Torrenova è un comune italiano di 4.295 abitanti della provincia di Messina in Sicilia.
Il comune conta 5.635 abitanti e ha una superficie di 1.298 ettari per una densità abitativa di 326,81 abitanti per chilometro quadrato.
Il comune di Torrenova confina:
– a Nord la costa del mare Tirreno (dalla spiaggia la vista spazia dalla rocca di Cefalù ad ovest alla vicina Capo d’Orlando ad est. A nord est sono visibili alcune delle isole Eolie: Alicudi, Filicudi, Salina e Lipari);
– a Sud con San Marco d’Alunzio;
– a Ovest con Sant’Agata di Militello e con Militello Rosmarino;
– a Est con la frazione Rocca di Capri Leone e con Capo d’Orlando.
Torrenova conta le seguenti frazioni: Cuffari, Serro Mendola, Serro Coniglio, Serro Marzo, Percacciola, Mangarone, Zappulla, Rocchetta, Fragale, Fontanelle, Casitti, Stradale, Villiti, Santo Pietro, Cerci, Cuba, Piattaforma, Laganeto basso ed alto, Pietra Roma, Rosmarino, Contrada mare.
Cenni Storici
Il 16 novembre 1984 Torrenova divenne comune autonomo: in precedenza era la frazione del comune di San Marco d’Alunzio. Deve il suo nome alla presenza nella zona di tre torri militari dislocate in punti strategici erette a partire dal 1400 per l’avvistamento di pirati provenienti dal mare. Esse facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani.
La prima è la Torre Cuffari, situata a circa 400 metri dal bivio per S. Marco D’Alunzio, proprio in contrada Cuffari, posta alla sponda destra del torrente Favara, serviva come torre di avvistamento per segnalare la presenza di pericolo per gli Aluntini. Oggi di essa resta solo un rudere. La seconda è la Torre Marco, dal nome del proprietario che la costruì. Serviva per tenere sotto controllo i transiti sul torrente Favara. La Torre Marco è ancor oggi in buone condizioni strutturali. La terza ed ultima torre, che ha dato il nome al comune, si chiama Torre Gatto, dal nome del proprietario che la fece erigere, e fu chiamata anche Torre Nova, perché la più “nuova” rispetto alle altre in quanto costruita per ultima. Principalmente venne edificata per la difesa e il controllo del nucleo urbano insediatosi nei pressi della torre. Anch’essa, così come la Torre Marco, è tutt’oggi in buone condizioni strutturali.
Arte Storia e Cultura: Il Castello di Pietra di Roma “il Fondaco”
“… V’erano sino ai giorni nostri due altissime torri, una rotonda, l’atra quadrata, …delle quali v’esiste ancora parte di fabbrica…furono le suddette già in questo secolo rovinate come stanche di stare più in piedi pella loro antichità… Collaterale alla torre rotonda v’esiste una gisterna, seu fossa dove passa fama che quei Gentili avessero rinserrato non pochi martiri cristiani seppure non volessimo credere che sia stata fatta per conservarvi l’acque piovane….nel giro delle stanze, ponente, una mezzana se ne vedeva pitturata ma alla mosaica o si fosse stata alla greca, con molte finiture e molte iscrizioni, starei per dire simili a quelle di San Pietro di Deca.” Le altre notizie certe a noi pervenute risalgono alla dominazione araba (901) di cui era presidio militare sotto Ibrahim mentre sotto i normanni diventava posta di controllo per l’attività cantieristica. Nel 1498 il castello necessitava di una prima ristrutturazione; nel 1557 Giulio Filoteo degli Omodei lo descrive come fortezza con fossato. Nel 1578 Spanocchi dice che nel castello vi è un arbitrio di cannamelle e lo dipinge come un forte con tre torri di cui primeggia la circolare ed a cui si affianca l’antico acquedotto. Al contempo il Camilliani sostiene che solo nella prima metà del XVI secolo si impianta uno zuccherificio e lo dipinge come una fortezza turrita “con un maschio circolare”. Infine Vito Amico lo definisce come fortezza egregiamente munita di artiglierie con Chiese e cisterne. L’impianto planimetrico presenta una pianta irregolare dovuta soprattutto alle superfetazioni aggiunte nel corso dei secoli. Infatti si pensa che ad una parte iniziale che si elevava su un costone roccioso, sul lato orientale, si siano aggiunti negli anni corpi di fabbrica lineari con orientamento Est-Ovest.
La Grotta di Scodonì
Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato. Con questa citazione, oggi il nostro viaggio ci porta a soffermarci nel nostro paese di Torrenova.
