Con il commissariamento delle nove Province, sembrano essersi spenti improvvisamente i toni compulsi che hanno caratterizzato il dibattito su questo tema degli ultimi mesi. E invece tutto comincia da adesso. Che accadrà? In primo luogo bisogna precisare che cosa è finora accaduto: non sono state soppresse le Province, ma soltanto le elezioni provinciali. Le Province continuano ad operare con le competenze di sempre, fino a quando un altro ente non le sostituirà. La novità è che a capo delle province non c’è un presidente, una giunta e un consiglio, ma una persona sola: il commissario regionale.
L’Assemblea regionale siciliana, decidendo con una legge di commissariare le Province, non ha ancora deciso cosa fare: si è ripromessa, molto genericamente, di varare una successiva legge per costituire Liberi Consorzi di Comuni e Città metropolitane. Tuttavia, di questa nuova legge, che dovrebbe essere approvata entro l’anno, non c’è ancora neppure una bozza. Si può quindi affermare che a gennaio del prossimo anno saremo ben lontani dall’avere i nuovi Liberi Consorzi. Perché? Perché la riforma degli enti territoriali è una materia terribilmente complicata. Vediamo di fare un po’ d’ordine e di segnare le differenze tra le parole e i fatti.
Innanzitutto, per costituire i Liberi Consorzi di Comuni occorrerà precisare, con la prossima legge, diversi aspetti tecnico-giuridici e procedurali. Tali precisazioni dovranno essere le più chiare possibile, pena il rischio che i tribunali amministrativi vengano chiamati in causa da Comuni scontenti, da comitati popolari, da qualsiasi cittadino. Bisognerà che la legge regionale indichi nel dettaglio:
1) quali limiti minimi e massimi dovranno avere i Consorzi in termini di superficie e di popolazione;
2) quali eventuali deroghe saranno ammesse ai limiti minimi e massimi ed in ragione di quali motivazioni;
3) con quali procedure dovranno o potranno essere avviate le aggregazioni, in particolare da parte di chi (vecchi capoluoghi, qualsiasi altro Comune indipendentemente dal numero di abitanti, un comitato, etc.), con quale livello di formalizzazione (delibere di giunta o di consiglio municipale, comitati promotori) ed entro quali termini temporali (mesi, anni);
4) quali forme geopolitiche saranno consentite (ad esempio, un solo capoluogo per Libero Consorzio o più capoluoghi);
5) entro quanto tempo i Comuni che desiderano aggregarsi dovranno definire il procedimento;
6) se sarà necessario sottoporre le delibere dei consigli comunali anche a referendum confermativo e se saranno consentiti referendum su iniziativa popolare;
7) se l’intero procedimento si concluderà con una legge regionale.
E poi le questioni più difficili, perché non dipendono soltanto dalla Regione ma anche dallo Stato. Si tratta di una sorta di “prova del 9” della fattibilità della legge di soppressione delle province. Se non saranno trovate idonee soluzioni, l’abolizione delle province siciliane potrebbe risolversi in una moltiplicazione delle province e quindi in un incremento abnorme della spesa pubblica, cioè nell’opposto di quanto dichiarato. Le domande alle quali dovrà essere data una risposta sono tante, tra cui principalmente:
1) in quali Liberi Consorzi saranno presenti i Prefetti e i Questori?
2) dove saranno dislocati gli ex Comandi provinciali di Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Corpo Forestale?
3) dove avranno sede gli attuali uffici provinciali dello Stato (tra cui Inps, Agenzia delle Entrate, Motorizzazione civile, etc.)?
4) come saranno ridisegnate le attuali Aziende sanitarie provinciali?
5) come saranno ridisegnati gli attuali ATO idrici e dei rifiuti?
6) potranno esserci Liberi Consorzi senza un ospedale?
7) potranno esserci Liberi Consorzi senza un tribunale?
8) lo Stato recepirà le variazioni amministrative nei distretti giudiziari oppure Comuni di uno stesso Libero Consorzio potranno far parte di tribunali e persino di corti d’appello diversi?
9) cosa accadrà degli attuali registri automobilistici?
10) cosa accadrà dei documenti personali dei cittadini (passaporto, carta di identità, carta sanitaria)?
11) chi finanzierà, ed in base a quali criteri, il funzionamento delle scuole secondarie superiori, delle strade extraurbane e delle politiche ambientali?
Infine, le questioni che più appassionano i cittadini, ma che sono relativamente le più semplici da risolvere. Quanti Liberi Consorzi ci saranno? Saranno più delle attuali 9 Province? E soprattutto, che accadrà alle attuali Province con pochi abitanti o con limitato territorio?
Partiamo, per maggiore chiarezza schematicamente, da alcuni dati inoppugnabili:
1) Nessun libero consorzio potrà avere come capoluogo Palermo, Catania e Messina, in quanto queste città avranno uno statuto speciale e, al massimo, potranno aggregare gruppi di comuni, divenendo aree metropolitane, come è più giusto che sia.
2) Le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina dovranno avere al loro interno contiguità territoriale: è impensabile che un comune isolato possa rientrare in una delle tre aree metropolitane.
