Mistretta è sita su un colle a circa 1000 metri sul livello del mare nei boscosi monti Nebrodi, ricchi di selvaggina e famosi fin dall’antichità per il loro splendore. La cittadina si trova a metà tra Palermo e Messina e la statale 117 collega in pochi minuti Mistretta al mare (15 chilometri circa) creando un suggestivo binomio montagna-mare, infatti, il panorama che si può ammirare dalle parti più alte del paese è spettacolare, dai boscosi monti si scende con lo sguardo fino al mare con sullo sfondo le Isole Eolie e, se a questo si aggiunge che durante l’inverno spesso il paese è ricoperto di neve, lo scenario cui si può assistere è unico.
L’origine precisa di Mistretta si perde nella profonda notte dei secoli. Le leggende vogliono questa città fondata dai Ciclopi, antichi abitanti della Sicilia secondo la “Odissea”, alcuni storici affermano che è stata fondata dai Fenici, ma molto probabilmente le sue origini risalgono ai Sicani, primo popolo abitante della Sicilia insieme ai Siculi, come dimostrano le antiche costruzioni in pietra e gli oggetti di ceramica ritrovati nel territorio circostante alla città, molto simili a reperti di civiltà sicana ritrovati nell’Asia Minore. In ogni caso, le origini di questa cittadina sono incerte e spesso la storia si confonde con il mito, tuttavia, intere generazioni di storici, a cominciare dalle prime documentazioni di età greca e romana, hanno cercato di risalire alla nascita di questa cittadina, sicuramente tra le più antiche della Sicilia. Chiara, è l’origine semitica della nomenclatura, che sembrerebbe indicare, qualunque sia l’interpretazione che si vuol accettare, una presenza fenicia nella zona in cui sorge oggi l’attuale centro di Mistretta, infatti Astarte era una divinità fenicia e l’archeologia ci suggerisce la presenza di un tempio a lei dedicato.
I Greci giunsero intorno al 700 a.C. sulla costa tirrenica siciliana e cominciarono ad insediarsi verso l’interno; si narra che un gruppo di questi, guidato da un condottiero detto Leukaspis, fu ben accolto a Mistretta, tanto che lo stesso condottiero fu venerato come un dio, come ci dimostra una moneta dell’epoca che raffigura il Leukaspis ed un tempio a lui dedicato nella città, sulle cui rovine probabilmente sorge la chiesa più grande del paese. I greci a Mistretta divennero sempre più numerosi e la città venne “ellenizzata” pacificamente. Rapidamente la “polis sicula” s’ingrandì e si mantenne indipendente con un suo arconte, secondo le leggi greche. Presto si riempì di templi (su quello dedicato a Dioniso sorge attualmente la Chiesa di San Giovanni Battista), ginnasi, teatri, e c’era anche una necropoli sita nella pendice occidentale del monte del castello e un’altra sita nell’attuale territorio della “Villa allegra” all’ingresso della città, dove sono stati ritrovati vasi commemorativi, frantumi di marmo con iscrizioni funebri, ossa, cocci e altri reperti che ci segnalano l’antica presenza di una necropoli in quel luogo. Era presente a Mistretta anche una fortezza, di cui hanno parlato Polibio e Tucidide, che dominava la città. Le sue macerie sono riconoscibili nella campagna antistante il monte castello, presso cui scavi hanno portato alla luce reperti archeologici di grande valore storico. Sullo sfondo delle Guerre Puniche, il centro ellenico fu posto sotto un terribile assedio dai Romani e nel 258, i consoli Ottacilo e Valerio (console), dopo aver sconfitto molte tra le più importanti città sicule, assediarono Mistretta per ben due volte usando anche molte macchine belliche, come la catapulta, per far terminare l’aspra resistenza dei mistrettesi, si racconta che dopo sette mesi d’inutile assedio, i romani si ritirarono devastando vandalicamente le campagne. In seguito giunsero in Sicilia i consoli Attilio Calatino e Caio Sulpizio che per la terza volta assediarono la città, questa volta i mistrettesi, avendo avuto tutti i raccolti distrutti, impietositi dalle lacrime delle mogli e sconfortati dall’abbandono delle città di Noma e Alesa, città alleate, aprirono le porte della città ai romani che dichiararono di essere indulgenti, ma non fu così ed, infatti, su ordine di Aulo Attilio, la città fu devastata. Silio Italico nelle sue “Storie” ci presenta Mistretta come un importantissimo centro che forniva ai romani oltre al grano anche soldati ben addestrati, per questo apparteneva alle città federate che godevano del privilegio di pagare le tasse solo in minima parte, compensano con uomini e frumento. Ed in effetti Mistretta acquista importanza con i Romani per la sua posizione dominante, divenendo punto di riferimento imprescindibile per chi viaggiava tra il cuore della Sicilia ed il Tirreno. Tracce storiche inerenti la città di Mistretta si trovano nelle “Verrine” ciceroniane in cui si narra dei soprusi commessi dal governatore Caio Verre in varie città siciliane, tra le quali proprio Mistretta sfruttata per l’enorme produzione di grano e per la ricchezza del centro abitato. Fu poi con Cesare Augusto che Mistretta, come moltissimi centri importanti, per vari motivi, iniziò ad impoverirsi e di questa città non si hanno più tracce storiche fino all’epoca imperiale, quando la popolazione riprese ad aumentare e a progredire nella pastorizia, nell’agricoltura e nel commercio. Dopo la caduta dell’impero, Mistretta divenne preda dei Vandali, poi dei Goti ed infine fu assoggettata dai bizantini che conquistarono l’intera Sicilia nel 535 d.C. In questo periodo, Mistretta dovette sostenere una forte fiscalizzazione e il suo territorio fu sottoposto a ruberie e saccheggi, ma si arricchì ulteriormente di opere d’arte.