La storia di Torrenova non è altro che la cronologia storica della Sicilia. Il retaggio architettonico lasciato dai vari popoli che la dominarono, oltre 13 colonizzazioni è davvero unico al mondo. La stratificazione di tutte queste civiltà è ben visibile nel nostro paese, anche se bisogna fare molto per valorizzarlo. Basti pensare alla famosa Grotta di Scodoni dove ali’ interno e nell’ area antistante sono stati trovati manufatti litici e frammenti ceramici appartenenti ali’ età del Rame e più precisamente alla cultura di Piano Conte. Le Torri che si possono ancora ammirare , costruite nel medioevo su progetto di Camillo Camiliani che servivano ad avvistare “U MIMICI) CHI VINEVA DU MARI”…e che hanno dato il nome al paese. Per non parlare du Cunvintazzu o meglio San Pietro Deca i cui studi approfonditi hanno fatto emergere la struttura di un Monastero Basiliano, anche se il ritrovamento di una moneta nella muratura e di una monofora esterna dimostrò che questa struttura fu usata agli inizi del IX secolo sotto il regno di Michele II. Pietra di Roma il cui insediamento è stato uno Stazio Romano o meglio una stazione di posta Romana trasformata poi nei secoli in un Castello. L’acquedotto Romano ancora ben visibile per chi transita sulla statale 113. Per non dimenticare le tante Chiese, ancora alcune ben visibili come quella di Santa Maria della Grazia e della Pastorella al Serro Coniglio e quella di San Stapino del mare fatta costruire dal Dottor Matteo Greco per ottenere il rimedio al suo malore. I suoi torrenti e fiumare come il Rosmarino, Piatane e la famosa Favara che con la sua terminologia ci porta al periodo Arabo (dall’arabo al Fawwàra “la sorgente), fanno diventare Torrenova un ” DIAMANTE GREZZO DI CULTURA” che spetta a noi Torrenovesi modellare e farlo conoscere a tutti. Perché la valorizzazione del patrimonio culturale passa attraverso la sua divulgazione, un patrimonio nascosto è come se non ci fosse. Ma affinchè il riconoscimento cresca è necessario che sempre più persone comprendano I’ origine, la natura e I’ entità del suo valore. Potrei scrivere ancora tanto sulla storia del nostro paese, ma ho voluto dare solo un accenno per far capire come “TANTO ABBIAMO” e che in quest’ opera di valorizzazione del patrimonio, gli amministratori locali e i responsabili assumono un ruolo fondamentale, ma soprattutto che a noi cittadini venga spiegato il valore di un monumento o di un’ opera d’arte. Salvatore Buccini 22 Novembre 2012.
San Pietro di Deca
Il monastero di San Pietro di Deca, nell’attuale territorio del comune di Torrenova (ME), presso il torrente Platanà, apparteneva al monachesimo Basiliano sorto in Sicilia nel V-VI sec. con l’arrivo dei Bizantini. Esso non svolgeva solo attività religiose bensì era una grangia (“fattoria agricola”) e amministrava giuridicamente un vasto territorio tra i comuni di San Marco d’Alunzio e Capri Leone. L’antropizzazione di quest’area, Bene culturale vincolato attraverso il D.A. 6635 del 20/08/93, avviene, grazie ai primi risultati delle ricerche effettuate dal dott. Kislinger dell’Università di Vienna, con la creazione di una necropoli del II sec. a.C., probabilmente facente parte di Alontion. Nel V-VI sec. d. C., vista l’importanza strategica dell’asse viario che collegava la valle, i bizantini di S. Basilio, di lingua, cultura e rito greco – orientale, occuparono il territorio per creare una linea di difesa alla città di S. Marco. Dalla parte E di S. Marco i basiliani costruirono il monastero di S. Pietro di Deca mentre dalla parte O quello di S. Tallaleo; queste due strutture, unite alle precedenti torri disseminate nel territorio di Torrenova (ben quattro oltre il “fondaco” di c.da Pietra di Roma), formarono una cerniera difensiva che permise alla valle del Demenna di rimanere l’ultimo baluardo greco in Sicilia contro l’avanzata araba del IX sec.. La resistenza al mondo arabo permise la sopravvivenza del monastero e l’iniziale fedeltà dei basiliani ai nuovi conquistatori della Sicilia, i Normanni. Proprio in questo periodo viene eretta la chiesa sul lato S del monastero, affiancata al cenotafio ottagonale. La libertà economica – amministrativa di S. Pietro di Deca dalla centrale basiliana di S. Filippo di Fragalà dimostra il forte concentramento d’interessi commerciali attorno al monastero nonché la centralità di esso nel controllo del territorio. Nonostante la decisione Normanna di affidare il potere religioso alla Chiesa Cattolica d’Occidente attraverso l’ordine dei Benedettini, fino al XVI sec. S.Pietro di Deca rimane un monastero in buona salute; dagli atti conservati presso l’Archivio Storico di Messina è testimoniata la consuetudine di questi monasteri basiliani di finanziare prestiti e mutui, tassare mulini o cave e addirittura organizzare fiere di bestiame. L’inizio dell’abbandono del monastero avviene nel XVIII sec. a causa della fine della presenza basiliana in Sicilia. Gli interventi di ricerca sinora effettuati hanno riportato alla luce il cenotafio, la chiesa, la necropoli esterna del II sec. a.C. e quella interna alla chiesa (dati cronologici non ancora disponibili); interventi sull’area O e N della chiesa ci permetterebbero di esplorare le residenze del monastero e soprattutto i magazzini della fattoria agricola. Il monastero basiliano di S. Pietro di Deca, detto “Convintazzo”, è stato un edificio capace nei Nebrodi di coniugare attività religiose, amministrative e militari per circa novecento anni di storia resistendo agli attacchi arabi e ai cambiamenti politici di ogni genere e difendendo le radici greche di Demenna (S. Marco d’Alunzio e dintorni).
