Mentre Roma decide, il Veneto si organizza. Rabbia e malessere sfociano nel sogno secessionista di una regione ad alta vocazione industriale, oggi profondamente umiliata dalla crisi. Impugnare i forconi è la parola d’ordine e poi si salvi chi può da questa Italia a brandelli. Il Veneto progetta la fuga da anni, ma ora che le fabbriche chiudono, il lavoro diminuisce e le ricchezze si disperdono è davvero la volta buona per scappare. Ma per andare dove? Per tornare all’Italia dei Comuni, dove ciascuno è geloso di mantenere la propria autonomia e i propri privilegi? Roba da Medioevo. ll mondo oggi è globale; l’idea di una chiusura geo-politica potrebbe significare isolamento. Semmai ci vogliono più Stato, più Europa, più unione per essere più forti.
Il Veneto, virtuoso nella produzione e nella contribuzione, non vuole più versare allo Stato le sue imposte, perchè su 60 miliardi di tasse, 40 sono investite in spesa pubblica nella regione veneta e 20 restano a Roma. L’indipendenza dall’Italia (impossibile per Costituzione) potrebbe essere dunque la soluzione al problema. Peccato, però, non aver considerato i costi derivanti dalla costituzione di uno Stato. Per essere tale, l’ipotetica Repubblica veneta dovrebbe dotarsi di: esercito, dogane, ambasciate estere, Consiglio di Stato, agenzia delle entrate, Corte di cassazione, Corte costituzionale, navi, caccia F35. Il residuo fiscale verrebbe quindi disperso nella creazione di nuove strutture statuali. E allora, a conti fatti, il gioco vale davvero la candela?
Valaentina La Ferrera
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