A Mistretta è giunta anche la dominazione araba. Gli Arabi dominarono il paese tra l’827 e il 1070 e costruirono il Castello nel punto più alto della città. Dopo il periodo bizantino, la conquista musulmana rappresentò la premessa per una nuova fioritura per i mistrettesi, infatti, i nuovi venuti, guidati da Ibrahim Ibn Ahamed, erano mercanti e coltivatori e volevano valorizzare gli splendidi territori ereditati dai loro predecessori. Dal punto di vista religioso, non vi fu una forte penetrazione della cultura araba, ma per quanto riguarda gli aspetti sociali e politici e l’introduzione di nuove tecniche costruttive in edilizia o l’introduzione di nuove colture e tecniche di coltivazione, la presenza araba ha arricchito ulteriormente la cittadina mistrettese. Alla dominazione araba successe quella normanna durante la quale il castello fu ampliato ed abbellito. Il re normanno Ruggero d’Altavilla, nel 1101, donò Mistretta con le sue chiese, i suoi splendori e con tutto il suo territorio al fratello Roberto, Abate della Santissima Trinità in Mileto Calabro e dall’atto di donazione si possono ricavare notizie storiche sul paese che in quel periodo si stava ampliando lungo le falde del monte su cui sorgeva il castello arabo-normanno ed entro le mura di difesa di cui resti sono visibili nel Vico Torrione e lungo la Strada Numea dove si apre la Porta Palermo, una delle due antiche porte della città. Oltre all’insediamento urbano circondato dalle mura, vi erano numerosi “bagli”, aggregati sociali e produttivi circondati da orti, ed è proprio dagli antichi “bagli” che hanno avuto origine i quartieri medioevali di Mistretta ricalcati ancora oggi nell’attuale tessuto urbano del centro storico. Il castello è più volte al centro di operazioni militari, come nel 1082, quando Giordano, figlio illegittimo di Ruggero, approfittando dell’assenza del padre recatosi nelle Calabrie, tenta con la complicità dei suoi cortigiani di usurpare il potere, insediandosi stabilmente al governo della Sicilia, o ai tempi di Guglielmo il Malo, quando Matteo Bonello, ricevuta nel 1160 l’investitura della città, si fa promotore di una cospirazione contro il monarca, che diede i risultati sperati (ebbe come unico effetto l’uccisione del ministro Maione di Bari). La città fu insignita da Federico II di Svevia del titolo di “Città imperiale” e fu successivamente infeudata a Federico d’Antiochia e quindi a suo figlio Corrado. Fu in questo periodo che nacque l’attuale stemma della città raffigurante un’aquila, simbolo di potenza (essendo una città imperiale), ed una croce, simbolo di redenzione (era finita la dominazione araba).
Con i Normanni, i grandi latifondi, smembrati dagli Arabi, si ricostituirono e si rafforzò ancora di più il baronaggio. Finita la dominazione normanna, vi fu l’occupazione angioina che fu una vera e propria dominazione militare. Carlo I d’Angiò importò in Sicilia un feudalesimo arcaico danneggiando l’economia di molti importanti centri, tra cui Mistretta che fondava la sua prosperità sull’agricoltura e sul commercio, data la sua posizione geograficamente strategica. Impoverita e sfruttata dai francesi che distrussero anche i feudi normanni accorpandoli in grandi latifondi gestiti da signori angioini senza scrupoli e sottoposta ad infamie, ruberie e a forti prelievi fiscali, la città di Mistretta insorse e, nel 1282, i cittadini di Mistretta si unirono alla rivolta dei “Vespri Siciliani”. Per il gran contributo apportato nella lotta contro i francesi, la città fu inserita tra quelle demaniali ed accolta nel Parlamento del Regno di Sicilia con capitale Palermo, sotto gli Aragonesi. Durante la dominazione aragonese, furono le baronie locali a dominare su Mistretta.
Nel 1447, re Alfonso, sancì la demanialità di Mistretta ed i suoi Casali e, nel consentire al ceto artigiano di entrare a far parte del governo della città, creò i presupposti affinché, nel XVI secolo, la città si arricchisse di numerosi monumenti religiosi e civili. Notevoli testimonianze del Cinquecento, fase storica di splendore per Mistretta, ci sono date dalla magnificenza dei lavori con i quali gli scalpellini del paese arricchirono la Chiesa Madre, aggiungendoli ai raffinatissimi interventi dei Gagini. Di questo periodo è pure la fondazione dell’Ospedale e la “Casa dei Pellegrini”, edifici ancora oggi esistenti con le loro originarie caratteristiche. La città, tuttavia, mentre si arricchiva di arte (il barocco, le chiese, i palazzi, tele, sculture, …), subiva la stessa sorte del resto della Sicilia, la perdita del peso politico, dominata dai re di Castiglia.
Il Settecento fu anch’esso periodo di benessere per i mistrettesi, per la crescita economica dovuta all’esportazione di prodotti agricoli ed allo sfruttamento dei boschi comunali. Mistretta diviene quindi importante centro commerciale e sede d’uffici e magazzini che consentivano una efficiente lavorazione e commercializzazione dei prodotti. A questa ricchezza corrisponde l’affermarsi di una ricca borghesia che, grazie alle proprie commesse, consentì il fiorire di una serie di attività artigianali per la lavorazione del ferro e del legno. Questa ricca classe sociale provvide a far edificare palazzi signorili e urbanizzò l’area di proprietà della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria ai confini del bosco che sovrasta la cittadina. Nel 1713 (Trattato di Utrecht), la Spagna cedette i suoi possedimenti in Italia all’Austria, ma il principe Vittorio Amedeo di Savoia cui spettava la Sicilia la barattò in cambio della Sardegna e l’isola passò a Carlo VII del Sacro Romano Impero e più tardi a Carlo III di borbone; per i mistettesi e tutti i siciliani iniziava la dominazione borbonica. Sotto i Borboni, Mistretta divenne totalmente gestita dai baroni locali, dato il mal governo e l’incuria dei sovrani borbonici. La borghesia locale si preoccupò di abbellire a ampliare la città e durante l’Ottocento furono costruiti palazzi, fu messo in opera un poderoso riassetto urbanistico, furono abbellite le chiese con numerose opere d’arte, fu aperta la biblioteca comunale. La città riacquistò così l’antica importanza e divenne il punto di riferimento commerciale e culturale per tutti i centri vicini raggiungendo una popolazione di poco meno di 20.000 abitanti. Il regime poliziesco di Ferdinando II e il malcontento diffusosi a Mistretta presso la nascente classe media costituita da professionisti, artigiani e massari, fecero sì che la cittadina mistrettese fosse la prima ad insorgere contro i borboni dopo Palermo nel 1860 contribuendo alla causa dell’unità d’Italia. Successivamente Mistretta subì le vicende di tutta la Sicilia nell’Italia post-unitaria fino ai giorni nostri. All’inizio del ‘900, infatti, la Sicilia aveva quasi del tutto consumato l’immagine forte che il secolo appena concluso le aveva permesso di costruire e consegnare, la sua storia regionale superava in varietà e prestigio quella delle altre regioni. Mistretta, come molte altre città sicule in quel periodo, aveva raggiunto l’apice del suo splendore economico, artigianale, artistico e culturale, ma dietro ai palazzi nobiliari, ai circoli culturali, alle fiere, alle feste di paese, si nascondevano le sorti infauste che hanno segnato le vicende di numerose cittadine della Sicilia. La cittadina ha seguito il destino di gran parte dei centri di montagna siciliani nel Novecento, ha subito i colpi inferti dalla disoccupazione fino allo spopolamento per emigrazione (dai 20.000 abitanti dell’Ottocento, oggi sono poco più di 5.000), subisce la fuga dei più giovani che per motivi di studio o per cercare nuove opportunità lasciano il centro nebroideo, vede scomparire ogni giorno parte del suo patrimonio artistico-culturale sotto i colpi inferti dalla negligenza e dalla delinquenza. Mistretta fu uno dei primi comuni siciliani ad avere l’energia elettrica e oggi nel suo comune ci sono un Tribunale, l’Ospedale, la Caserma dei carabinieri, un carcere, due licei (classico e scientifico), l’Asl e sono presenti numerose strutture e servizi che non si giustificherebbero in un piccolo centro montano se non ricorrendo alla sua millenaria storia. Degli antichi fasti e della grandezza di un tempo rimangono tracce tangibili nelle 22 chiese ancora tutte attive e ricche d’opere d’arte di valore inestimabile, nei palazzi e nei monumenti.
