Lo stemma di Venetico è stato estratto dall’ Archivio di Stato di Palermo ed è conforme al Sigillo di detto Municipio rinvenuto nella Collezione degli Stemmi di Sicilia – Volume VI – anno 1818 – come da fotografia autenticata dal Direttore dell’Istituto Statale stesso.
“Interzato in palo: nel PRIMO, troncato: A) d’oro, a cinque gigli d’azzurro, posti 1,2,2; B) d’oro alla banda d’azzurro, con la bordatura di rosso, caricata da otto torri d’oro; nel SECONDO, troncato: A) partito: nel primo, troncato di rosso e d’argento, nel secondo, inquartato in decusse, nel primo e nel quarto d’oro, a quattro pali di rosso; nel secondo e nel terzo, d’argento; B) d’azzurro, ai cinque gigli d’oro, posti 2,1,2, accompagnati in capo dallo scudetto di azzurro ai tre gigli d’oro, posti 2,1, con la bordatura di rosso; nel TERZO, d’oro, a cinque palle di rosso, posti in cinta, accompagnate in capo da altra palla, d’azzurro, caricata dai tre gigli d’oro, posti 2,1. Ornamenti esteriori da Comune”.
Cenni Storici
Gli Arabi dominarono la Sicilia dall’ 827 al 1060, chiamati nell’isola dal ribelle bizantino Eufemio da Messina, essi, provenendo dalla Tunisia, sbarcarono vicino Mazara e dopo varie conquiste nell’ 842 occuparono Messina e nel 965 Rometta. Respingendo le ripetute scorrerie nemiche, la resistenza Bizantina si concentrò nei territori montuosi della Valdemone, prossimi alla Calabria rimasta ancora in loro mano, ai che controllavano ancora con successo il mare. Tali drammatici avvenimenti sconvolsero il territorio: le popolazioni della zona costiera dovettero rifugiarsi sui monti fondando nuovi centri abitati in posizioni naturalmente munite o potenziando vecchi siti strategici. Centri naturalmente fortificati come Taormina, Rometta e Aci Castello divennero il fulcro della difesa: si può ipotizzare che tutta la catena dei Peloritani ( e forse anche dei Nebrodi ) sia stata intensivamente occupata, ovunque la natura dei luoghi ne consentisse una facile difesa.
Vanno a formarsi così gran parte degli attuali villaggi messinesi e molti centri dei Peloritani che manifestano ancora, nell’assetto urbanistico, le preoccupazioni dei loro antichi abitanti.
La città ovviamente non poteva più essere considerata un caposaldo difensivo: i Greci si ritirarono verso Rometta e verso la misteriosa Demenna.
Il sito di Demenna potrebbe oggi essere ricercato nel monte Dinnamare, che già ricorda nel nome e nella conformazione Demenna ( spartiacque ): il maestoso monte è quasi imprendibile e ad esso fanno capo numerose strade che collegano le più disparate località dei due versanti dei Peloritani.
Dal Dinnammare si giungeva con relativa facilità a Messina, a Rometta, Venetico nonché a Monforte, nei cui pressi è ancora vivo il ricordo di Niceta (condottiero bizantino) è conservato nel toponimo di S.Pier Niceto.
La Sicilia fu divisa amministrativamente dagli Arabi nella per la parte centro-occidentale dell’isola; mentre la parte orientale fu divisa in per la parte settentrionale , e per la parte meridionale.
In quel periodo non ci fu un regno unitario arabo , ma una serie di signorie locali , rette dai “Kaìd”.
E’ enorme il contributo dato dagli Arabi allo sviluppo economico e civile della Sicilia. Essi rivoluzionarono la produzione agricola con le nuove colture del riso e degli agrumi, e con una sapiente opera di canalizzazione, che permise di sfruttare al meglio le risorse idriche dell’isola.
Ancora oggi i termini dialettali riguardanti l’irrigazione sono arabi : la vasca di raccolta delle acque è la ” gébbia “; il canale la “sàja”; il ” bìndolo “, la ” zènia ” o la ” nòria “.
Furono incrementate le piantagioni di gelsi e di conseguenza fiorì l’industria della seta.
Molti termini commerciali sono ancora in uso : fùnnacu (fondaco), cantàru (quintale), tariffa, sinsali (mediatore), cafìsu (misura di 16 litri), ròtulu (peso di 800 gr.), rumanu (stadera)
Termini agricoli come fastuca (pistacchio), zàgara (fiore degli agrumi), zibbibbu (uva dolce ambrata dai grossi chicchi), giuggulena o ciciulena (sesamo), ed alcuni cognomi come Badalà o Vadalà (servo di Allah), Fragalà (gioia di Allah), Zappalà (forte in Allah), Cangemi (barbiere), Morabito (astemio) e del linguaggio comune, come ammàtula (invano), bizzeffi (in abbondanza), scerra (lite), filusa (soldi), càmula (tarlo).
I Normanni
I dominatori arabi non costituirono però una organica struttura statale in Sicilia, anche perché spesso i <kaìd> erano in lotta tra di loro. E fu in occasione di una contesa tra il Kaid di Catania, Ibn-at.Thumnah e quello di Agrigento Ibn-Hawas , che nel 1060 furono chiamati i Normanni in Sicilia ( che già erano stati come mercenari dei bizantini nel 1038-1042, e conoscevano la situazione politico-militare dell’isola).
Dalla caduta dell’ultima roccaforte bizantina in mano agli arabi, al primo sbarco dei Normanni in Sicilia non passarono nemmeno cento anni : Rometta cadde nel 965, e nel 1060 Roberto il Guiscardo e Ruggero d’ Altavilla occuparono Messina appena sbarcati nell’isola con appena 700 cavalieri.
