La città di Santa Teresa di Riva (ME), 9137 abitanti, è situata sulla costa jonica messinese a circa 30 Km dalla città capoluogo e a 15 Km da Taormina
Ha un territorio di 8,13 Kmq, comprendente una zona costiera lunga circa 3,3 Km, tra le fiumare Savoca ed Agrò, una zona collinare, con rilievi di modesta altitudine e, nell’entroterra, sui declivi dei monti Peloritani le frazioni di Misserio e Fautarì
Punto di riferimento per l’intera zona jonica, ottavo comune della provincia di Messina per dimensione demografica, Santa Teresa di Riva fa parte, insieme ad altri 8 comuni (Antillo, Casalvecchio Siculo, Forza d’Agrò, Furci Siculo, Limina, Roccafiorita, Sant’Alessio Siculo, Savoca), del Consorzio di Promozione turistica Val d’Agrò.
Santa Teresa di Riva è il comune più popoloso e con circa 300 esercizi commerciali che coprono tutti i settori merceologici, è la meta priviliegiata per lo shopping, sia per i residenti che per i viaggiatori della Val d’Agrò.
La vocazione commerciale ha storicamente caratterizzo il comune, che è stato in passato importante centro di produzione e commercializzazione di limoni. A Santa Teresa di Riva, inoltre, si svolge fin dalla seconda metà dell’801 vivace mercato quindicinale, con circa 250 bancarelle di generi vari. Il mercato in cui c’è un’area riservata alla vendita dei prodotti della Valle d’Agrò, rappresenta un forte richiamo sia per la popolazione della zona ionica, sia per i turisti.
Il comune di Santa Teresa di Riva fa parte dell’Unione dei Comuni delle Valli Joniche dei Peloritani e del distretto turistico Taormina-Etna, ed è gemellato con il comune francese di Fuveau. È capofila del P.I.T 13, “Dal turismo tradizionale ad un sistema integrato”, progetto che ha come obiettivo la creazione di un sistema turistico integrato, policentrico e multiprodotto del versante ionico della provincia di Messina (22 comuni).
In atto l’economia locale e caratterizzata dalla prevalenza del terziario: commercio, servizi, turismo balneare.
Cenni Storici
Sul litorale jonico sorge a circa 34 Km da Taormina, la città di Santa Teresa di Riva le cui origini non molto chiare, si fanno risalire all’epoca dei Fenici.
Sembra che, negli antichissimi secoli un nucleo di fenici si sia stabilito sulla sponda sinistra del torrente Agrò, proprio sotto Savoca, in quella zona dell’entroterra del quartiere Barracca compresa tra Bolina, Catalmo, Scorsonello e Cantidati, fondandovi la città di Phoenix, chiamata così in onore della patria lontana.
Dell’esistenza della città di Phoenix parla lo storico Appiano Alessandrino, il quale sostiene che già nel 36 a. C., durante la guerra civile tra Sesto Pompeo e Ottaviano, il primo trovò rifugio con le sue legioni a Phoenix.
Riferisce il cappuccino Padre Giampietro Rigano da Santa Teresa, in un suo manoscritto del 1993, che attorno agli anni 1877/78, durante la costruzione del terrapieno che doveva costituire il rilevato ferroviario in contrada Bolina, furono trovati pozzi antichissimi, ruderi ed anticaglie ad indicare proprio l’esistenza di qualche antica città.
Inoltre, attorno al 1870/75, durante la demolizione dei ruderi di un’antichissima torre (Bolina o Avarna), si rinvennero avanzi di statue di marmo, mezzi busti marmorei, marmi, vasi cinerari e vasi di creta ben lavorati a testimonianza di un’antica civiltà.
Altro fortissimo argomento che prova l’esistenza di questa città si deduce da ciò che fu trovato nella proprietà del Duca Avarna, allorquando si estraeva la sabbia per riempire i burroni e farvi il piano dove sorge adesso la stazione ferroviaria.
Dice Padre Giampietro Rigano: “chiunque guarda il piano ben livellato della stazione sappia che ivi esisteva un profondissimo burrone che per riempirlo si è dovuta spostare tutta la terra sovrastante, specialmente i due colli che si prolungavano fino a basso. Or nel sottosuolo, fra questi due colli, si rinvennero i resti di un età antichissima: era il cimitero scomparso, perché seppellito dalle acque torrenziali di tanti secoli che vi trasportarono sabbia e altro materiale.