Il Museo Regionale delle Tradizioni Silvo-pastorali “Giuseppe Cocchiara”
Il Museo Regionale delle Tradizioni Silvo pastorali “Giuseppe Cocchiara” è il primo museo demo-etno-antropologico regionale concepito ex novo a veder la luce in Sicilia. Inaugurato nel marzo 2007, esso è stato intitolato a Giuseppe Cocchiara, illustre antropologo, demologo e studioso di tradizioni popolari, scienziato di fama internazionale, continuatore dell’opera di Giuseppe Pitrè e organizzatore del Museo palermitano che dal grande folklorista prese il nome. A far data dalla sua apertura il Museo funziona come istituzione dotata di propria autonomia scientifica e finanziaria e, compatibilmente con il completamento dei lavori di restauro dell’intero Palazzo, esso proporrà all’utenza anche altre collezioni oggi non esposte se non in piccola parte (l’intera collezione di dipinti su vetro che – consistendo di quasi 200 pezzi – è la più ingente raccolta del genere esistente in Italia e una pregevole collezione di costumi di Confraternite siciliane dei secc. XVII-XIX). La cultura di cui il museo intende rappresentare le forme non è solo quella relativa ai pastori, ma anche ai taglialegna, ai carbonai, ai cacciatori, a tutti coloro che hanno nel corso del tempo antropizzato le zone interne dell’isola elaborando forme di cultura e habitat fortemente radicati in tale peculiare ecosistema. All’interno di tali contesti, la pastorizia viene dunque assunta come attività emblematica piuttosto che eminente, proprio in forza del suo rappresentare esemplarmente uno dei percorsi antropologici più densi di memoria all’interno del mondo euro-mediterraneo. Nel Museo, ospitato in un palazzo settecentesco a tre piani di cui solo una parte è stata fin qui allestita, sono state attivate le sezioni documentanti i cicli produttivi, le attività lavorative e artigianali, nonché le forme complessive di cultura, tanto materiale quanto “volatile”, espresse nei contesti agro e silvo-pastorale.
Tra essi si indicano la pastorizia, l’allevamento e alcune realtà artigianali connesse, come quelle dei fabbri e dei maniscalchi, i mestieri del bosco (taglialegna, mastri d’ascia, nivaroli) e le attività dei carbonai, la coltivazione del frassino e la produzione della manna, la caccia, l’ambito estetico pastorale, i cicli produttivi primari (grano vite ulivo), la coltivazione e lavorazione del lino. A corredo dei materiali sono stati predisposti pannelli didattici mobili, schede tecniche dei reperti nonché modellini in scala di impianti produttivi tradizionali e di architetture pastorali. L’intero percorso è stato infine organizzato attraverso postazioni multimediali (monitors con touch screen) che per un verso rendono possibile al visitatore interessato una più ampia fruizione del patrimonio oggettuale esposto attraverso un software dedicato che permette di navigare lungo le trame del museo per circa quattro ore, per altro verso dischiudono un rapporto interattivo tra la realtà museale e i suoi utenti attraverso un percorso fluido e “aperto”. Pur non configurandosi, a stretto rigore, come un ecomuseo, il Museo “Giuseppe Cocchiara”, secondo le prospettive contenute nel progetto scientifico di allestimento, prevede una futura proiezione territoriale che di fatto, una volta pervenuti al suo funzionamento a regime, determinerà un decisivo travalicamento dei suoi confini fisici e la connessione funzionale a contesti ad esso esterni e tuttora “vitali”, come i luoghi del lavoro e della produzione, delle cerimonie e dei riti, del teatro e della memoria.
Museo della Fauna
Il Museo della Fauna è stato inaugurato il 5 giugno 2011, presso il Palazzo Loiacono-Portera, a Mistretta. La struttura ospita centinaia di preparati tassidermici provenienti, in larga parte, dalla storica collezione “Giambona”, acquisita negli anni dall’Ente parco. Il percorso espositivo parte dalla presentazione di alcune specie fossili ed, attraverso diversi locali in cui sono raccolte, a seconda del contesto ambientale, le specie più significative del territorio siciliano, si sofferma, in ultimo, sull’avifauna caratteristica dell’area protetta. Accanto alle teche espositive, inoltre, numerosi pannelli consentono al fruitore di acquisire le necessarie informazioni scientifiche su ogni singola specie. La struttura è dotata di un’ampia sala riunione per effettuare incontri di approfondimento con gruppi e scolaresche. La cura scientifica del Museo è stata assicurata dal prof. Maurizio Sarà dell’Università di Palermo, mentre gli accorgimenti espositivi sono stati progettati dall’arch. Franco Brancatelli.
Il Palazzo Loiacono-Portera, che ospita il Museo della Fauna, è un edificio di alto pregio storico ed architettonico di Mistretta, recuperato nel 2008 dall’Ente Parco per destinarlo a struttura museale ed alle attività promozionali dell’area protetta. Il Museo della Fauna rappresenta, inoltre, una sezione staccata del Museo regionale delle tradizioni silvopastorali, intitolato all’illustre antropologo e demologo mistrettese Giuseppe Cocchiara; è stato istituito, nel 2003, dall’Assessorato Regionale Beni Culturali, dal Comune di Mistretta e dallo stesso Ente Parco dei Nebrodi ed inaugurato il 31 marzo 2007. Nel Museo Regionale, ospitato in un palazzo settecentesco precedentemente adibito a Palazzo di Giustizia, sono state attivate interessanti sezioni documentanti i cicli produttivi, le attività lavorative e artigianali, nonché le forme complessive di cultura, tanto materiale quanto “volatile”, espresse nei contesti agro e silvopastorale del territorio siciliano ed, in particolare, del comprensorio dei Nebrodi.
Chiesa Madre di Mistretta
La Chiesa Madre di Mistretta sorge nel cuore del centro abitato e sporge, lungo il fianco meridionale, sulla piazza Vittorio Veneto. Dedicata a S. Lucia nel XVII secolo, ma di tale intitolazione si ha già notizia in epoca normanna. La chiesa, nel XVI secolo, aveva un aspetto diverso dall’attuale, con il presbiterio situato dove adesso si trova la porta maggiore. Della chiesa cinquecentesca facevano già parte il Portale settendrionale in marmo del 1494 attribuito a Giorgio da Milano e la torre campanaria di sud-est, sulla quale è incisa la data 1521. L’ingresso principale, col relativo Portale maggiore in pietra scolpita, fu probabilmente scolpito più tardi. Nel 1626 viene aperto un nuovo ingresso laterale con un portale in pietra. La facciata è dotata di un portale barocco con decorazioni in pietra intagliata, l’interno di forma rinascimentale, elegante con colonne corinzie e grandi arcate ospita un notevole patrimonio artistico: l’ancona marmorea di S. Lucia coi santi Pietro e Paolo e gli Apostoli di Vincenzo Gagini, il Cristo Risorto (1552), la statua della Madonna dei Miracoli (1495), il medaglione in marmo posto nell’altare maggiore raffigurante la Pietà di Marabitti, il maestoso organo e numerose tele del XVII-XVIII sec. realizzate da vari autori fra i quali Giuseppe Tomasi da Tortorici, Antonino Manno, Vincenzo Genovese e Benedetto Berna. Da attribuire a Giovanni Biffarella il maestoso Coro ligneo del XVIII secolo con i suoi settantuno stalli finemente scolpiti.