E da qui iniziavano quella penetrazione militare che in un trentennio ( 1060 – 1091 ) portò alla totale conquista normanna della Sicilia e delle isole maltesi.
Con i Normanni, si gettano proprio in Sicilia, le basi dello Stato moderno.
Il re non comandava più attraverso la piramide feudale dei vassalli,valvassori e valvassini, ma per mezzo dei suoi funzionari ( nasce la burocrazia statale); e il Parlamento controllava il re non solo attraverso le rappresentanze dei nobili e degli Ecclesiatici , ma anche col braccio demaniale , cioè con le rappresentanze delle città libere, non infeudate a vescovi o a baroni; e soprattutto si esplicò in Sicilia una proficua collaborazione tra le varie etnie e le varie fedi religiose ( dei siculo-normanni , dei greco-bizantini, degli ebrei e dei musulmani) che portò una tolleranza religiosa che davvero precorse i tempi.
Da quanto scritto dallo storico inglese Herbert A. Fischer nella History of Europe, il < regno normanno era meglio organizzato di ogni altro governo europeo dell’ epoca>.
Inoltre lo storico siciliano Francesco De Stefano nella sua Storia della Sicilia dal secolo XI al XIX ha affermato che
Ruggero II fu il più grande re normanno. Regnò dal 1130 al 1154, e fu coronato re a Palermo con un fasto per quell’epoca che sbalordì tutti ; fece erigere splendidi edifici, come la Cappella Palatina , la chiesa della Martorana a Palermo e il Duomo a Cefalù, organizzò saldamente il suo regno, creandone il Parlamento nel 1129, organizzando il primo catasto urbano e rurale nel 1144, ed ingrandendo il suo dominio fino in Africa.
Alla sua morte gli successero i re Guglielmo I il Malo ( 1154/1166) e Guglielmo II il Buono ( 1166/1189), che ebbero a combattere contro la nobiltà ribelle.
Guglielmo II, che fece costruire il bellissimo Duomo di Monreale, si rese celebre per la sua tolleranza: in occasione del grave terremoto,che nel 1169 squassò l’intera Sicilia, le donne della sua corte, che tutti credevano cristiane, al momento del pericolo invocarono Allah, e il re le udì.Passato il momento del panico, esse chiesero perdono al re, per essersi rivelate musulmane, e Guglielmo II rispose magnanimamente < Donne andate in pace: ognuna preghi il Dio in cui crede >.
Gugliemo II, non avendo eredi diretti, permise nel 1186 il matrimonio della zia Costanza d’Altavilla ,figlia di Ruggero II ed erede del regno, con Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa: il chè comportò il passaggio della corona di Sicilia dalla monarchia Normanna a quella sveva.
In quest’ epoca, il feudo di Venetico era posseduto da Simone Venetico, da cui sicuramente prese il nome.
Gli Svevi
La dominazione sveva in Sicilia iniziò con Enrico VI, imperatore di Germania e re di Sicilia dal 1194 al 1197, e continuò con il grande Federico II dal 1198 al 1250, per concludersi col re Manfredi dal 1258 al 1266.
Enrico VI regnò con la crudeltà e col terrore. Annientò fisicamente gli ultimi prìncipi normanni; punì accecandoli i suoi avversari politici come l’ammiraglio Margaritone da Brindisi; fece incoronare con una corona rovente il suo antagonista Giordano, che insidiava il suo trono.
Gli successe il suo eccezionale figlio , Federico II di Svevia ,il quale meritò di essere chiamato dai suoi contemporanei la < meraviglia del mondo > per la sua straordinaria cultura linguistica, filosofica, scientifica e astrologica.
Federico II fu vittorioso nelle lotte contro il papato, contro i comuni italiani e contro i baroni tedeschi; organizzò la IV crociata e nel 1228 si fece incoronare re a Gerusalemme, trovando una soluzione diplomatica e non militare al problema della Terra Santa ; fondò l’Università di Napoli nel 1224; stipulò dei trattati di navigazione e di commercio con la Tunisia e con le repubbliche marinare; dotò la Sicilia di una formidabile rete difensiva con i castelli Maniace di Siracusa, Ursino di Catania, di Augusta e di Salemi.
Amò tanto la Sicilia che pur essendo morto in Puglia, per disposizione testamentaria volle essere sepolto nel Duomo di Palermo, dove la sua tomba, posta accanto a quella dei suoi genitori e di suo nonno Ruggero II, è quotidianamente ornata di fiori.
Alla morte di Federico II, avvenuta a Castel Ferentino in Puglia il 13 dicembre 1250, in Sicilia seguì un periodo politico assai torbido, perché il Papato, per evitare di essere soffocato dalla morsa sveva da Nord a Sud, pensò ad una soluzione del problema siciliano.
La <voluntas siculorum> si espresse invece, col suo Parlamento, in senso contrario alle intenzioni pontificie, e incoronò a Palermo lo svevo Manfredi, figlio di Federico II, nel 1258.
Un altro Simone Venetico, figlio di Raniero e nipote del primo Simone sposatosi con tale Razzuna, donò il Feudo, a tale Ardoino, giudice Messinese. La donazione venne confermata da Re Manfredi il 19 Marzo 1259.
Papa Clemente IV destinò la corona di Sicilia al conte francese Carlo D’angio, fratello di re Luigi IX; e lo scontro decisivo tra il Francese e lo Svevo, reso famoso da Dante avvenne il 26 febbraio 1266 a Benevento,in cui Manfredi fu sconfitto e ucciso.
