Tipico paese medievale, è formato da quattro frazioni, di cui due collinari e due marine: Scaletta Superiore, Guidomandri Superiore, Scaletta Marina e Guidomandri Marina. Il toponimo “Scaletta” è di origine araba ed ha il significato di “Scala Piccola”. La popolazione si dedica prevalentemente alla pesca, alla agricoltura e all’artigianato.
Il comune di Scaletta Zanclea, distante circa 17 km da Messina, è stato tra i più colpiti dalla tragica alluvione del 1° ottobre 2009. E’ costituito da quattro frazioni: Scaletta Marina e Guidomandri Mdigiuno No MUOSarina, Scaletta Superiore e Guidomandri Superiore. Le due frazioni marine si estendono lungo la strada statale 114, mentre le due frazioni montane sorgono su terreni in pendenza.
L’etimologia del nome “Scaletta” è la traduzione letterale dell’arabo “ad dargat as Sagjrah” che significa “la scala piccola” o “la scaletta”. Il documento più antico che parla di Scaletta è il“Libro di Ruggiero”, scritto per ordine del re nel 1154. I primi abitanti del territorio furono chiamati “Sicani” e l’insediamento degli arabi è da ricondurre all’abbondanza delle acque ed alla fertilità del terreno. Intorno alla metà dell’VIII secolo, navigatori calcidesi stabilirono un presidio nello Stretto di Messina e fondarono una colonia che chiamarono “Zancle” (falce) per la forma ad arco della lingua di terra che chiude il porto. Il territorio di Scaletta, pertanto, rientrava nei domini degli Zanclei ed, infatti, questi si rivolsero ai luoghi limitrofi. Nel 489 a.C. Anassila, d’origine messena, tiranno di Reggio, si impadronì di Zancle e mutò il nome della città da Zancle in Messina. Nel 1672 il Castello e le terre furono vendute da Francesco Ventimiglia ad Antonio Ruffo Spadafora, mentre dal 1674 al 1676 Scaletta fu teatro di continue battaglie tra la flotta spagnola, aiutata da navi olandesi, e la flotta francese di Luigi XIV. Fino al 1812 Scaletta fu città feudale, indipendente dal governo centrale ed appartenente al Principe Ruffo, ultimo feudatario, che governava sulla popolazione. Dopo il 1812 il feudalesimo fu abolito e Scaletta divenne a tutti gli effetti “Comune”.
Fra i monumenti architettonici di spicco c’è il Castello, una costruzione imponente a tre piani che si erge sulla cima di una collina, risalente probabilmente all’età sveva. È raggiungibile attraversando delle stradine a gradoni che salgono verso il centro abitato del paese. Nei primi anni del XIII secolo era custode Matteo Selvaggio, il quale ne divenne poi anche Signore per concessione di Federico II (1194-1250). Nel 1240 la fortezza venne sottratta alla competenza del castellano per essere affidata alla giurisdizione imperiale: il castello aveva evidentemente assunto un ruolo di notevole importanza nel congegno difensivo della Sicilia. Quindi, oltre alla casa barocca dei Ruffo, da segnalare anche la Chiesa di S. Nicolò (sec. XVII) che sorge sopra una profonda valle a precipizio e presenta ancora la traccia di una cinta muraria a feritoie a difesa del paese. E’ dedicata al patrono San Nicolò. La Chiesa ha tre navate con pilastri.
La tradizione vuole che le principali risorse del paese siano costituite dalla pesca marittima che viene esercitata da numerose imprese di piccole dimensioni. Particolarmente praticata la coltivazione di cereali, uva da vino, olive, frutta ed agrumi. Le zone scoscese del territorio sono utilizzate per il pascolo di ovini e caprini. Fra le attività artigianali è da segnalare, oltre al ricamo e alla lavorazione del legno, la tipica produzione delle nasse.
Varie sono le manifestazioni religiose, culturali e folkloristiche che si svolgono nel corso dell’anno come le feste del Santo Patrono delle quattro frazioni e il carnevale scalettese. Nel periodo di Carnevale, per quattro giorni e quattro notti, Scaletta si trasforma. La grande sfilata dei carri allegorici di domenica viene allietata dal gruppo folkloristico “A Banda i ll’umbrillara”. È costituito da 35 elementi fra i quali spiccano i suonatori di strumenti caratteristici ricavati da utensili usati in cucina (grattugie, pentole, ecc.) e un maestro che li dirige. Orgoglio del paese sono le majorettes, considerate insieme a quelle di Randazzo tra le migliori in Sicilia.
Il Castello di Scaletta
Il Castello Rufo Ruffo di Scaletta Zenclea sorge al vertice di una collina precipite, tutt’intorno recinta da valli inaccessibili. Nel solo lato orientale, che guarda sullo stretto, il pendio è meno erto ed è in esso che è stata ricavata, con paziente lavoro umano, la faticosa mulattiera, che tuttora congiunge, come nell’oscuro medioevo, “la marina” (fraz. Scaletta Marina) al castello.
È in questo lato, infatti, che, sfruttando le maggiori accidentalità venne costruita su una breve spianata che interrompe la foga dell’ascensione, la fortezza avanzata, dove vennero installate, nel seicento numerose bocche da fuoco, che resero invulnerabile la costa.Il profondo mutamento, apportato dall’introduzione delle artigliere, rese necessarie, anche nel sistema difensivo del castello di Scaletta, grandi opere integrative, di cui restano tuttora autorevoli avanzi. I maggiori danni sono derivati dal quasi totale abbandono in cui è stato lasciato nell’ultimo secolo.