Chiesa di S. Sebastiano
Inziata nella seconda metà del ‘500 presenta un portale di forma gotico- catalano e un campanile a quattro ordini con cupola a bulbo. Nei decenni dell’800 la chiesa subì una trasformazione in forme neoclassiche e successive modifiche dovute al terremoto del 1967. La facciata è decorata da un rilievo in mistura, raffigurante il santo patrono S. Sebastiano trafitto dalle frecce. All’interno, oltre ad alcune tele e statue si ricorda la scultura lignea di Frà Macario da Nicosia raffigurante L’Angelo custode e fanciullo (1653). Nella chiesa viene custodita la statua del santo protettore di Mistretta, S. Sebastiano di Noè Marullo, posta entro una custodia processionale di grande pregio ed impatto scenico scolpita su legno dai Li Volsi nel XVII secolo.
Chiesa di San Giovanni
Costruita nel 1534 su un precedente tempio pagano è inserita nell’unità architettonica della Piazza dei Vespri. Preceduta da un imponente doppia scalinata semicircolare, conserva un portale sormontato da una lunetta ogivale che coniuga elementi rinascimentali e gotico–catalani. Alla base sono posti due leoni accovacciati, scolpiti in pietra, recanti dei simbol liturgici. All’interno interessanti tele ottocentesche e sculture lignee tra cui una statua in cartapesta della Madonna Assunta (1880) di Noè Marullo.
Chiesa S. Maria Annunziata
Alla piccola cappella, dedicata alla Vergine Annunziata, si accede tramite una balconata fornita di gradini da ambo i lati. La facciata che si trova sulla parete destra dell’edificio, presenta un portale in pietra dove, sulla chiave d’arco è scolpita una sfera, circondata di volute, con una nicchia vuota sovrapposta. All’interno è collocato un solo altare.
Chiesa di S. Biagio
Questa piccola chiesa, che viene aperta solo in occasione della festa di S. Biagio, sorge nel quartiere omonimo. E’ a navata unica con un solo Altare maggiore e due nichhie laterali.
Chiesa di S. Antonio da Padova
La chiesa in realtà è una piccola cappella situata nel quartiere omonimo in via Anna Salamone. Fu probabimente edificata a cavallo tra XVIII e XIX secolo e ristrutturata nel XX secolo. Ad essa si accede da una balconata fornita di gradini laterali. Al suo interno sono presenti tre altari, in quello maggiore e custodita la statua di S. Antonio Abate realizzata nel 1910 da Noè Marullo.
Chiesa di S. Giuseppe
Sulla via Anna Salamone, a circa cinquanta metri dalla chiesa di S. Antonio da Padova, si affaccia la chiesa di S. Giuseppe o del Bambin Gesù. Fu eretta nel 1595, come si deduce dalla data incisa sul portale insieme alla dedica al Santo titolare. Nel 1760 fu annesso alla chiesa l’Istituto delle Suore Collegine di Maria, oggi completamete rifatto, che comunica dall’interno con la chiesa. La facciata, ornata da un portale architravato eseguito in pietra locale, è affiancata a sinistra da una possente torre campanaria a tre ordini. All’inteno sono disposti sei altari il cui arredo si data variamente dalla seconda metà del ‘600 fino al XX secolo. Di pregevole fattura si sottolinea la presenza di una tela di Giuseppe Velasques del 1808 raffigurante il Cristo risorto e la Maddalena, oltre ad opere di Sebastiano Calà, discepolo e concittadino di Giuseppe Tomasi da Tortorici, e la Sacra Famiglia opera di un maturo Noè Marullo.
Chiesa di Santa Maria di Gesù
La chiesa di S. Maria di Gesù è situata alla fine della via Anna Salamone, adiacente al complesso ospedaliero SS. Salvatore. I Frati Minori Riformati si insediarono nel 1610 nel convento annesso alla chiesa che già allora era adibito a luogo di accoglienza dei poveri e degli infermi e vi rimasero fino alla soppressione degli Enti ecclesiastici. In seguito a ciò, nel 1874, il convento, costruito attorno ad un ampio cortile porticato fu destinato dalla Commissione sanitaria ad accogliere una nuova struttura ospedaliera, a scapito dell’antica del SS. Salvatore, costruita nel 1571 e gestita da religiosi, che fu venduta all’asta; l’orto, l’attuale Villa Chalet, fu dato in affitto con l’impegno di rimboschirlo, mentre la chiesa rimase aperta al culto. Attualmente la chiesa funge da cappella dell’ospedale. La facciata è ornata solo da un bassorilevo raffigurante la Natività. Al suo interno, da menzionare, una Madonna di ogni titolo del XVI secolo e il Crocifisso ligneo opera di Fra’ Umile da Petralia.
Chiesa di S. Caterina
In origine piccola chiesa rurale, in seguito venne ampliata a tre navate dagli archi leggeri, con colonne monolitiche che poggiano su basamenti istoriati che alludono alla lotta fra il bene e il male. E’ una delle chiese più antiche di Mistretta e la sua origine è legata, nella tradizione, ad un episodio leggendario secondo il quale sarebbe stata costruita nel XIII secolo per volontà di un facoltoso mercante scampato ad una tempesta in prossimità di S. Stefano di Camastra. Tornando alla storia, la chiesa esisteva già nel 1493, data in cui fu eseguita la statua della titolare. Successivamente la costruzione fu ampliata nel secolo successivo, come si evince dalla scritta 1547 scolpita nel capitello della quarta colonna della navata destra. Ancora nel 1572 fu oggetto di ampliamento con l’apertura di un nuovo portale datato 1576. Dal 1945 la chiesa fu elevata a Parrocchia e, purtroppo, per far fronte ad esigenze legate all’attività parrocchiale, fu sacrificata parte del transetto al fine di costruire il salone parrocchiale. E’ rinascimentale l’altare maggiore su cui è collocata la statua della Santa Caterina, attribuita a Giorgio da Bregno (1492). Le pitture a guazzo sulla volta absidale di ignoto, rappresentano i quattro Evangelisti, il Pantocratore, e gli angeli musici.