Cominciò così il periodo angioino della Storia di Sicilia ( 1266-1282 ).
Gli inizi furono molto difficili, e l’effettivo dominio angioino nell’isola fu stabilito solo nel 1270, perché i Siciliani per lealtà verso gli Svevi, avevano chiamato a loro re Corradino di Svevia.
Sconfitto Corradino a Tagliacozzo il 23 agosto 1268, e decapitatolo a Napoli il 29 ottobre, Carlo d’ Angio inviò in Sicilia il più spietato dei luogotenenti, Guglielmo l’etendart, che con indicibile efferatezza domò l’isola solo nel 1270.
Il regno angioino in Sicilia non fu felice. Il nuovo re vi fu una sola volta in dodici anni, e di passaggio per giunta, nel 1270, dovendo raggiungere in Africa il fratello re Luigi IX, impegnato nell’ VIII crociata; e fu generale il malcontento , sia perché la capitale del regno fu trasferita a Napoli il 29 ottobre, sia per l’avida politica fiscale instaurata dagli Angioini, che avevano estremo bisogno di denaro per finanziare la vagheggiata impresa militare contro l’impero bizantino ( Carlo era divenuto re d’ Albania nel 1272, e le 1277 assunse il titolo di re di Gerusalemme.
A questo aggiungasi la forzata coabitazione coi militari francesi, che i Siciliani dovevano subire nelle loro case; la proibizione assoluta di portare armi ( il che dava modo ai Francesi di mettere le mani addosso alle donne, per cercare armi nascoste sotto le vesti, irritando particolarmente i Siciliani ); l’aggravio fiscale che imponeva continuamente nuovi odiosi balzelli, come la tassa sul matrimonio : il che determinò uno stato d’animo ostile ai Francesi, che scatenò la celebre rivolta popolare del Vespro Siciliano, iniziatasi a Palermo.
Il 30 marzo 1282, giorno di Pasquetta, in cui il soldato francese Drouet mise le mani addosso ad un’avvenente sposa siciliana, che passeggiava con suo marito presso la chiesa di S.Spirito ( allora fuori porta, oggi inglobata nel cimitero urbano di S.Orsola) con la solita scusa di cercare armi nascoste sotto le vesti. E’ d’obbligo ricordare il grido popolare di < Mora, mora !>, che allora fu lanciato dalle donne siciliane, e che divenne il grido generale della rivolta.
Il popolo fu inesorabile contro i suoi oppressori; e poiché molti di essi , visto il pericolo che correvano, si camuffarono da popolari siciliani, gli insorti quando vedevano un tipo sospetto lo costringevano a dire <cìciru>: e poiché i francesi pronunciavano sìsiru o kìkiru, in quanto mancano della pronuncia palatale, i siciliani li colpivano a morte; e un canto popolare affermò : < Oggi, a cù dici kìkiru in Sicilia, si ci tagghia lu coddu, ppi so’ gloria>.
I Siciliani cacciarono i francesi dall’ isola con le sole loro forze e in ciò fu determinante l’ apporto delle donne; e una nota poesia italiana del duecento, riportata nella sua Cronica dal Fiorentino Giovanni Villani, canta <Oh, com’egli è gran pietate – delle donne di Messina – veggendole scapigliate – portar pietre e calcina !- Dio gli dea briga e travaglio – chi Messina Vuol guastare!>; ed in Messina , nel campanile meccanico del Duomo, due bronzee figure femminili scandiscono le ore e i quarti, in ricordo delle coraggiose donne messinesi Dina e Clarenza, che nella notte dell’ 8 agosto 1282 salvarono la loro città, sventando con il loro tempestivo intervento un proditorio attacco notturno degli Angioini.
Per lealtà dinastica, cacciati i Francesi dall’ isola, il Parlamento siciliano chiamò al trono di Sicilia re Pietro III d’ Aragona, che aveva sposato Costanza di Svevia, figlia di re Manfredi, e quindi legittima erede del regno.
Cosi inizia il periodo aragonese della storia di Sicilia , che andò dal 1282 al 1412.
Gli Angioini
Cominciò così il periodo angioino della Storia di Sicilia ( 1266-1282 ).
Gli inizi furono molto difficili, e l’effettivo dominio angioino nell’isola fu stabilito solo nel 1270, perché i Siciliani per lealtà verso gli Svevi, avevano chiamato a loro re Corradino di Svevia.
Sconfitto Corradino a Tagliacozzo il 23 agosto 1268, e decapitatolo a Napoli il 29 ottobre, Carlo d’ Angio inviò in Sicilia il più spietato dei luogotenenti, Guglielmo l’etendart, che con indicibile efferatezza domò l’isola solo nel 1270.
Il regno angioino in Sicilia non fu felice. Il nuovo re vi fu una sola volta in dodici anni, e di passaggio per giunta, nel 1270, dovendo raggiungere in Africa il fratello re Luigi IX, impegnato nell’ VIII crociata; e fu generale il malcontento , sia perché la capitale del regno fu trasferita a Napoli il 29 ottobre, sia per l’avida politica fiscale instaurata dagli Angioini, che avevano estremo bisogno di denaro per finanziare la vagheggiata impresa militare contro l’impero bizantino ( Carlo era divenuto re d’ Albania nel 1272, e le 1277 assunse il titolo di re di Gerusalemme.
