è padre uno Stato che per pagare debiti contratti a causa della sua incapacità di amministrare attinge alle risorse destinate alla formazione, alla ricerca e alla cultura?;
è padre uno Stato che riduce sempre più gli spazi di autonomia individuale dei cittadini accrescendo la sua presenza con l’aumento di norme e prescrizioni o con interventi paternalistici quali ad esempio l’invito al ravvedimento operoso?.
Fa sorridere la delega in bianco sottoscritta da un intero popolo a due grandi padri che da soli dovrebbero riempire il vuoto del modello paterno, una delega colma di ingenuità e di speranza che ci riporta alla mente il mito del pellicano.
E allora un “In bocca ai lupi” per Papa Francesco e per il Presidente Napolitano!

Nietta Bruno

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