Chiesa di San Francesco
Già annessa al monastero delle benedettine fino al 1569, fu in seguito rimaneggiata dai Frati Cappuccini. Dopo quell’anno la chiesa gia intitolata a S. Maria degli Angeli, fu annessa al tredicesimo convento dei Padri Cappuccini. Durante tutto il XVII secolo la chiesa fu oggetto di ampliamento ed abbellimento. I Padri Cappuccini occuparono il convento fino alla soppressione delle corporazioni ecclesiastiche nel 1869; in seguito fu trasformato in carcere giudiziario e l’annesso orto giardino in villa comunale G. Garibaldi. Gravemente danneggiata in seguito al sisma del 1967, è stata chiusa al culto fino al 1984 quando è stata riconsegnata ai fedeli dopo importanti lavori di restauro che hanno interessato tanto la struttura quanto le opere d’arte custodite. L’altare maggiore rappresenta uno dei maggiori capolavori in legno esistenti in Sicilia, fu eseguito dallo scultore, intagliatore, sacerdote Giovanni Biffarella e da Frate Bernardino da Mistretta. Tutte le tele sono inserite in cornici lignee che sovrastano gli altari anch’essi in legno. Sono presenti tele di Scipione Pulzone (Madonna degli Angeli) F. Feliciano da Messina (Madonna col Bambino), Noè Marullo (S. Felice da Nicosia) ed altri. Da ricordare anche i particolari affreschi murali seicenteschi.
Chiesa del SS. Salvatore
Restaurata e riaperta al culto, presenta al suo interno nel catino absidale un affresco iconografico bizantino, riconducibile alle chiese normanne siciliane raffigurante un Cristo Pantocratore.
Chiesa di S. Maria dei Miracoli
Posta all’incrocio tra la piazza S. Sofia e la via Catalani, nel quartiere “Santuzza”, è la chiesa più piccola di Mistretta. In questo sito sorgela la chiesa dedicata a S. Sofia, già fatiscente nel 1739, in seguito andata distrutta e della cui esistenza resta traccia nella denominazione della piazza antistante.
Chiesa del Carmine
Costruita ai piedi della rocca dove forse anticamente esisteva una cappella normanna, fu edificata nel 1675. Si accede ad essa tramite una doppia rampa di scale; in facciata è posto un portale in pietra affiancato da due lesene scanalate, poggianti su alti basamenti scolpiti con motivi rabescanti. La struttura non ha subito particoilari modifiche dal 1750 ad oggi e solamente nel XIX secolo sono stati aggiunti due altari laterali. Custodisce un singolare Paliotto (1665) di produzione popolare dalla complessa figurazione ottenuta con un suggestivo collage di paglia e legno.
Chiesa del Purgatorio
Edificata nel 1669, era probabilmente annessa ad un convento adiacente, adibito negli anni passati a palazzo di giustizia ed oggi sede del Museo silvo pastorale dedicato a Giuseppe Cocchiara. E’ arricchita da affreschi e da statue policrome di santi che affiancano gli altari laterali. Nella chiesa sono custoditi: il Crocifisso ligneo dei Li Volsi (1608), Affreschi del presbiterio databili al decennio 1720-1729 Attribuito a G. Tomasi da Tortorici l’Apoteosi di S. Tommaso e Le anime dl Purgatorio.
Chiesa della SS. Trinità
L’origine è normanna, l’impianto ellittico unito al barocco la rende unica nel suo genere. Il prospetto attuale è del XVII sec, affiancato da due campanili culminanti a guglie coniche rivestite da tessere policrome in ceramica. Nei primi del ‘900 sopra l’architrave fu inserito l’ Angelo sulla bara scolpito da Noè Marullo.
Chiesa di S. Nicolò
La chiesa esisteva già nel 1501 e successivamente fu riedificata come dimostra la data 1601 riportata sul portale. Esso presenta degli elementi in tardo stile gotico-catalano. Nel 1639 fu ristrutturata, nel 1670 fu demolita la torre campanaria, allora posta a sinistra, e ne fu costruita una nuova al destra, a quattro ordini, con quattro bifore e cupola. Ancora nel 1816, in seguito ad un incendio, andò interamente distrutta e fu nuovamente restaurata, furono inseriti nuovi stucchi e tele alcune delle quali riprenderono i temi da quelle andate distrutte. Chiesa elevata a Parrocchia, ad essa appartengono le chiese di SS. Cosma e Damiano, S. Luca, S. Maria del Carmine e S. Pietro. Nella chiesa è custodito il simulacro dell’Immacolata,espressione dell’umano e del divino attribuito al Marullo. Di notevole pregio artistico è la pala dell’altare maggiore raffigurante S. Nicola. Presenti anche due tele di Antonino Manno del 1771: La Madonna salva un Anima del Purgatorio e Sacra Famiglia con S. Anna e S. Giovannino.
Chiesa di S. Maria della Luce
La chiesa della Madonna della Luce si trova fuori dal centro urbano, presso il cimitero, ed è ancora sotto la giurisdizione comunale. Il primo nucleo probabilmente comprendeva solo una cappella risalente almeno al XIV secolo, quando, accanto alla chiesa, vi era un piccolo convento abitato da alcuni monaci Basiliani di S. Maria del Vocante. Dalla Giuliana del 1750 apprendiamo che la chiesa allora aveva all’interno una pianta ad aula con due altari laterali e una nicchia contenente la statua della Madonna della Luce, e, nella parte absidale, divisa dalla navata da una cancellata di ferro battuto, si venerava l’immagine dipinta della Madonna, tuttora visibile. Era anche presente una “pennata”, ossia una tettoia, appoggiata al prospetto principale e sorretta da dieci colonne in pietra con relativi capitelli e basamenti. Nei primi anni del XIX secolo la chiesa fu ampliata con l’apertura del transetto e la creazione della cupola con tiburio ottogonale all’incrocio dei due bracci, e già nel 1808 il pittore De Caro potè ultimare all’interno la decorazione pittorica. Con la costruzione del cimitero monumentale iniziata nel 1874, avvenne la distruzione della “pennata” esterna. I capitelli e le colonne demolite ed alcuni resti sono visibili all’nterno dello stesso cimitero e in patte al Museo Civico Polivalente.
Altre chiese
Chiesa di S. Rosalia
Chiesa SS. Cosma e Damiano
Chiesa di Maria SS. del Rosario
Chiesa di S. Luca
Chiesa di S. Pietro
Chiesa della Madonna delle grazie e S. Pio
I palazzi
Essi sono importanti documenti d’arte che testimoniano i continui mutamenti nell’alternarsi di momenti di splendore e decadenza della città. Ideati per valorizzare l’ambiente e soprattutto il prestigio dei proprietari, dovevano rispondere ad un’esigenza estetico-rappresentativa. All’interno di queste dimore lavorarono molti pittori di notevole bravura, lasciando sulle volte la testimonianza più alta della loro creatività. Si rimane affascinati, inoltre, dagli effetti decorativi che adornano facciate e balconi: simboli araldici, elementi floreali che richiamano la civiltà contadina, volti grotteschi di fattura barocca legati alla storia locale.