Si trovarono quindi sepolture, antiche tombe, cadaveri sepolti e, nelle tombe oggetti preziosi, catenelle d’argento, oggetti d’oro, e poi lacrimatori, anforette, oggetti funerari, tutti in stile orientale e greco”.
Altri ritrovamenti di tombe e di antichi reperti furono fatti in contrada Santa Marina, sul margine sinistro del torrente Savoca, tra l’abitato di Bucalo e di Furci Siculo.
La città di Phoenix essendo situata alla foce del torrente Agrò, per le enormi quantità di terriccio e detriti che le acque portavano a valle, per le continue incursioni dei pirati, si spopolò.
Gli abitanti tendevano a rifugiarsi sulle alture dando origine a nuove forme di vita urbana. Ecco che nasce la città di Savoca. Questo dovette accadere intorno al 1200-1300.
Da questo momento in poi la cittadina di Savoca divenne molto fiorente e prosperò per diversi secoli fino a quando, verso il 1500, gran parte della popolazione con la cacciata dei pirati riscese a valle formando un agglomerato urbano denominato Marina di Savoca.
Savoca ormai quasi spopolata fu sopraffatta nel 1853 dalla suddetta Marina di Savoca ed in seguito ad una deliberazione di Ferdinando II di Borbone fu considerata comune autonomo.
Assunse il nome di Santa Teresa, come atto di omaggio dei cittadini verso Ferdinando II, poiché la sua seconda moglie si chiamava Maria Teresa d’Austria.
Nel 1854 Santa Teresa si staccò del tutto da Savoca e tutti gli uffici governativi furono trasportati alla Marina: Pretura, carceri, ufficio imposte ecc..
Nel 1923 Furci Siculo, che faceva parte di Santa Teresa si separò e formò comune a sé.
Per distinguere Santa Teresa da altri paesi omonimi, fu aggiunto l’appellativo di “Riva” perché sorge in riva al mare.
Il Santuario della Madonna del Carmelo
Si trova nel quartiere Bucalo accanto alla Torre Saracena. Sorge al posto di una chiesa del 1507 facente parte di una proprietà dei fratelli Bucalo, che lasciarono in eredità i loro beni ai Gesuiti. Cassata la presenza dell’ordine della Compagnia di Gesù, le loro proprietà vennero acquistate nel 1780 dal Marchese Carrozza. Nel 1892 la proprietà dei Carrozza venne messa all’asta dal tribunale e comprata da vari acquirenti tra cui i Pelleri ed i Fiorentino.
La chiesa, al tempo dei fratelli Bucalo era dedicata alla Vergine del Carmelo, mentre i Gesuiti la dedicarono al Sacro Cuore di Gesù. Ciò nonostante essi mantennero e diffusero la devozione alla Beata Vergine del Carmelo che successivamente riacquistò il primato.
La maggior parte delle notizie riguardanti la chiesa ci sono state tramandate da Padre Giampietro Rigano che nei suoi scritti ne descrive le caratteristiche.
Essa era lunga circa m.10 ed aveva una cappelletta dedicata a San Giuseppe di mq. 3,5 sita accanto alla torre. All’interno, il Santa Sanctorum era artisticamente decorato con stucchi che formavano una bellissima “cortina reale”, frastagliata, con Angeli e simboli. Esso aveva la profondità di 4 m. e la larghezza di 10. Il pavimento era di mattoni di Valenza e tutti gli altari avevano la predellina di marmo finissimo. Sull’altare maggiore vi era un antico quadro su tela del 1593 di autore ignoto, che rappresentava il Calvario con al centro il Crocifisso. L’altare di fronte invece ospitava un altro quadro risalente al 1538, che rappresentava la Madonna del Carmelo in atto di dare l’abitino ai Santi Carmelitani.
Verso il 1880, con il vertiginoso aumento della popolazione, la chiesa non era più sufficientemente spaziosa per la celebrazione delle funzioni. Così lo stesso popolo pensò di allungarla di 16 metri, raggiungendo i 26 metri e così rimase fino al 1929, quando fu abbattuta per essere ricostruita. L’ultima volta che la chiesa venne allungata si pensò di costruirvi accanto un campanile di forma quadrata; era il 1881.