3) Conseguentemente, nessun comune delle attuali sei province rimanenti potrà mai andare con Palermo, Catania o Messina.
4) Considerando che le tre aree metropolitane, qualora si facciano, raccoglieranno una popolazione di circa 2 milioni di abitanti, i rimanenti 3 milioni di siciliani dovranno aggregarsi in liberi consorzi.
5) Secondo quanto è stato detto (ma non ancora scritto) all’atto della discussione della legge sul commissariamento delle province, i liberi consorzi dovranno avere una popolazione non inferiore a 150mila abitanti. È probabile che questa soglia sarà anche nella legge futura, magari con qualche piccola eccezione.
6) Sulla base del minimo di 150mila abitanti, ci sarebbe in Sicilia una capienza teorica di 20 liberi consorzi, ma poiché alcune aggregazioni supereranno abbondantemente la soglia minima, si possono ipotizzare da 12 a 15 liberi consorzi.
7) Ammesso che rimangano i sei capoluoghi esistenti (in ordine demografico: Siracusa, Ragusa, Trapani, Caltanissetta, Agrigento e Enna), quasi certamente cercheranno di costituire propri liberi consorzi anche alcuni dei più popolosi centri che attualmente non sono capoluoghi.
8) I candidati a divenire nuovi capoluoghi sono tanti, per popolazione (Marsala, Gela, Vittoria, Bagheria, Modica, Acireale, Mazara del Vallo, Paternò, Alcamo, Barcellona, Sciacca, Caltagirone, Licata, Augusta), oppure per rilevanza storica (tra i molti, Monreale, Termini Imerese, Milazzo, Piazza Armerina, Taormina, Cefalù, Noto).
9) Se consideriamo che alcuni candidati a capoluogo verranno con molta probabilità inglobati nelle aree metropolitane (Bagheria, Acireale, Paternò, Milazzo, ad esempio), saremo comunque in presenza di una competizione molto combattuta.
10) Le dispute più grosse, come è normale che sia, data la più intensa urbanizzazione, si avranno lungo le coste o in prossimità di esse. Nell’area interna della Sicilia, invece, i comuni più grandi rimangono Caltanissetta ed Enna.
11) Sul Tirreno hanno qualche probabilità di aggregare altri comuni soltanto Termini Imerese, Cefalù e Barcellona. Sullo Ionio, Acireale (se non andrà con Catania), Taormina e Augusta (che dovrebbe contrattare con Lentini e Carlentini). Sulla costa meridionale, potranno farcela Marsala o Mazara, Sciacca, una o due delle tre sul golfo di Gela (Gela, LIcata o Vittoria) e Noto (che dovrebbe trattare con Avola che è molto più grande).
12) Sulla seconda linea, a distanza dal mare, potranno provarci con qualche probabilità Alcamo, Modica e Caltagirone (con Piazza Armerina che proverà a concordare una partnership sia con quest’ultima che con Gela), ma anche Paternò, se non sarà inglobata nell’area metropolitana di Catania.
E adesso, la domanda finale: che cosa succederà nella Sicilia centrale? Paradossalmente la situazione più a rischio non è quella di Enna, ma quella di Caltanissetta, la quale perderà quasi certamente tutta l’area meridionale che andrà con Gela (Gela, dove è nato ed è stato sindaco il presidente della Regione, sarà sicuramente capoluogo di un Libero Consorzio) e potrà recuperare al massimo Pietraperzia e Barrafranca dall’attuale provincia di Enna. Difficilmente, quindi, Caltanissetta raggiungerà i 150mila abitanti, ma potrebbe ottenere una deroga perché è sede del quarto distretto giudiziario della Sicilia.
Enna avrà certamente alcuni innesti dal messinese e non perderà molti abitanti rispetto alla consistenza attuale. Potrebbe addirittura consolidarsi ed ingrandirsi. Alla fine, infatti, a Piazza Armerina converrà di gran lunga rimanere con Enna, dove è il secondo comune, invece che diventare il quarto o il quinto in un altro consorzio. A convincere Piazza Armerina a restare con Enna sarà una questione dirimente: la diocesi. Se Piazza Armerina dovesse staccarsi da Enna, perderebbe irrimediabilmente la sede vescovile a favore di Caltagirone (dove c’è già) o di Gela, a seconda dei casi. Ma non è detto che gli abitanti di Piazza Armerina non cedano alle lusinghe di altre aggregazioni, pur procurandosi un danno enorme.
I problemi più grossi sono comunque quelli elencati in apertura. Sono più che fondati i pericoli di un avvitamento della “riforma” sulle procedure, ed in particolare sulle discussioni e sulle deliberazioni all’interno dei singoli consigli comunali, che potrebbero determinare, non soltanto tempi imprevedibili, ma anche lacerazioni, rigurgiti campanilistici e scontri, si spera solo verbali, tra opposte visioni che, nel bene o nel male, sono state metabolizzate ed hanno trovato equilibri in molti decenni di storia.
Cataldo Salerno
Ex Presidente della Provincia di Enna