A questo aggiungasi la forzata coabitazione coi militari francesi, che i Siciliani dovevano subire nelle loro case; la proibizione assoluta di portare armi ( il che dava modo ai Francesi di mettere le mani addosso alle donne, per cercare armi nascoste sotto le vesti, irritando particolarmente i Siciliani ); l’aggravio fiscale che imponeva continuamente nuovi odiosi balzelli, come la tassa sul matrimonio : il che determinò uno stato d’animo ostile ai Francesi, che scatenò la celebre rivolta popolare del Vespro Siciliano, iniziatasi a Palermo.
Il 30 marzo 1282, giorno di Pasquetta, in cui il soldato francese Drouet mise le mani addosso ad un’avvenente sposa siciliana, che passeggiava con suo marito presso la chiesa di S.Spirito ( allora fuori porta, oggi inglobata nel cimitero urbano di S.Orsola) con la solita scusa di cercare armi nascoste sotto le vesti. E’ d’obbligo ricordare il grido popolare di < Mora, mora !>, che allora fu lanciato dalle donne siciliane, e che divenne il grido generale della rivolta.
Il popolo fu inesorabile contro i suoi oppressori; e poiché molti di essi , visto il pericolo che correvano, si camuffarono da popolari siciliani, gli insorti quando vedevano un tipo sospetto lo costringevano a dire <cìciru>: e poiché i francesi pronunciavano sìsiru o kìkiru, in quanto mancano della pronuncia palatale, i siciliani li colpivano a morte; e un canto popolare affermò : < Oggi, a cù dici kìkiru in Sicilia, si ci tagghia lu coddu, ppi so’ gloria>.
I Siciliani cacciarono i francesi dall’ isola con le sole loro forze e in ciò fu determinante l’ apporto delle donne; e una nota poesia italiana del duecento, riportata nella sua Cronica dal Fiorentino Giovanni Villani, canta <Oh, com’egli è gran pietate – delle donne di Messina – veggendole scapigliate – portar pietre e calcina !- Dio gli dea briga e travaglio – chi Messina Vuol guastare!>; ed in Messina , nel campanile meccanico del Duomo, due bronzee figure femminili scandiscono le ore e i quarti, in ricordo delle coraggiose donne messinesi Dina e Clarenza, che nella notte dell’ 8 agosto 1282 salvarono la loro città, sventando con il loro tempestivo intervento un proditorio attacco notturno degli Angioini.
Per lealtà dinastica, cacciati i Francesi dall’ isola, il Parlamento siciliano chiamò al trono di Sicilia re Pietro III d’ Aragona, che aveva sposato Costanza di Svevia, figlia di re Manfredi, e quindi legittima erede del regno.
Cosi inizia il periodo aragonese della storia di Sicilia , che andò dal 1282 al 1412.
Gli Aragonesi
Con il Vespro, si iniziò il lungo e doloroso periodo della Guerra dei Novant’ anni, che va dal 1282 al 1372, scandito da tre paci : quella di Caltabellotta del 1302, che segnò il distacco della Sicilia da Napoli; quella di Catania del 1347, che fu interlocutoria; e quella di Avignone del 1372 che fu definitiva.
Nel I° periodo ( 1282-1302 ), nel 1283 si assistette ad un duello da burla, in cui, per por fine alla
Guerra, re Pietro III e re Carlo I avrebbero dovuto affrontarsi nel terreno neutro di Bordeaux il 1° giugno 1283: ma ambedue gli avversari bararono, perché re Pietro si presentò di buon mattino nel campo designato, e non trovandovi nessuno si autoproclamò vincitore, e andò via; e lo stesso fece più tardi Carlo d’ Angiò, che accusò di codardia re Pietro, per non averlo aspettato.
Nel 1285 morirono, per singolare coincidenza, i tre protagonisti della guerra: papa Martino IV, Carlo I d’ Angiò e Pietro III d’ Aragona. I Siciliani, disobbediendo alle ingiunzioni del nuovo papa Onorio IV, elessero loro re Giacomo II d’ Aragona, il che comportò la scomunica papale a tutto il popolo siciliano; ma quando Giacomo II tentò nel 1293 di restituire la Sicilia agli Angioini, dietro congruo compenso, i Siciliani non esitarono a mandargli un’ ambasceria, annunciandogli che sarebbero scesi in guerra contro di lui, se li avesse riconsegnati agli Angiò; e non fidandosi di questo re , lo dichiararono decaduto , e al suo posto elessero re suo fratello Federico III d’Aragona, che regnò dal 1296 al 1337. Egli firmò, il 31 agosto 1302 la pace di Caltabellotta; ma le clausole non furono osservate, e la guerra continuò con re Pietro IV ( 1337-1342 ) e con re Ludovico I ( 1342-1355), sotto il quale, l’8 Novembre 1347, fu firmata la pace di Catania , con cui gli Angioini rinunciavano ai tentativi d’invasione del regno di Napoli; e al Papa, supremo signore feudale della Sicilia, toccavano 12.000 once d’oro. Ma nemmeno a queste condizioni si fermò la guerra.
Il III periodo della guerra dei novant’anni durò dal 1347 al 1372; e l’anarchia feudale che dilaniava la Sicilia, specie col re Federico IV ( 1355-1377) , ne favorì la quasi totale riconquista da parte degli Angioini ; ma il 26 Maggio 1357 i Siciliani furono vincitori della battaglia navale
Dell’ Ognina presso Catania, che rovesciò la situazione militare (tanto che fu chiamata < lo scacco di Catania>); e la guerra si continuò stancamente da ambo le parti, e si concluse ad Avignone (dove allora risiedevano i papi) il 20 agosto 1372, con la pace che segnava il definitivo distacco della Sicilia da Napoli, con una divisione che sarebbe durata fino al 1816, quando i Borboni unificarono i due regni dell’Italia meridionale nel .
