Dopo la disastrosa esperienza di Gela il punto della situazione con Massimo Greco sullo stato di applicazione della riforma dell’ente intermedio e sulla costituzione dei nuovi liberi consorzi di comuni.
Si aspettava un flop di questa portata sull’iniziativa referendaria del Comune di Gela?
Per la verità non mi sono neanche posto il problema perché ho bocciato a monte lo strumento referendario, inserito nel disegno di legge in modo estemporaneo dal gruppo M5S presente all’ARS. Il coinvolgimento delle comunità interessate è infatti uno strumento di partecipazione sproporzionato rispetto alla costituzione di un semplice consorzio di comuni che, ripeto, risulta sprovvisto di autonomia politica in quanto ente non territoriale di governo. I territori vanno coinvolti quando in palio c’è l’autogoverno delle comunità e non anche quando si deve decidere la modalità di gestione integrata di uno o più servizi o l’esercizio associato di una o più funzioni amministrative.
Ma si trattava anche di decidere il capoluogo di provincia del futuro consorzio di comuni catanese…
Anche questo è un errore frutto di una pessima disposizione legislativa. Il comune capo fila del consorzio per maggior numero di abitanti non ha la medesima consistenza istituzionale del vecchio comune capoluogo di provincia. E’ infatti sfuggito al legislatore siciliano che, a differenza del consorzio di comuni, la provincia regionale rimarcava, in linea con l’evoluzione dottrinaria di interpretazione dei principi costituzionali circa l’ordinamento degli enti locali e l’attuazione dello stato sociale, le componenti essenziali del territorio e di polo di direzione (che comporta l’individuazione fisica del centro operativo: il capoluogo) per lo sviluppo economico-sociale delle comunità che racchiude, per la formazione ed attuazione della programmazione regionale, per la razionale organizzazione delle strutture dei servizi e per l’attuazione del decentramento regionale ed anche statale. Il Comune capo fila del futuro consorzio di comuni non è niente di tutto questo.
Ma allora di cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando di come applicare una legge che passerà alla storia dell’autonomia regionale come una delle peggiori performance del nostro legislatore. Ma i nodi al pettine sono molti di più di quelli che stanno cominciando ad emergere. In tale contesto prendo atto che qualche parlamentare (On. Venturino), che ne ha acriticamente approvato il testo, oggi presenta una proposta per prorogare i termini di attuazione (6 mesi) e di stabilire prima quali funzioni e competenze attribuire ai futuri enti intermedi.
Quindi stop al progetto ennese di coinvolgimento delle comunità dell’area nord?
No, il progetto che si sta portando avanti deve rappresentare un’occasione di sviluppo del territorio delle aree interne della Sicilia indipendentemente dalla previsione di legge contenuta nella riforma che, invero, anziché agevolare tale percorso rischia di ostruirlo. Bisognerebbe far capire a chi pensa di decidere in nome e per conto dei siciliani che i territori non possono essere ingabbiati mediante limiti e vincoli fatti per rendere, di fatto, nulla la libertà di scelta delle comunità. Parafrasando Horderlin “Ciò che trasforma lo Stato in un inferno è il tentativo dell’uomo di farne un paradiso”.
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