Dove sono i bambini?

Puer oeconomicusEra il tempo degli annunci, delle secessioni a colpi di trattore, delle suore canterine e dei manager che minacciavano l’esilio per via degli stipendi, giudicati dal popolo beone spropositati, per il nulla che producevano. Era il tempo della società post moderna civile e ipertecnologica, che fra un rutto e un lamento si era persa i propri figli. Esisteva a quel tempo un posto in cui la deresponsabilizzazione degli adulti aveva creato una adultizzazione precoce degli infanti. Si vedevano per i parchi e davanti alle scuole umani grandi e grossi vestiti da adolescenti, con cappelletti sbilenchi e magliettine rosa confetto, parlare con i compagnetti dei loro figli, in tono complice e confidenziale, della attualissima canzonetta appena intesa alla radio o del colore dominante dell’ultima collezione appena vista al televisore. Fra gli amici, virtuali, si potevano sbirciare sbrodolanti adulatori di se stessi, autisticamente imprigionati nel ventre molle del loro ipertrofico ego, bimbette atteggiate a adulte seducenti e nonnette allegre con pochissime rughe sulle facce inesperienti. Era il tempo del “Puer oeconomicus”: fanciullino bello e sorridente e mai piagnone e scacazzante. Neri, bianchi, gialli il colore non importava, importava invece la perfezione dei loro corpi e il corredino firmato, che al più i brutti corpi avrebbe camuffato. Era quello il tempo della fidelizzazione al conformismo rassicurante, della rappresentazione reificata del mondo e della menzogna dominante e guai ai diversi: immondi e peccatori e anatema per i predicatori dell’uguaglianza e del rispetto perché l’abito non faceva il monaco: l’abito era il monaco!
Gabriella Grasso

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