Il Castello di Scaletta non è stato eretto con un preciso piano architettonico. Esso ha dovuto piegarsi alle inderogabili esigenze topografiche che hanno imposto soluzioni obbligate.”Si sono compiute delle vere e proprie acrobazie architettoniche per vincere le disuguaglianze della roccia e comprenderle in solo organismo”.All’esterno l’organismo architettonico presenta, in complesso, caratteri di una certa unità costruttiva, con tracce di manomissioni e di rabberciamenti postumi, oggi pressocchè incontrollabili, a cagione della muratura a pezzate che unifica, senza evidenti demarcazioni, le parti diverse.
La caduta degli intonachi ha messo allo scoperto l’apparato murario, costituito essenzialmente di blocchetti calcarei, sommariamente sfaccettati e disposti in allineamenti poco rigorosi. L’azione del tempo, cospargendo tutta la massa di una patina uniforme, ha unificato le tonalità, rendendo, per ciò stesso, sterile ogni tentativo di sorprendere nella compagine esteriore le aggiunte e le modifiche. I lati maggiormente decorati sono il sud-est ed il sud-ovest, dove l’apertura di finestre simmetriche, distribuite in diversi piani, ravviva il severo aspetto militare dell’insieme.
Perfettamente conservate sono le finestre del lato sud-est: due bifore in corrispondenza del piano nobile, due piccole monofore nel piano superiore della servitù.La stessa distribuzione si ha nel lato sud-ovest: eguale il numero eguale l’ordine d’ impostazione.Il lato nord-ovest, ove si apre la porta d’ingresso, non presenta, allo stato attuale, che una sola bifora chiusa; tutto il resto del prospetto, di una rigida severità, è perfettamente cieco.
La porta ogivale recinta da grandi conci in arenaria, conserva la sua integrità di struttura.Una più ridotta varietà decorativa presenta il quarto lato nord-ovest- in cui non si riscontrano tracce di bifore.Varcando la soglia, l’attenzione è attratta dall’altezza della volta a botte, dalle finestre sospese nel vuoto, dalle porte di intercomunicazione, tagliate nell’alto dei muri divisori ed oggi assolutamente inaccessibili.I tre piani, nell’economia del castello, rispondevano naturalmente, a diverse esigenze e avevano quindi una diversa funzione.Gli ambienti del pianterreno servivano gli armigeri e per il personale addetto alla difesa del castello; il superiore, rispondente al piano nobile, era destinato al castellano e alla sua famiglia, l’ultimo – piano ammezzato – accoglieva probabilmente la servitù.
Oggi, nei diversi piani, sono soltanto rilevabili numerose edicolette murali, disimpegnanti l’ufficio di armadi, e, nel piano nobile, il taglio di un grande camino.Caratteristici sono pure alcuni tagli verticali che s’ingrottano nei muri e che attraversano per tutto lo spiegamento dei tre piani; potevano servire da collegamento per un più rapido scambio della piccola suppellettile e assolvevano l’ufficio di canne portavoce.
L’accesso al piano terrazzato, che si stende sulla volta a botte, è reso agevole da una lunga scala lapidea a cielo scoperto praticata in un piccolo atrio quadrato. All’esterno la sua presenza è denunziata da un muro rampante, attraversato da numerose feritoie. All’interno del castello è stato allestito un museo, costituito da bacheche e recinzioni allestite nelle varie sale e recanti documenti cartacei (specie iconografici) ma anche araldici, che riguardano il territorio e la famiglia Ruffo. Di vivo interesse culturale sono le medaglie, gli oggetti artigianali, le armi di guerra e le armature, disposti ad arte nei vari ambienti. Un’ulteriore attrazione culturale volta ad accrescere le conoscenze riguardanti il territorio di Scaletta Zanclea.
Il Castello di Scaletta fu fatto costruire verso l’anno 1220, da Federico II di Svevia. L’arroccato complesso fu dato dall’Imperatore in custodia a Matteo Selvaggio. Nel 1240 è signore del castello e delle terre di Scaletta Giovanni Selvaggio, padre di Matteo junior e della bella Macalda, andata successivamente in sposa ad Alaimo da Lentini. Nel 1325 il Castello viene concesso da Pietro II d’Aragona a Peregrino di Patti, cancelliere del Re.
Nel 1397 il Castello e le terre di Scaletta vengono concesse a Salimbene Marchese, resosi famoso per la sentenza di morte pronunziata contro il Vicario del Regno Andrea Chiaramonte. Nel 1535 fu ospite di Scaletta l’imperatore Carlo V d’Asburgo, reduce dalla strepitosa vittoria ottenuta contro i musulmani a Tunisi. Nel 1672 il Castello e le terre di Scaletta furono vendute da Francesco Ventimiglia ad Antonio Ruffo Spadafora.
Dal 1674 al 1676 Scaletta fu teatro di continue battaglie tra la flotta spagnola, aiutata da navi olandesi, e la flotta francese di Luigi XIV.
Fino al 1812 Scaletta fu città feudale, indipendente dal governo centrale ed appartenente al Principe Ruffo, ultimo feudatario, che governava sulla popolazione. Dopo il 1812 il feudalesimo fu abolito e Scaletta divenne “Comune”.
Fonti: www.messinadicorsa.it – www.comunescalettazanclea.it