Palazzo Tita: ricostruito nel 1885, in bugnato con putti sulla facciata e con una Medusa e mostri marini sul portale.
Palazzo Gallo: presenta dei balconi fregiati dove vengono riproposte le maschere del teatro, rappresentazione allegorica della cultura, privilegio della classe nobile
Palazzo Scaduto: edificato nel 1660 in stile barocco. Il portale principale è arricchito da due maestose figure antropomorfe e da bassorilievi; all’interno conserva la più alta scala alla trapanese di Sicilia.
Palazzo Russo: esempio di architettura settecentesca con portale ad arco a tutto sesto in pietra arenaria con alla sommità l’aquila dello stemma nobiliare e ringhiere di tocco ispanico sui balconi. All’interno la loggia risale sicuramente ad un’ epoca precedente.
Palazzo Salamone: costruito su preesistenti fabbricati di cui rimane un’edicola votiva, presenta nel prospetto in bugnato una chiave di volta raffigurante la Madre mediterranea. Al Marullo sono attribuiti i calchi delle lunette che riproducono personaggi dell’età greco-romana.
Palazzo Faillaci: nato nella prima metà dell’800, il fabbricato colpisce per il suo rapporto planimetrico con la via Libertà. Fu Noè Marullo ad arricchire la facciata del palazzo con quattro lunette laterali dove raffigurò altrettanti putti come allegorie delle arti ( pittura, scultura, musica, poesia).
Abbeveratoi
Fntana San Vincenzo. Adiacente alla chiesa di San Vincenzo nello spiazzale denominato “Largo Progresso”, nel 1875 fu costruita una fontana in pietra, dal mastro scalpellino Vincenzo Arcieri, il quale appaltò i lavori di costruzione dell’acquedotto. Dalla fontana oggi non sgorga più acqua, ma è possibile ammirare il mirabile lavoro realizzato dall’artigiano mistrettese.
Fontana Palo. La città di Mistretta essendo in montagna è ricca di acqua che sgorga in molte fontane oltre che confluire nell’acquedotto comunale. Nel quartiere “Palo” chiamato così perché nel “Largo Buonconsiglio” durante il Seicento venivano “messi al palo”, cioè impiccati i dissidenti, vi è una maestosa fontana.Questa fontana venne costruita nel 1860 dai maestri scalpellini locali e dai fratelli Pellegrino. Oggi si alimenta tramite l’acquedotto comunale, ma in passato era e collegata attraverso un sistema idraulico alle sorgenti dette “Virdicanne”.
Fontana del SS. Rosario. Vicino la chiesa del SS. Rosario, definito e pavimentato tra il 1868 e il 1870 in seguito ad un riassetto urbanistico della città, vi era una fontana in pietra, eseguita dagli scalpellini Giaimo e Cannata riutilizzando pezzi provenienti dalla “Fontana del Fruscio”, prima sita nella P.zza Vittorio Veneto. La fontana negli anni sessanta fu spostata di qualche centinaio di metri per facilitare il percorso delle macchine che diventavano sempre più numerose.
Villa Comunale: fu orto dei Frati Cappuccini, nel 1889 la villa fu dedicata a Giuseppe Garibaldi a memoria dell’impresa garibaldina a cui Mistretta aveva partecipato attivamente. Posta nel centro della città è un luogo di ritrovo dove trascorrere momenti piacevoli
Il Castello
Il Castello, già conosciuto in epoca romana (Polibio lo definisce “vetustissimo”), poi arabo, poi normanno e quindi aragonese, recentemente restaurato.
Le prime notizie sulla fortezza si hanno da un privilegio del 1101 con il quale il conte Ruggero dona al Demanio Regio e infeuda a se stesso Mistretta con il suo castello. Questo fu teatro di grandi avvenimenti per circa 300 anni, infatti lì si rifugiò Matteo Bonello durante la rivolta contro Guglielmo Re dei Normanni, vi si stabilì Federico D’Antiochia durante la rivolta contro Re Pietro D’Aragona nel 1337. Nel 1360 vi si trattenne Re Federico D’Aragona prima del matrimonio con Costanza. Altre notizie si riferiscono al 1474, quando era castellano regio Sigismondo De Luna, che aveva il compito della riscossione delle gabelle e che lasciò nell’incuria il castello. Nel 1520 il castello era già in rovina e ridotto a carcere. Il personale era costituito da due sole persone, il castellano e il portiere. Nel 1608, il castello era completamente in rovina. Nel 1633 i mistrettesi distrussero quanto rimaneva del castello simbolo delle angherie del potere regio. Nel 1686 una grande frana, che interessò tutta la vallata, distrusse il versante nord-est della rocca del castello che cambiò per sempre la sua morfologia. Dall’epoca della sua distruzione, i ruderi del castello e le rocce vicine vennero usati come cava di pietra per la costruzione delle case dei mistrettesi. Nel 1863 il Sindaco proibì con una ordinanza di “ fare pietra al castello “.
Di tale complesso oggi rimangono i ruderi delle mura perimetrali, e sul lato nord si configura ancora uno degli ingressi. Inoltre sono riconoscibili i ruderi delle mura di cinta nonché di strutture sussidiarie.
Con gli scavi archeologi effettuati nell’area sottostante i ruderi, negli anni ’80, sono stati rinvenuti le fondamenta di una piccola chiesa triabsidata, di probabile epoca normanna impiantata in uno strato di materiale bizantino.
Gastronomia mistrettese
La gastronomia mistrettese racchiude la genuinità, la semplicità e la ricchezza dei prodotti tipici locali e, dai primi piatti ai dolci, riesce a soddisfare anche i palati più esigenti, grazie anche agli aromi che la natura elargisce spontaneamente in questa zona, quali il finocchietto selvatico, l’origano, l’alloro……che riescono a dare un sapore particolare a molti cibi.
Alcuni piatti vanno di pari passo con le stagioni. Dall’autunno in primavera le verdure selvatiche, i funghi e i legumi primeggiano nelle mense; in estate gli ortaggi, il tutto condito con olio extravergine di oliva di produzione locale. Assieme ai prodotti agricoli vi sono quelli caseari, la provola, la ricotta fresca e salata, i formaggi di primo sale o stagionati e la carne nostrana.