Torre Cuffari
Di questa Torre resta visibile il basamento e lo spigolo nord-est. È priva di segni architettonici di rilievo, ed è visibile soltanto una feritoia sul lato est. La torre, semplice ed a forma quadrangolare, ad unico ambiente, si eleva sopra un monolito, ad est del torrente favara. La costruzione, nel racconto della gente che abita in questa zona, risale, a 700 anni fa e la sua struttura attuale è identica a quella di settanta anni fa, ed è stata costruita probabilmente dalla città di Alunzio per segnalare eventuali pericoli.
La Torre Gatto
Prende nome da un precedente proprietario soprannominato “il Gatto”. È detta anche Torre Nova, da qui il nome del paese. Doveva avere soltanto un’importanza difensiva locale. In un elenco del 1782 è data alle dipendenze del Conte di San Marco e ad essa era annessa un’osteria. La torre è legata ad una fantasiosa leggenda: la figlia del barone venne rapita da un corsaro turco che la portò in terra di Barberia. Da qui la ragazza iniziò a spedire al padre scatole ricolme di pesce, ma al cui fondo nascondevano dell’oro che sarebbe servito per pagare l’altissima cifra chiesta per il riscatto. Ma il pascià accortosi del tranello, continuò si le spedizioni, sostituendo però al pesce fresco, brandelli dell’infelice fanciulla, così che, alla fine, fu tutta restituita al padre disperato. È una bellissima torre tardo cinquecentesca fornita di una propria dignità stilistica, ha la pianta prossima al quadrato, emergente nei suoi due piani al di sopra di un basamento appena scarpato. La sua forma è delineata da cantonali in piccoli conci, tra i quali si intessono le murature in ciotoli e pozzolana; lo stato di conservazione è perfetto sia globalmente che nei particolari, le quattro caditoie intatte, le imbotte in arenaria alle finestre del secondo piano, le bocche di lupo ed il portoncino del primo piano prive di sbrecciature, i mensoloni, i paramenti ed i costoloni del tutto integri. L’interno suddiviso da un muro di spina in due ambienti voltati a botte si ripete similmente sui due piani. I collegamenti verticali, inizialmente assicurati da fori e scale retrattili, oggi sono possibili grazie ad una pesante scala in cemento a due rampe.
Torre Favara o Torre Marco
Torre Favara o Marco Si trova ad est del torrente Favara. È una Torre che nella sua struttura di base si mantiene intatta, ha caratteristiche, in parte, delle torri di tonnara, ed in parte dell. Torri di Galera. In essa si può osservare il piano superiore sottolineato da un cordolo esterno e distinto dal basamento entro cui era la cisterna. La sua forma è quadrangolare con gli spigoli di pietra squadrata ed i muri, di pietrame informe, non sono ricoperti da intonaco. Contrariamente allo stile torrario, ha la porta di ingresso a nord, mentre le aperture, oggi murate sono nello stile delle torri e quindi aperte per guardare verso il mare. Dalle caditoie, oggi murate, sporgono grosse lastre di pietra su cui dovevano esserci le torrettine per il servizio di vigilanza. La torre è detta Marco dal nome di un’antica famiglia del luogo. Una leggenda racconta che Giovanni Vincenzo Marco sposò Maria Calderone da cui ebbe quattro figli, una loro figlia , Laura, nel 1619 fu presa dai turchi per far parte dell’harem del re di Tunisi con il nome di Gelsomina. Questa entrò nelle grazie del re, tanto da diventare la preferita, per cui un suo fratello, Girolamo, in diversi viaggi a Tunisi, riuscì a trasportare in San Marco ingenti tesori che nascondeva nella pancia di tonni o altri pesci.
Economia
L’economia del paese è prevalentemente agricola. I prodotti principali sono gli agrumi, gli ortaggi e la frutta. Le industrie tradizionali sono quelle manifatturiere del pesce e delle conserve alimentari: una zona industriale di origine più recente è situata nella contrada Pietra di Roma che occupa circa 3000 persone.
Fonte: www.comune.torrenova.me.it – it.wikipedia.org/wiki/Torrenova