Il secolo XIV si chiuse tristemente, per la lunga guerra civile scatenatasi dal 1377 al 1392 tra il < Governo dei Quattro Vicari> (le potenti famiglie Alagona, Chiaramonte, Peralta e Ventimiglia, che detenevano il potere in nome della principessa Maria d’ Aragona, la quindicenne orfana di Federico IV), e gli altri baroni , che si videro esclusi dal potere.
La situazione si sbloccò nel 1392, quando venne re in Sicilia Martino I d’ Aragona, che aveva sposato Maria nel 1390, e regnò fino al 1409, anno in cui morì, ed ebbe come suo successore – caso veramente raro nella storia – suo padre Martino II, che regnò fino al 1410.
Gli Spagnoli
Morto re Martino II senza eredi diretti, nel 1412 si riunì a Caspe il Consiglio della Corona D’Aragona , che nominò re di Sicilia il nipote di Martino II, Ferdinando di Castiglia. Con questo re si iniziò il periodo spagnolo della storia di Sicilia, che durò fino al 1713, e che viene
chiamato < Età dei vicerè>, perché i Siciliani, nonostante le loro pressanti richieste, non videro altro re nella loro isola che Carlo V, e solo per tre mesi nel 1535. Nel 1434 fu fondata la prima Università dell’isola a Catania.
La Sicilia era nel ‘400 un tale punto di riferimento per l’Europa, che lo stesso Cristoforo Colombo – lo si apprende dal suo diario di bordo – quando scopriva una nuova terra, la comparava con la Sicilia ( il 28 ottobre 1492 paragonò le montagne di Cuba a quelle siciliane; il 17 settembre 1493 osservò che la forma triangolare dell’ isola di Portorico era simile a quella della Sicilia; il 5 maggio 1494, scoprendo la Giamaica, notò che era più grande della Sicilia: e la Sicilia gli restituì la cortese attenzione, perché il primo geografo europeo che da una cattedra universitaria parlò delle scoperte colombiane fu il messinese Nicola Scillacio, che nel 1494 scrisse a Pavia il trattato De insulis Meridiani et Indici maris nuper inventis, e ciò quando Colombo era appena al suo secondo viaggio nelle nuove terre.
Il Feudo di Venetico
Il feudo appartenne non senza travagliate vicende ai discendenti degli Ardoino dal 1259 sino al 1447.
Nel 1408 era signore di Venetico Filippo Arduino ,nel 1416 subentrò Giacomo Arduino e successivamente il figlio di quest’ultimo Arduino de Arduino.
A questi ,morto senza discendenti, successe il fratello Federico figlio secondogenito di Giacomo che si investì il 20 febbraio 1443. Anche Federico morì senza eredi .
Per cui il feudo passò al terzogenito di Giacomo, Gerardo. Destino volle che la famiglia Arduino si estinguesse, infatti anche Gerardo ultimo proprietario morì senza eredi e lasciò la terra di Venetico insieme a Mazzarà , Longarino e il diritto del Tono di Milazzo a tale Pietro Porco o Porcio da Messina.
Tale passaggio di proprietà non fu però ratificato da Re Alfonso d’ Aragona , e quindi i beni ritornarono in proprietà alla Regia Corte.
Il 10 Giugno 1447 i feudi di Venetico e Mazzarà furono venduti a Corrado Spadafora, pretore di Palermo, e membro di una a famiglia della più pura nobiltà siciliana, per 300 onze e con l’obbligo di un cavallo armato per ogni 20 onze di reddito, privilegio dato in Tivoli il 10 Giugno 1447.
Dopo questa investitura la terra di Venetico rimase sempre in casa Spadafora.
Dopo l’acquisto da parte degli Spadafora ( 1447 ) in Venetico non vi era nessuna abitazione.
Infatti quando Corrado Spadafora comprò il feudo chiese di ottenere il titolo di barone e usare giurisdizione Civile.
La giurisdizione civile necessita di una anche piccola popolazione su cui debba essere esercitata, bisogna quindi rilevare che i primi abitatori non furono indigeni bensì immigrati da altri luoghi per la ferrea voglia
Colonizzatrice del feudatario.
In un secondo tempo circa 1604 il Barone di Venetico nominò un capitano e altri ufficiali, perché le terre Di Venetico erano ormai ben abitate di gente ricca ed onorata. E comprò dalla Real Corte il ( la facoltà di giudicare e punire anche con pena di morte ).
Quindi a distanza di un secolo e mezzo un altro Spadafora ottenne lo stesso diritto salendo dal civile al Criminale e nominò il capitano di giustizia e degli ufficiali e mise su le forche sulla spianata che ancora oggi ne porta il nome.
Il periodo sabaudo.
Il dominio spagnolo terminò in Sicilia nel 1713; ma nel primo quarantennio del secolo l’isola passò attraverso altre dominazioni, quella sabauda dal 1713 al 1720; quella austriaca dal 1720 al 1734; ed infine quella borbonica, che durò dal 1734 al 1860, anno in cui la storia di Sicilia confluì in quella generale del Regno d’ Italia , cui la Sicilia aderì col plebiscito unitario del 21 ottobre 1860.