Particolarmente apprezzata da quanti la gustano è, tra i prodotti caseari, la cosiddetta ricotta salata, per le quali si sfrutta una particolare tecnica di lavorazione. Il prodotto, opportunamente grattugiato, da un sapore caratteristico ai piatti anche più comuni, come per esempio la pasta con il pomodoro fresco ed alcuni piatti tipici mistrettesi, come la pasta con la zucchina o la caratteristica “ parmigiana “ locale. Né meno apprezzate sono alcune verdure selvatiche che vengono utilizzate, opportunamente cotte, come contorni, frittate, polpette, insalate o come condimento ai primi piatti. I finocchi selvatici, che oltre ad essere usati per la notissima “ pasta con le sarde “, nel nostro territorio vengono impiegati per fare delle prelibate polpettine fritte, da consumare calde o fredde, oppure ottime insalate, che si sposano con i sapori più disparati. Altro piatto prelibato, ma poco conosciuto fuori dai confini del nostro territorio, sono i caratteristici “ purrietti “ ( porri selvatici ), che ben reggono, a detta di molti, il confronto con la ben più nota “ bagna cauda “ piemontese? Il procedimento che rende, commestibile questa verdura è un po’ lungo ma i risultati fanno dimenticare la fatica che la preparazione richiede. Gustosi piatti si ottengono anche utilizzando gli asparagi di vario tipo che il nostro territorio produce in abbondanza. Lo stesso dicasi per i funghi che richiamano nella nostra zona tanti “ ricercatori “ provenienti anche da paesi distanti. Tra questi, pur se poco conosciuti, si annoverano i “ bissini “ ( vescie ) dalla forma, sapore e odore molto particolari.
Bovini, suini e caprini, allevati nel nostro territorio, forniscono la carne delle nostre mense. Gustose le grigliate, aromatizzate dal “ salmurigghiu “, speciale salsa a base di olio, limone ed aromi vari; buonissimo il capretto o l’agnello al forno… Fra tutti, comunque, eccelle la tipica salsiccia mistrettese di puro suino, aromatizzata con finocchietto selvatico. La stessa, essiccata, è un ottimo salame.
E, dulcis in fundo, i dolci tipici amastratini: la “ pasta reale “, anticamente regina dei banchetti nuziali ed oggi invece gustabile ogni giorno, da non confondere con la “ frutta martorana “ è un particolare tipo di dolce a base di mandorle e zucchero modellato a mano a forma di fiori e frutti; i “torroncini” di forma conica; i “napoli” a forma di rametti e i “scattati”, dal gradevole odore di vaniglia e cannella. E non mancano dolci tipici di alcune festività religiose come “ i varate “ del periodo pasquale e “ i vucciddati “ del periodo natalizio.
Parco regionale dei Nebrodi
I Nebrodi, assieme alle Madonie ad ovest e ai Peloritani ad est, costituiscono l’Appennino siculo. Essi s’affacciano, a nord, direttamente sul Mar Tirreno, mentre il loro limite meridionale è segnato dall’Etna, in particolare dal fiume Alcantara e dall’alto corso del Simeto.
Notevole è la escursione altimetrica, che da poche decine di metri sul livello del mare raggiunge la quota massima di 1847 metri di Monte Soro. Altri rilievi da segnalare sono la Serra del Re (1754 metri), Pizzo Fau (1686 metri) e Serra Pignataro (1661 metri).
Gli elementi principali che più fortemente caratterizzano il paesaggio naturale dei Nebrodi sono l’asimmetria dei vari versanti, la diversità di modellazione dei rilievi, la ricchissima vegetazione e gli ambienti umidi.
Connotazione essenziale dell’andamento orografico è la dolcezza dei rilievi, dovuta alla presenza di estesi banchi di rocce argillose ed arenarie: le cime, che raggiungono con Monte Soro la quota massima di 1847 s. l. m., hanno fianchi arrotondati e s’aprono in ampie vallate solcate da numerose fiumare che sfociano nel Mar Tirreno. Ove però predominano i calcari, il paesaggio assume aspetti dolomitici, con profili irregolari e forme aspre e fessurate. È questo il caso del Monte San Fratello e, soprattutto, delle Rocche del Crasto (1315 m. s. l. m.).
I comuni ricadenti nell’area del parco sono 23: 18 in provincia di Messina (Acquedolci, Alcara Li Fusi, Capizzi, Caronia, Cesarò, Floresta, Galati Mamertino, Longi, Militello Rosmarino, Mistretta, Sant’Agata di Militello, Santa Domenica Vittoria, San Fratello, San Marco d’Alunzio, Santo Stefano di Camastra, San Teodoro, Tortorici, Ucria), 3 in provincia di Catania (Bronte, Maniace, Randazzo), 2 in provincia di Enna (Cerami, Troina).
Zone
Il parco è suddiviso in quattro zone nelle quali operano, a seconda dell’interesse naturalistico, particolari divieti e limitazioni, funzionali alla conservazione e, quindi, alla valorizzazione delle risorse che costituiscono il patrimonio dell’area protetta.
La zona A (di riserva integrale), estesa per 24.546 ettari, comprende i sistemi boschivi alle quote più elevate, le uniche stazioni siciliane di tasso (Taxus baccata) ed alcuni affioramenti rocciosi. Oltre i 1200 metri sul livello del mare, sono localizzate varie faggete (circa 10.000 ettari), mentre a quote comprese fra gli 800 e i 1200 metri, sui versanti esposti a nord, e tra i 1000 e i 1400 metri, sui versanti meridionali, è dominante il cerro. Ampie aree per il pascolo s’aprono, inoltre fra faggete e cerrete. È importante evidenziare che il faggio trova nel parco l’estremo limite meridionale della sua area di diffusione. A quote meno elevate (600-800 metri sul livello del mare) si trova la sughera che, in particolare nel territorio di Caronia, forma associazioni di grande pregio ecologico. Sono, infine, comprese nella zona A le stazioni delle specie endemiche più importanti e le zone umide d’alta quota, nonché tratti d’interessanti corsi d’acqua.
La zona B (di riserva generale), estesa per 46.879 ettari .
La zona C (di protezione), estesa per 569 ettari.
La zona D (di controllo) è l’area di preparco estesa per 13.593 ettari.
Clima
I complessi boschivi incidono notevolmente sul clima del territorio nebrodense, che si caratterizza per avere, diversamente dalla costa e dal resto della Sicilia, inverni lunghi e rigidi ed estati calde ma non afose. Le temperature delle zone interne, pur variando da un’area all’altra, generalmente si mantengono fra 10 e 12 °C nella media e alta montagna, mentre la piovosità, fortemente correlata all’altitudine e soprattutto all’esposizione dei versanti, varia da un minimo di 600 mm ad un massimo di 1400 mm. Fenomeni come la neve e la nebbia sono assai frequenti e fanno sì che si crei quel giusto grado d’umidità necessaria per l’esistenza di alcuni tipi di bosco. Il lento deflusso delle acque meteoriche verso valle, la condensazione e le piogge occulte favoriscono, infatti, la permanenza del faggio che, grazie alle sue foglie ovali provviste di peluria, è in grado di trattenere l’acqua di condensazione riuscendo a superare i lunghi periodi siccitosi.
Flora
La vegetazione del parco dei Nebrodi è caratterizzata da differenti tipi di vegetazione sia in funzione della fascia di altezza sul livello del mare che da altri fattori fisici e ambientali.