Nonostante la cittadina di Santa Teresa si stesse sempre più espandento mancava ancora la presenza di un Santo Patrono. Per questo verso l’anno 1884 i fedeli chiesero, tramite Sua Ecc. Rev. Arcivescovo Card. Guarino, a sua Santità Leone XIII PM, che la Beata Vergine del Carmelo diventasse Patrona del paese.
In tal modo il desiderio del popolo si avverò e si decise che il 16 luglio fosse festa di precetto. Nello stesso anno, il 1888, fu scolpita dal Signor Lo Turco di Mongiuffi Melia una statua lignea che tutt’ora viene profondamente venerata. Nell’anno 1904 con decreto dell’Arc. D’Arrigo e con precedente bolla papale del 1886 è stata dichiarata chiesa Metropolitana, Matrice, Chiesa Parrocchiale e sede di Arcipretura.
Il vecchio edificio fu abbattuto il 24 giugno 1929 ed i lavori di ricostruzione di quello nuovo ricominciarono il 7 ottobre dello stesso anno.
Esso fu progettato dall’ingegnere Giovanni Crinò in stile romanico e costruito dall’ingegnere Francesco Rigano. La nuova chiesa fu inaugurata solennemente il 9 dicembre del 1934. L’interno è a tre navate, separate con un transetto dalla zona absidale, in cui risalta l’altare maggiore in marmo di Trapani, all’interno del quale, in un’alta nicchia viene gelosamente custodita la statua della Patrona. Il 14 luglio del 1958 avvenne la solenne proclamazione della chiesa a santuario ed il 16 luglio l’incoronazione della Vergine e del figlio con due corone d’oro contornate da pietre preziose fatte cesellare a Roma. Esse, insieme ai due manti, interamente tappezzati da preziosi, avvolgono per intero ed abbelliscono gloriosamente la statua della Madonna il giorno della festa, a testimonianza della grande devozione che la lega ai fedeli e che ogni anno cresce sempre di più.
Chiesa Santa Maria di Porto Salvo
La vecchia cappelletta di Maria SS. di Porto Salvo ricadeva nella tenuta del conte Quintana e si ergeva oltre il torrente Porto Salvo, all’interno del Maniero Quintana, oggi Stazione di servizio.
La cappella di stile romanico fu costruita nel 1765 a seguito di una tempesta di mare avvenuta nel 1763, in cui un bastimento in pericolo fu salvato miracolosamente da Maria SS. di Porto Salvo.
Il capitano di quel bastimento fece costruire una cappelletta di pochi mq a circa m. 30 dalla trazzera Messina – Catania; quegli donò pure una tela raffigurante la Madonna con il Bambino in braccio e ai suoi piedi una barca.
Verso la metà del 1800 (circa 1854) la cappelletta fu ampliata fino a m. 5 dalla trazzera e resa più accogliente. Successivamente, però, per il folto popolarsi della contrada venne costruita una chiesa ad una navata, lunga m. 23,40 e larga m 6,10, con un campanile di stile romanico.
Sul davanti della nuova chiesa venne lasciato uno spiazzale di m. 6,10 per m 5,55. Nel 1899 la chiesa di Maria SS. di Porto Salvo fu affiliata alla chiesa arcipretale di Maria SS. del monte Carmelo.
Nel 1943, infine, alle ore 24, dell’1 gennaio, fu eletta a Nuova Parrocchia con l’approvazione dell’arciprete Di Cara e con Bolla di Mons. Guarino.
La chiesa attuale sorge in terreno della famiglia Caminiti – Venardi; essa è lunga m 25 e larga m 10; ha una superficie di mq 250. I lavori ebbero inizio nel 1952 e la prima messa fu celebrata il giorno 11/02/1958 da Mons. Paino. Prete della parrocchia era don Salvatore Rigano.
Il terreno su cui sorge l’attuale chiesa fu donato alla parrocchia dalla famiglia Caminiti – Verardi il 1947, addì 1958 marzo, con atto pubblico rep. 10604 per mano del notaio Silvio Lo Presti in Santa Teresa di Riva (D.P.R. 19 settembre 1951, reg. Corte dei Conti addì 8 ottobre 1951, Reg. n. 58, f.n. 67).
