Novant’anni fa, il 7 luglio 1923, il sindaco Giuseppe Longi inaugurò l’acquedotto comunale, l’opera pubblica più impegnativa e attesa dagli ennesi, iniziata diversi anni prima e realizzata su progetto redatto dall’ingegnere comunale Giuseppe Panvini Vulturo, due lauree in ingegneria civile e in idraulica. La prima relazione di fattibilità dell’opera fu da lui approntata nel 1907. Faceva parte dello “Studio per la pratica soluzione dell’acqua potabile, dell’illuminazione pubblica e della trazione a funicolare dall’abitato allo scalo ferroviario per la città di Castrogiovanni”. Quattro anni dopo, nel 1911, l’ing. Panvini presentò al Consesso Civico la relazione di accompagnamento del cosiddetto “Progetto Bannata” per dotare la città di acqua potabile, in vista della nuova legge “Luzzatti” riguardante “Agevolezze ai Municipii del Regno per la Provvista di Acque Potabili”, già approvata dalla Camera dei Deputati, grazie alla quale i Comuni “avranno i capitali occorrenti per la provvista d’acqua senza interessi di sorta…”. Nella relazione del 1907, il Panvini analizzò le varie soluzioni al problema con tre ipotesi: la prima con l’adduzione delle acque sorgive del bacino imbrifero a nord della città, nei pressi di Ganci, scartata per due motivi, “la pochezza della portata delle sorgenti e la lunghezza della conduttura, circa 30 chilometri”; la seconda, quella dell’ approvvigionamento delle acque provenienti dalle Madonie, ricche di sorgive sparse nei boschi delle Petralie, poste a quote superiore a 1200 mt. s.l.m., “tali da consentire una dotazione di 50 litri d’acqua potabile per abitante, da convogliare entro la città per caduta”, venne anch’essa scartata dato “l’eccessivo costo delle tubature che dovevano essere assoggettati a pressioni di più di 40 atmosfere e ad altre costose spese per opere connesse”. L’ultima ipotesi, lo studio del bacino di Bannata a sud della città, distante 20 km, ricco di buone acque potabili, fu la soluzione caldeggiata dallo stesso ingegner Panvini a conclusione della relazione. Il Sindaco e il Consiglio comunale approvarono quindi la costruzione dell’Acquedotto Comunale con le acque sorgive individuate nel predetto bacino “Bannata”, pari a 16 litri al secondo, bastevoli per 50 litri per abitante al giorno. “Le acque di Bannata, Parcazzi, Polla, Buglio, Bevaio e Caniglia più quelle di Margio di Buffa e Jacòpo nei pressi di Pergusa, giungeranno a m. 670 s.l.m. (Sant’Anna) in un serbatoio di 700 mc.; da qui – conclude il Panvini – l’acqua dovrà elevarsi per m. 290 per raggiungere un altro serbatoio, quello di distribuzione, da scavarsi nella roccia, sotto il Castello, alla quota di 960 metri s.l.m. L’elevazione avverrà a mezzo di pompe centrifughe ad alta pressione direttamente comandati da motori elettrici”. “Questa soluzione – afferma – sarebbe impossibile senza l’Officina Elettrica che di notte servir deve l’illuminazione pubblica e privata della città e di giorno l’elevazione dell’acqua e la trazione funicolare dal paese alla stazione ferroviaria”. I lavori per l’acquedotto “Bannata” ebbero un’accelerazione subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Furono completati nel primo semestre del 1923 e il 7 luglio di quell’anno l’acquedotto venne inaugurato, insieme alla Centrale Elettrica di Via Pergusa il cui immobile (vedi foto in alto) fu progettato dal famoso architetto Ernesto Basile, parzialmente demolito negli anni ’60 a seguito dell’allargamento della strada. Nel frattempo il Comune costituì l’AMAL (Azienda Municipale Acqua e Luce) rimasta in vita fino a un decennio fa. Sparse per la città, furono costruite 28 fontanelle a getto intermittente per uso pubblico e fu iniziata la posa della condotta di distribuzione principale costruita con il sistema a circolazione ad anello chiuso, poi ampliata sulla base delle richieste di allacci da parte di privati cittadini. Prima di quella data il Comune provvedeva al trasporto dell’acqua dalla sorgente di Jacòpo “utilizzando botti su carri con forti spese e magri risultati”. Le famiglie che non si potevano permettere l’acquisto del prezioso liquido, si approvvigionavano presso le numerose sorgive sparse attorno alla città o da pozzi e cisterne dove, durante i mesi invernali, erano raccolte le acque piovane. Quella potabile si prendeva con le “quartare” direttamente dalle sorgenti della Venova, Lombardia e del Crivello, quest’ultima nei pressi del Santuario di Papardura. A cavallo della seconda guerra mondiale le fontanelle furono aumentate di numero per le pressanti richieste degli abitanti dei rioni popolari, ed anche per avere l’acqua più vicino alle proprie abitazioni a costo zero. Anche Pergusa e Borgo Cascino ebbero le loro fontanelle, appena sorti i rispettivi villaggi rurali. Quell’acquedotto, ritenuto da molti irrealizzabile, data l’altezza della città, fu salutato dai cittadini quasi come un miracolo. All’ingegner Panvini (nella foto) e agli amministratori dell’epoca dobbiamo quest’opera che ancor oggi ci consente di avere una pur minima autonomia nel caso vengano a mancare i circa 50 litri d’acqua al secondo proveniente dall’Ancipa. Una lapide, posta sopra l’architrave della porta d’ingresso delle vasche del Castello di Lombardia, fu posta a ricordo di quell’evento, con scolpiti la data e i nomi del sindaco Giuseppe Longi e del progettista fautore dell’opera, Giuseppe Panvini Vulturo, al quale il Comune recentemente ha intitolato una piazza ad Enna Bassa.
Salvatore Presti
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