Nella fascia litoranea e nelle colline retrostanti, fino ai 700-800 metri s.l.m., cosiddetta fascia termomediterranea la vegetazione è rappresentata da boschi sempreverdi di sughera (Quercus suber) alternata a zone di macchia mediterranea che comprende specie quali l’Erica arborea, la ginestra spinosa (Calycotome spinosa), il corbezzolo (Arbutus unedo), il mirto (Myrtus communis), l’euforbia (Euphorbia dendroides), il lentisco (Pistacia lentiscus) ed il leccio (Quercus ilex).
La fascia vegetativa al di sopra, fino alla quota di 1000-1200 m.s.l.m.(c.d. fascia mesomediterranea), è costituita da formazioni di boschi caducifogli in cui dominano le quercete di Quercus gussonei, specie affine al cerro ma da questo ben distinta morfologicamente, e , sul versante meridionale, da un particolare tipo di roverella, Quercus congesta. In alcune aree, come nel territorio di San Fratello si rinvengono inoltre lembi di lecceta mentre le aree non forestate sono occupate da arbusteti in cui si annoverano il prugnolo (Prunus spinosa), il biancospino (Crataegus monogyna), la Rosa canina, la Rosa sempervirens, il melo selvatico (Malus sylvestris), Pyrus amygdaliformis e Rubus ulmifolius.
Oltre i 1200 entriamo nella zona propriamente montana (c.d. fascia supramediterranea) dove sono insediate estese formazioni boschive a cerreta e a faggeta. È questo il limite meridionale dell’areale di diffusione del faggio (Fagus sylvatica). Un altro elemento peculiare è rappresentato dalla presenza dell’acero montano (Acer pseudoplatanus), di cui è segnalato un esemplare alto 22 m e con una chioma di 6 m di circonferenza, annoverato tra gli alberi monumentali d’Italia. Il sottobosco rigoglioso presenta svariate specie di piante tra le quali vi sono l’agrifoglio (Ilex aquifolium), il pungitopo (Ruscus aculeatus), il biancospino (Crataegus monogyna) e il tasso (Taxus baccata). Quest’ultima specie è presente, all’interno del bosco della Tassita, con esemplari maestosi che raggiungono i 25 m di altezza.
Numeroso il contingente delle specie endemiche tra cui si annoverano la Genista aristata, che popola la fascia termomediterranea, la Vicia elegans, una leguminosa rinvenibile nel sottobosco della fascia mesomediterranea, la Petagnaea gussonei, rarissima umbellifera, localizzata esclusivamente nel vallone Calagna (Tortorici) e in pochissime altre stazioni in prossimità di torrenti.
Fauna
Un tempo regno di cerbiatti (così come di daini, orsi e caprioli), i Nebrodi (il cui significato deriva dal greco Nebros, che vuol dire appunto cerbiatto) costituiscono ancora la parte della Sicilia più ricca di fauna, nonostante il progressivo impoverimento ambientale. Il Parco ospita comunità faunistiche ricche e complesse: numerosi i piccoli mammiferi, i rettili e gli anfibi, ingenti le specie d’uccelli nidificanti e di passo, eccezionale il numero d’invertebrati.
Tra i mammiferi si segnala la presenza dell’Istrice, dell Gatto selvatico, della Martora, e, anche se molto rarefatta, del Ghiro, del Moscardino e del Quercino.
Tra i rettili la Testuggine comune e, in particolare quella palustre; tra gli anfibi, infine, il Discoglosso (Discoglossus pictus) e la Rana verde minore (Rana esculenta).
Sono state classificate circa centocinquanta specie d’uccelli, fra i quali alcuni endemici di grande interesse come la Cincia bigia di Sicilia ed il Codibugnolo di Sicilia. Le zone aperte ai margini dei boschi offrono ospitalità a molti rapaci come lo Sparviero, la Poiana, il Gheppio, il Falco pellegrino, e l’Allocco mentre le aree rocciose aspre e fessurate delle Rocche del Crasto sono il regno dell’Aquila reale. Il Tuffetto, la Folaga, la Ballerina gialla, il Merlo acquaiolo ed il Martin pescatore preferiscono le zone umide, mentre nelle aree da pascolo non è difficile avvistare la ormai rara Coturnice di Sicilia, la Beccaccia, l’inconfondibile ciuffo erettile dell’Upupa ed il volo potente del Corvo imperiale. Tra l’avifauna di passo meritano d’essere citati il Cavaliere d’Italia e l’Airone cinerino (Ardea cinerea). Ricchissima è infine la fauna d’invertebrati. Ricerche scientifiche recenti hanno portato a risultati sorprendenti: su seicento specie censite riguardanti una piccola parte della fauna esistente, cento sono nuove per la Sicilia, venticinque nuove per l’Italia e ventidue nuove per la scienza. Tra le forme più rilevanti sotto l’aspetto paesaggistico, si citano le farfalle (oltre settanta specie) ed i Carabidi (oltre centoventi specie).
Specie estinte
Nel corso del XIX secolo un progressivo impoverimento della fauna dovuto a massicce opere di bracconaggio ha causato l’estinzione di alcune specie importanti quale il cervo (Cervus elaphus), il daino (Dama dama), il capriolo (Capreolus capreolus), il lupo (Canis lupus) e il gufo reale (Bubo bubo). Gli ultimi esemplari dei grifoni (Gyps fulvus) invece si estinsero intorno agli anni ’60. Gli ultimi lupi furono abbattuti alla fine degli anni Venti ed i grifoni, volteggianti sulle Rocche del Crasto, sono scomparsi agli inizi degli anni Sessanta, a causa dei bocconi avvelenati disseminati e destinati alle volpi. Negli ultimi anni è in atto un progetto di reintroduzione del Grifone. Sono stati inseriti alcuni esemplari importati dalla Spagna che nel 2005 hanno dato alla luce anche alcuni pulcini.
Produzioni tipiche
La millenaria civiltà dei contadini e dei pastori nebroidei si riflette in numerose produzioni artigianali. Ricami di tovaglie e lenzuola eseguiti a mano, ceste e panieri di giunco o canna, oggetti per uso agricolo in legno o ferla, lavorazione della pietra e del ferro battuto, realizzazioni, con antichi telai, di colorate stuoie e tappeti (pizzare), produzione di pregevoli ceramiche sono i segni tangibili dell’operosità e della fantasia del popolo dei Nebrodi. I prodotti alimentari trovano la loro massima espressione in quelli caseari: il dolce o piccante canestrato, il gustoso pecorino, la profumata provola e la delicata ricotta vengono, ancora oggi, lavorati dalle sapienti mani dei pastori. Rinomati sono, inoltre, i salumi ottenuti con le carni del suino nero dei Nebrodi; pregiate sono le produzioni d’olio d’oliva, miele, nocciole, pistacchio e frutti di bosco; saporite le conserve dei pomodori, funghi e melanzane; molto apprezzati i dolci (pasta reale, chiacchiere, ramette, crispelle, latte fritto, giammelle, pasta di mandorle). La cucina è sobria ed essenziale e riserva sapori antichi (maccheroni fatti a mano, castrato alla brace, capretto al forno.
Fonte ProLoco Mistretta – Comune Mistretta – Parco dei Nebrodi