Il settecento
Il seicento fu un secolo assai agitato per la Sicilia. L’ isola ebbe molto a soffrire non solo per carestie ed epidemie , e per le incursioni barbaresche che colpivano le sue coste, ma anche per catastrofici disastri naturali, come l’eruzione etnea del 1699, che distrusse 13 paesi e parte della stessa Catania; e come l’apocalittico terremoto del’11 gennaio 1693, che desolò la Sicilia orientale, provocando 60.000 morti ( di cui 18.000 nella sola Catania ); ed a ciò bisogna aggiungere le continue rivolte antispagnole, di cui la più grave fu quella voluta da Messina, che divenne di carattere internazionale per l’intervento francese, per cui dal 1675 al 1678 si ebbe in Sicilia l’ anomalia storica di avere contemporaneamente due vicerè, uno spagnolo a Palermo e uno francese a Messina.
Gli Austriaci
Divenuto generale il malcontento antisabaudo nell’ isola, fu facile alla Spagna riconquistarla nel 1718, tra la gioia della popolazione, ma, poiché era in corso la Guerra della Quadruplice Alleanza ( 1718 – 1720 ), stipulata tra Francia, Inghilterra,Austria e Olanda proprio per fermare le mire espansionistiche della Spagna, essa fu battuta per mare a Pachino dagli Inglesi, e per terra a Francavilla (Me) dagli Austriaci, col trattato dell’ Aja.
Fu costretta a cedere la Sicilia agli Austriaci, che già si erano insediati a Napoli nel 1707; e nel 1720 Carlo VI d’ Asburgo, imperatore d’ Austria , diventò anche re di Sicilia, mentre i Savoia diventavano re di Sardegna.
Così la Sicilia, dal 1720 al 1734 fu governata dagli Austriaci, che subito pretesero un di 600.000 scudi nel 1720; ed un altro, di 800.000 scudi, nel 1732: il che ebbe sinistre ripercussioni sull’economia isolana. L’unico punto a favore della dominazione austriaca fu segnato dalla fine dell’incresciosa : papa Benedetto XIII riconobbe il buon diritto dei siciliani alla < Apostolica Legazìa >,e nel 1729 abolì l’interdetto contro la Sicilia.
Neanche del dominio austriaco si ha un buon ricordo: gli ufficiali di Carlo VI si rivolgevano altezzosamente in tedesco agli isolani, che hanno conservato qualche reminiscenza tedesca nel loro linguaggio ( zzìmmuru per , da zimmer; laparderi, per , hellebardier, il soldato con l’alabarda; trinchillanzi per , da trink, lanz, bevi lanzichenecco; ffu per , da pfui; ed il proverbio nixi soldu , nixi sintinella per < se non mi paghi, non lavoro>). Gli austriaci incamerarono perfino l’argento che allora si estraeva dalle miniere di Fiumedinisi (ME), inviandolo a Vienna, e caricando sull’erario siciliano il costo del trasporto.
I Borboni
La Spagna non aveva però deposto il desiderio di ritornare sull’isola, nonostante l’insuccesso del tentativo del 1718. Poiché era scoppiata la guerra di successione polacca ( 1733-1738 ) il re Filippo V di Spagna, alleatosi con la Francia e col regno di Sardegna, inviò in Italia un esercito al comando del figlio Carlo di Borbone, che con la battaglia di Bitonto ( Bari ) del 1734 si impadronì del regno di Napoli e passò a conquistare la Sicilia, in cui l’ultimo presidio austriaco si arrese a Messina il 9 marzo 1735; e il 30 giugno Carlo III di Borbone veniva incoronato re nel duomo di Palermo. Fu l’ultima incoronazione di un re in Sicilia.
Carlo III inziò un’opera riformatrice nell’isola, mitigando i tributi, favorendo il commercio, destinando ai Siciliani le cariche pubbliche isolane e limitando i poteri dell’ Inquisizione. La sua opera si esplicò fino al 1759, anno in cui fu chiamato al trono di Spagna; suo successore fu il figlio novenne Ferdinando, sotto la tutela di un consiglio guidato dallo statista toscano Bernardo Tanucci, e composto anche da Siciliani.
Il riformismo borbonico fu continuato in Sicilia dall’opera di due vicerè illuministi : il marchese Domenico Caracciolo di Villamaina dal 1781 al 1786 , e il principe Francesco d’ Aquino di Caramanico dal 1786 al 1795.
Il primo soppresse l’Inquisizione nel 1782, destinandone le rendite all’istituzione di nuove cattedre universitarie, progettò un nuovo catasto per la perequazione dei tributi, e fece sorgere a Catania l’Ospizio del S.Bambino per l’ assistenza ai trovatelli ; il secondo nel 1788 abolì le , cioè i lavori che i contadini erano tenuti a prestare gratis ai feudatari della servitù della gleba; ed introdusse la vaccinazione antivaiolosa, e proibì le monacazioni dei minorenni e dei figli unici.
Le idee della Rivoluzione francese si fecero strada anche in Sicilia. Il giurista palermitano Francesco Paolo Di Blasi ordì una congiura giacobina per instaurare nell’isola un governo repubblicano. La congiura fu scoperta per una delazione, ed il Di Blasi fu arrestato: pur sottoposto a crudeli torture, non rivelò i nomi dei congiurati. Il 20 maggio 1795 fu decapitato a Palermo; e tre dei suoi compagni furono impiccati.
Tre anni dopo, nel 1798, incalzato dalle baionette francesi, re Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, che in 39 anni di regno non aveva mai posto piede in Sicilia, si rifugiò con la corte a Palermo, calorosamente accolto dagli isolani, che si lasciarono “mungere” con contribuzioni straordinarie, e gli finanziarono tre reggimenti di fanteria e una costosa flotta; ma re Ferdinando, quando nel 1802, con l’aiuto dell’ammiraglio inglese Orazio Nelson e del card. Fabrizio Ruffo.