L’abside fu affrescata dal pittore Ignazio Pagano; venne raffigurata l’incoronazione della Madonna da parte di Gesù, con attorno angeli festanti e Dio con le braccia aperte in segno di compiacimento. Sull’altare giganteggiava la statua della Madonna di Porto Salvo. Col tempo tale affresco si deteriorò e al suo posto oggi c’è raffigurato Cristo Benedicente di stile Normanno – Bizantino. L’opera è stata realizzata dall’impresa mosaici e vetrate d’arte di Michele Mellini di Firenze. I lavori furono terminati sabato 18 febbraio 1995.
Chiesa Sacra Famiglia
Costruita nel 1903. E’ stata eretta a parrocchia dall’Arcivescovo ed Archimandrita di Messina Angelo Paino il 21 novembre 1945. Fino a quel momento fu una chiesa succursale dell’allora Arcipretura S. Maria del Carmelo.
Don Severino Prestipino di Furci Siculo fu il primo parroco. Don Massimo Briguglio, anch’egli di Furci Siculo, è l’attuale parroco dal 2000, dopo essere stato responsabile della Parrocchia S. Giovanni in S. Stefano Briga – Messina e Vicario Foraneo di Galati.
La parrocchia, che si trova al centro della cittadina jonica, è dotata di una grande Chiesa ad un unica navata.
Opere di pregio sono : il Crocifisso ligneo proveniente dalla chiesa S. Maria Assunta di Nizza di Sicilia, che giganteggia nell’abside; l’altare Maggiore in marmo intarsiato policromo in stile barocco e l’altare laterale del SS. Sacramento anch’esso in stile barocco. Sul medesimo altare è posta una grande tela, dipinta dal pittore e architetto santateresino Giuseppe Bonarrigo, raffigurante “Le Nozze di Cana” e benedetta il 17 ottobre 2008 dall’Arcivescovo Calogero La Piana. Nella facciata principale si può ammirare una vetrata policroma della S. Famiglia.
La nuova sagrestia è stata arricchita di recente di sei ritratti ad olio dei parroci che si sono succeduti negli anni realizzati dall’artista Simona Spadaro di Santa Teresa di Riva. Autrice, tra l’altro, anche dell’immagine di S. Maria della Vita che si trova nell’omonima piazzetta accanto alla chiesa parrocchiale.
La parrocchia possiede gli organismi di partecipazione ecclesiale: il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il Consiglio Affari Economici. Nella comunità operano l’ACI, l’AGESCI e la Gioventù Francescana. La Catechesi settimanale degli adulti è curata dal parroco. Il gruppo dei catechisti segue i fanciulli ed i ragazzi nel loro percorso di Iniziazione cristiana. L’animazione liturgica è affidata al coro parrocchiale ed al gruppo ministranti. I Ministri straordinari della Comunione visitano ogni Domenica gli infermi portando L’Eucaristia. Presso la parrocchia è operativo il Banco Alimentare. Le adozioni a distanza con le Suore delle missioni comboniane in Etiopia sono circa cinquanta. In Eritrea recentemente è stato finanziato, con il contributo dei parrocchiani, un pozzo per la fornitura di acqua potabile nella diocesi di Barentù. E’ stato inaugurato nel giugno del 2008. S.E. Mons. Tomas Osman OFM Cap., Eparca di Barentù, il 14 ottobre 2008 ha visitato la comunità della S. Famiglia ed ha ringraziato per il finanziamento del progetto del pozzo nella sua Diocesi in località Mariti.
Chiesa San Vito Martire
La tradizione fa risalire la costruzione della chiesa di San Vito Martire al 1706 anche se di questa data non si hanno riscontri storici ad opera di Girolamo Conte di Roccalumera.
L’altare maggiore di marmo policromo è stato posizionato a cura di S. Seminara nel 1898 (questa data risulta incisa sullo stesso).
Verso il 1911 gli abitanti di Misserio hanno effettuato dei lavori di ampliamento della Chiesa.
Negli anni 1955-56 viene realizzato sotto la direzione di Giuseppe Di Natale di Casalvecchio Siculo il prospetto assumendo la forma che ancora oggi conserva.