Con i suoi “lazzaroni”, potè rientrare a Napoli, non mostrò nessuna gratitudine verso i Siciliani, anzi, li definì ” cannibali”.
Pertanto, quando egli ritornò in Sicilia nel 1806, cacciato da Napoli da Gioacchino Murat, le accoglienze dei Siciliani furono assai fredde; e quando la corte borbonica nel 1810 richiese un
< donativo > di 360.000 onze, il Parlamento siciliano gliene accordò soltanto 150.000; e per intervento degli Inglesi, allora in Sicilia in funzione antinapoleonica, il re dovette concedere ai Siciliani la Costituzione del 1812, esemplata su quella inglese dal giurista siciliano Paolo Balsamo da Termini Imerese.
Il Risorgimento
La storia di Sicilia nell’800 ci presenta due distinti periodi, che hanno per spartiacque il 1860: la Sicilia borbonica fino al 1860, e la Sicilia unitaria dopo il 1860, caratterizzata dalla costante richiesta della autonomia regionale, ottenuta solo nel 1946, dopo 86 anni di vita unitaria.
Passata la bufera napoleonica, e ritornato al suo trono di Napoli nel 1815, re Ferdinando di Borbone,IV di Napoli e III di Sicilia, non soltanto abolì immediatamente che nel 1812 aveva concesso alla Sicilia ( con la scusa che non poteva essere re costituzionale a Palermo,e monarca assoluto a Napoli ), ma con l’ atto di unione dell’8 dicembre 1816, unificò i due regni, e divenne Ferdinando I delle Due Sicilie.
Non potendo fare altro per il momento, i siciliani colpirono il re con l’arma della satira, < Fosti QUARTO e insieme TERZO, Ferdinando, or sei PRIMIERO, e se seguita lo scherzo, finirai per esser ZERO !>; ma capirono che se volevano risolvere il problema siciliano, bisognava farlo per gradi , ed inserirlo nel problema generale del Risorgimento italiano: e lo fecero con tre rivoluzioni, di cui la prima ebbe carattere separatistico nel 1820-21, la seconda ebbe carattere unitario nell’aprile 1860, precedendo la venuta di Garibaldi del maggio 1860, che portò al plebiscito.
Gli Spadafora
Le origini della famiglia Spadafora affondano addirittura all’ epoca dell’ imperatore Costantino, dove Basilio, pronipote dell’ imperatore d’Oriente, Basilio II, ricopriva la carica di Capitano delle guardie di Palazzo.
Il barone Palazzolo-Gravina nel suo dizionario storico araldico, riporta che secondo il Mugnos,questa nobile e remota famiglia greca, prende origine da un Basilio Spadafora, capitano della guardia dell’imperatore Isauro Comneno.
Dalla consuetudine di tenere la spada sguainata durante le grandi cerimonie, scaturisce l’etimologia del nome Spadafora e l’attuale araldica di famiglia.
Lo stemma è descritto come segue : < Arma : di rosso, col braccio destro armato movente dal fianco sinistro dello scudo, impugnante una spada d’argento alta in isbarra. Elmo e corona di Principe>.
Lo scudo ha,come sostegni, due liocorni ritti ed affrontati , ed in divisa, il motto < Prodes in bello >, in riferimento al valore ed al coraggio dimostrato in guerra.
Essi arrivarono in Italia intorno al 1058, al seguito del sopracitato Capitano Basilio, e si stabilirono in città come Venezia, Napoli e Messina, punto strategico nonché porto con obbligo di passaggio, dal periodo Normanno in poi, delle armate cristiane che si recavano in Oriente.
A Corrado Spadafora , straticoto di Messina, il 10 giugno 1447, per privilegio di re Alfonso d’ Aragona, dato a Tivoli , viene venduto il feudo di Venetico, poi elevato in baronia.
Figura religiosa degna di essere ricordata è quel Domenico Spadafora, dei Padri Predicatori di S.Domenico, nato circa nel 1450, dottore in teologia, che ravvivò l’ opera dei Domenicani nel Ducato di Urbino, facendo erigere una chiesa e un convento.
Per le sue opere sante, nel 1921, Papa Benedetto XV eleva il Beato Domenico agli onori dell’altare.
Nel 1459, il figlio di Corrado, Federico, a quella di Venetico aggiunge la baronia di S.Martino.
Gli Spadafora ebbero rapporti di parentela con le famiglie più nobili ( Colonna, Gotho, Ruffo , Sanseverino, Santapau, Moncada, Gutierez , Branciforte , Ventimiglia ) aumentando così la somma dei loro possedimenti che soprattutto oggi si trova traccia nei territori di Venetico, Spadafora , S.Martino , Maletto.
Pare probabile che Francesco Spadafora e Moncada, Ruffo e Santapau, sia stato il primo Principe di Venetico.
Per privilegio di re Filippo IV, dato il 10 Novembre 1629 ed esecutoriato il 6 Luglio 1630.
Castello di Venetico
Il castello fu edificato verso la 2a metà del 1400 dagli Spadafora, già Principi di Maletto. Trattasi di una costruzione trapezoidale con quattro torrioni cilindrici con basamenti a scarpa agli angoli. Il fronte d’ingresso è protetto da bocche di fuoco mentre gli spalti corrono lungo le pareti Est – Ovest. E’ importante sottolineare l’influenza sveva su questo tipo di architettura. Si dice divenne vera e propria fortezza ad opera dell’ architetto Camillo Camilliani , ma oltre a non esserci nessun documento da una analisi stilistica non si ritrova alcun elemento che giustifichi un suo intervento. G. Samonà ” L’architettura in Sicilia dal XIII sec. a tutto il Rinascimento ” – 1950 < Nell’ arte dei castelli svevi in Sicilia lo spazio non è articolato, …ma è raccolto in forme assolute di un rigore geometrico dei limiti, dai quali ogni senso di occasionalità è bandito, che possa quasi indicare un deviamento della maschia potentissima forza impressa con la decisa fermezza del loro disporsi in precise simmetrie. Questi castelli non si adattano variamente al terreno, non si pongono in modo che urbanisticamente l’edilizia civile vi si insinui attorno, quasi plasmandosi alla loro forma, come avviene in molti dei caratteristici centri siciliani. Gli esempi caratteristici sono quattro : Castello Ursino, Castel Maniace , Castello di Augusta, Torre di Enna. Questi quattro castelli si inseriscono con forza autonoma nel paesaggio,vi si impongono e lo dominano, dominando l’edilizia intorno con un segno di distinzione che è distanza, cesura incolmabile, arresto di ogni reciproco rapporto di spazio> Il castello ripropone la struttura di Castel Maniace ma è anche l’edificio che esemplifica, il passaggio dalla fortificazione al palazzo residenziale: anche a Venetico il MedioEvo stava finendo, e , la gioia di vivere, aveva necessità di appropriati luoghi cortigiani per danzare e divertirsi.
Chiesa Madre o Chiesa di San Nicolò, a Venetico Superiore
Dedicata a San Nicola di Bari, risale ai primi anni del XVI secolo e si è arricchita di arredi e di opere d’arte in epoche successive. L’altare centrale è del 1792 ed espone un quadro risalente al 1625, detto Volto Santo, che secondo la tradizione è una copia fedele (ed autorizzata dalla Chiesa) di un fazzoletto posto come sudario sul volto di Gesù dopo la sua morte. Sopra l’altare vi è un crocifisso ligneo dipinto del XVIII secolo[13].
Il campanile è stato ricostruito nel XX secolo, sul modello di quello originale crollato nel terremoto del 1908. La chiesa invece sopravvisse al sisma perché il parroco di allora, ordinando dei lavori di consolidamento, aveva fatto provvidenzialmente applicare, poco tempo prima, delle fasce di ferro come rinforzi strutturali che le permisero di resistere alle sollecitazioni. La navata centrale è ornata da stucchi, il soffitto è a cassettoni, mentre sulla cantoria è presente un organo del XVIII secolo recentemente restaurato. Compare anche un pulpito di legno simile quello del duomo di Messina.
Nella navata destra sono esposti il quadro della Madonna dell’Arco (1602), la statua di Santa Caterina d’Alessandria, datata alla fine del XVI secolo, e alcuni dipinti su tela del XVI, XVII e XVIII secolo. Nel transetto si trova l’Adorazione dei Magi, opera di Francesco Bonajuto (1532) con una notevole cornice. A San Nicola sono dedicate una statua lignea e una tela, entrambe del XVI secolo[14]. Vi è infine una statua in legno stuccato dell’Immacolata, risalente al Settecento[13]. Nella navata sinistra, nella cappella detta del Santissimo Sacramento, si trovano il quadro della Madonna del Rosario (Gaspare Camarda, 1605), diverse tele, del XVII e XVIII secolo, e due monumenti funerari in marmo policromo dei principi di Spadafora e delle consorti, datati 1615 e 1637. Nel transetto si trova il Cristo alla colonna e flagellazione (XVI secolo).
Chiesa di Sant’Anna, a Venetico Superiore
E’ una chiesa in stile barocco risalente al 1662, distrutta dal terremoto del 1908. Nel 2006 dopo un lavoro di restauro, è stata riaperta al culto.
Chiesa dell’Immacolata, a Venetico Superiore
Edificata nel 1618, sorge nella piazza omonima. Costruita su una preesistente chiesa (Santissima Trinità) del XVI secolo. Fino al 1862 convento dei Padri Zoccolanti dell’Ordine francescano.
Economia
L’economia venetichese è basata soprattutto sul turismo estivo, ma anche sulla lavorazione di laterizi e relativi annessi, sulla pesca e sull’agricoltura.
A Venetico Marina hanno sede numerose fabbriche di laterizi e manifatture di vario genere (produzione di infissi, prodotti per laterizi, lavorazione del ferro battuto, ecc.). In estate la spiaggia è meta di numerosi bagnanti provenienti anche dai centri vicini e da Messina. Negli ultimi anni inoltre si è iniziata a registrare la presenza di turisti provenienti da altre regioni d’Italia. Per tali motivi, soprattutto nel primo decennio del XXI secolo sono sorte numerose infrastrutture (lidi, ristoranti, pensioni) volte a sfruttare questa nuova fonte di introiti. Altro incentivo è stato dato dalla costruzione del nuovo lungomare, divenuto luogo di ritrovo principale dei villeggianti nelle serate estive.
Altra fonte di reddito risulta essere la piccola pesca locale: a Venetico Marina troviamo una discreta flotta peschereccia, dedita soprattutto alla pesca costiera ravvicinata. Il derivato di tale pesca, oltre che a soddisfare appieno le esigenze del territorio, viene anche commercializzato nei paesi limitrofi.
Venetico Superiore invece incentra la sua economia principalmente sull’agricoltura (i suoi prodotti, coltivati nelle campagne intorno al paese, sono olive, uva e agrumi), e sul turismo estivo, con le stradine caratteristiche di epoca medievale, il castello, ed il panorama sul Golfo di Milazzo come attrazioni principali.
Fonte: www.comunevenetico.me.it – it.wikipedia.org/wiki/Venetico