Nel 1968 gli ingegneri Caminiti e Ariosto realizzarono un progetto per la ristrutturazione degli interni. I lavori furono affidati alla ditta Crimaldi.
Nel corso dei lavori di restauro condotti nel 2003 dal Servizio Beni Architettonici della Soprintendenza ai BB.CC.AA. sono state portate alla luce le tombe (probabile datazione medievale) e due colatoi (sedili in pietra muniti di foro centrale), la cui funzione era la mummificazione.
All’interno della Chiesa oltre ai reperti si possono ammirare i moderni dipinti di Nino Ucchino realizzati negli anni che vanno dal 1980 al 1983.
Torre dei Saraceni
La Torre dei Saraceni sorge nel quartiere di Bucalo accanto al Santuario dedicato al culto della Madonna del Monte Carmelo. Edificata secondo alcuni studiosi intorno all’anno 1000, per difesa contro le incursioni dei saraceni, si presenta con una forma cilindrica a tre piani fuori terra oltre un piano interrato ed annessa ad una palazzina a due piani fuori terra risalente allo stesso periodo.
Alcuni studi recenti dell’Architetto Salvatore Coglitore, dimostrano come la torre e la palazzina, originariamente possedevano un ulteriore piano interrato, divenuto inaccessibile a causa del fango e dei detriti trasportati dal torrente Savoca, durante le alluvioni del 1934 e del 1958.
Da qui si deduce che la torre in epoca medievale doveva essere imponente con i suoi 15 metri di altezza.
La torre e l’annessa palazzina di proprietà dell’Archimandrita Leonzio Crisafi, nel XV secolo passarono alla famiglia Bucolo. Nel 1507 i Bucolo edificarono accanto alla torre una chiesetta dedicata al Nome di Gesù (demolita il 24/06/1929, per fare posto alla chiesa attuale). Dai fratelli Bucalo, la proprietà passò nel 1780 al Marchese Carrozza, che successivamente (1890) la divise in lotti e la vendette a diversi proprietari (Crisafulli, Fiorentino, Pellèri, Micalizzi, etc.). Nel 1895, il nuovo proprietario della torre, il Sig. Giuseppe Pellèri (Ing. delle Ferrovie di Prato) ampliò e sopraelevò il fabbricato originario esistente (residenza estiva dell’Archimandrita e successivamente abitato dalla famiglia Bucolo), inglobando in esso la detta torre.
Con un unico ambiente per piano, è in discreto stato di conservazione anche se in molti tratti della facciata manca l’intonaco. Il piano interrato in origine era piano terra, poi con le innumerevoli inondazioni del torrente Savoca, la quota del terreno si è innalzata fino alla quota attuale. L’accesso al piano interrato avviene tramite l’edificio Pellèri. Si chiama torre dei Saraceni non perché fosse stata da questi costruita,ma perché era stata edificata a guardia contro i Saraceni (tutti i pirati di allora venivano chiamati Saraceni),in effetti la suddetta torre non svolgeva funzioni militari (almeno dopo il XVI secolo), ma serviva per potere difendere i coloni dai pericoli esterni (principalmente assalti di predatori).
Con la suddetta costruzione, la torre fungeva da collegamento, tra la parte di fabbricato adiacente la chiesa (demolito) e il fabbricato vero e proprio (così come si vede ancora oggi). Durante il corso dei lavori ridusse l’altezza, della detta torre, modificò la copertura (in origine era a volta, tipo dammuso, oggi piana) aggiunse le tipiche merlature delle torri medievali, modificò, il numero e lo stile, delle aperture e realizzò un balconcino (sul prospetto lato ovest). Nel 1929 con la demolizione della vecchia chiesetta,viene demolita anche la parte di fabbricato a nord della torre (per dare più spazio alla nuova Chiesa) quindi la torre è stata in parte liberata, così come si vede oggi. La muratura portante della torre è in pietrame, tranne vicino agli infissi, che è in mattoni pieni.
Nella facciata lato est (quella prospetta sulla piazza) vi sono tre finestre allineate in stile gotico, una per piano; se poi guardiamo bene a Piano Terra nello spigolo nord-est, si notano, tracce del muro della vecchia chiesa. A piano primo rimane, come sospesa per aria, metà della finestra del fabbricato demolito assieme alla vecchia chiesa. Nella facciata lato nord (la più danneggiata e il cattivo stato di manutenzione), a piano terra (dove era ubicato il coro della chiesa) notiamo, parte della muratura originaria, della torre; a piano primo c’è una porta, sempre in stile gotico, che si affaccia sulla chiesa da un balconcino a petto, con una ringhierina in ferro battuto, mentre al piano secondo una porta murata con mattoni pieni, tale porta collegava la torre alla parte di fabbricato demolito.
Nel prospetto lato ovest c’è una finestra a piano terra, un balcone a piano primo (in parte occupato da una struttura precaria in alluminio), a cui si accede dal fabbricato, e al piano secondo un’altra porta murata. La sommità della torre è coronata da una serie di lunette ad archi acuti sottostanti una merlatura, il tutto realizzato in mattoni dal Sig. Pellèri. L’accesso alla torre è previsto dal suddetto fabbricato. Dicono gli anziani del luogo che anticamente fosse collegata alla torre dei Bagli, che dista in linea d’aria circa 250 metri, ma di fatto non si è mai accertato nulla di concreto, comunque alle spalle della torre , a circa 15 metri verso ovest, esiste ancora oggi, anche se non più accessibile, un sotterraneo, adiacente ad un pozzo, che porta allo scantinato dell’edificio, coperto da sterpaglie e materiale vario. Qualcuno del posto ancora ricorda che quando ci fu l’alluvione del 1958, il suddetto scantinato si riempì di acqua e fango.
Torre dei Bagghi
La Torre dei Bagghi si innalza nel quartiere di Bucalo, in via Sparagonà, al di sotto del ponte ferroviario; di forma quadrata è a due elevazioni fuori terra separate tra loro mediante una volta cieca, per questo motivo si accedeva al piano superiore per mezzo di un terrapieno (si può osservarne qualche traccia nella parete ovest).
All’esterno di presenta in pessime condizioni a causa delle ingiurie del tempo, mentre all’interno conserva qualche traccia del pavimento agli angoli.
Edificata secondo lo storico Santo Lombardo nel 1506 da Pietro Trimarchi, facoltoso della vicina cittadina di Savoca, a difesa contro le incursioni dei pirati. Si chiama dei Bagghi (o Cortili) perché quando non esisteva la via Sparagonà, fra la torre ed altri palazzi di antica costruzione, vi erano dei larghi cortili, che i nostri antichi chiamavano Bagli. Attorno vi erano delle case coloniche.
Nel 1593 risulta appartenere a “Crisafulli Antonina, vedova di Binidittu Buculo, abitatrice della Terra di Savoca” che in contrada Sparagonà, possedeva oltre a detta torre, un grande vigneto.
Verso la metà del ‘600 si trova tra le proprietà di Santoro Crisafulli, nobile savocese, Giudice della Regia Gran Corte e Luogotenente dello Stratigò di Messina. Dalla fine del ‘700 appartenne alla famiglia di Angelo Caminiti (1781-1855), fautore dell’autonomia comunale della Marina di Savoca, che abitava in un palazzotto attiguo alla torre del baglio, oggi non più esistente.
La torre non venne risparmiata dal cannoneggiamento borbonico del 30 marzo 1849, che la distrusse parzialmente e mandò in totale rovina i palazzotto attiguo.
Oggi la torre appartiene alla famiglia Pagliuca di Scaletta Zanclea.
Torre Catalmo
Non molto distante dalla contrada Bolina si erge la fiorente contrada Catalmo, sulla sponda sinistra del torrente Agrò. Ambedue le contrade posano sulle scomparse rovine della città di Phoenix.
Nella contrada Catalmo si innalza l’omonima torre, di forma quadrata e di altezza considerevole.
Essa sorge arroccata su uno sperone di roccia in una zona arretrata rispetto al fiume, ecco perchè sull’architrave della porta si leggeva scolpito il nome arabo “Kalac” (rocca) ed “Albeus” (fossa letto di un fiume).
Secondo alcuni studi risulta essere la più antica della zona e nei secoli scorsi quella di maggiore importanza strategica essendo la più vicina al castello di Poentefur a Savoca.
Fonte: www.comune.santateresadiriva.me.it