Era il 31 luglio di questa schizofrenica estate quando, sotto il chiaror della nascente luna cullata dallo sciabordio della fontana delle ninfe, mi imbattei nel Buttafuoco paesano. Angela Riggio amante della parola scritta fu la colpevole e il di lei compagno il cospirator. “Dammi del tu” mi dice il professore, giornalista del Foglio e autore del pluriristampato “Buttanissima Sicilia” . Del tu? Ma come? Mi ero preparata tutta una serie di riverenti quanto capziose domande col lei distaccato e distante, mi ero sintonizzata sulle frequenze del prof. severo e della discente dissacrante e ora? Va be. Angela salutando ricorda ai suoi compaesani che le librerie vivono di acquirenti e non solo di estimatori, ma lo fa con tale parsimonia e con tanta educata riverenza che temo i suoi compaesani faranno finta di non avere sentito, cominciamo…no, no aspetta, aspetta c’è un’inattesa “carrambata” che mi leva l’ultimo anelito di seriosa parvenza. Cominciamo. Come posso io, che su quel testo bestemmiatore fra le virtuali pagine di questo giornale scrissi cose turche, presentarmi al cospetto del litterato castigatore? Posso anzi debbo perché se della sfuriata dolorosa e amara dello scrittore, che pazzo mi diventa ogni qual volta pensa alla bellezza offesa della sua terra natia nulla si può obbiettare, il però dell’isolano affranto e ancora speranzoso pur tuttavia si dovrà cuntare e allora cuntami o professore, cuntami della colpevole riottosità dei dotti.
Annacanti cultori del verbo declinato nei più impensabili modi, chiusi fitti, fitti dentro ai cenacoli culturali proibiti alla gintuzza, destinata a figliare migranti nostalgici di neo mastri don Gesualdo. Beffati da vessilliferi del supremo bene. La conversazione è durata il giusto per impedire delazioni o sbadigli clandestini e alla fine di tanto interiore tumulto, farcito di insulti, lastimi e improperi, alla fine quando tutti avremmo dovuto dirci sconfitti che accade? Accade che contenti e gioiosi ci mettiamo in fila per l’autografo di rito con l’altrettanto di rito selfie…siamo fatti così professore più che indignarci preferiamo fotografarci, anche con chi appena prima ci aveva insultato è la nostra quieta follia. A seguire il pensiero di chi amò, ama e forse ancora amerà il Buttafuoco di cui sopra.
E quando ti ricapita Buttafuoco a Leonforte, che presenta il suo “Buttanissima Sicilia” al Giardino delle Ninfe? Così mi sono detta, carica di entusiasmo, quando venni a sapere dell’imperdibile appuntamento. Fino a quel 31 luglio, a Buttafuoco lo amavo davvero, ora gli voglio un po’ meno che bene. I suoi scritti, il suo modo di parlare e di gesticolare, la sua amabile vis dissacratrice, queste doti trovavo in lui e la stima che provavo era così forte da sentirmi disarmata e inebetita al suo cospetto. Il suo eloquio accorato e furente, quella sera, mi faceva sentire meno sola nella rabbia di siciliana che non accetta l’andazzo generale e che quindi non si adeguerà mai. Me l’aspettavo la platea gremita, ed in effetti che ti perdi Pietrangelo “live”, in questa landa deserta bagnata da fiumi di birra Messina? Pietrangelo parla e gesticola, sotto una luna che dalla buttanissima terra pare più grande. Non ci sta a farsi largo tra l’immondizia che arreda le nostre strade e copre di sozzeria il bello cui i nostri paesaggi, la nostra architettura, il nostro patrimonio tutto insomma ci avrebbe dovuti educare. In uno slalom dialettico tra “Il dolore pazzo dell’amore” e la sua ultima fatica, Pietrangelo non rinuncia a quei toni intimistici propri di chi torna a casa per sfogarsi. E tutti – ma tutti tutti! – calavamo la testa in segno di approvazione. Se avesse manifestato la volontà di restare, in quel momento gli avremmo dato di certo la poltrona di sindaco, cose giuste! Io mi sentivo impaziente come i bambini che attendono la mattina di Natale per scartare i regali…non avessi mai letto quel buttanissimo pamphlet! Almeno, non tutto! C’è quel capitoletto, quello che inizia a pagina centoventitre, che mi ha davvero fatto intossicare l’anima. Possibile che in una terra come la nostra piccola e bistrattata provincia, anche una “voce fuori dal coro” come – pensavo – quella di Buttafuoco, “santifichi” tra il serio e il faceto (più serio che faceto) colui il quale è una pianta malata da estirpare? Una presenza ingombrante. Una pianta secolare che oscura ogni lembo di terra, pure quando c’è bisogno di sole. Non si muove foglia, a Enna e dintorni, che il feudatario non voglia. Santi numi! Mi chiedo come faccia la rabbia amorosa dei discorsetti di Pietrangelo a sposarsi con quel dannato capitolo! E come si fa a dargli ragione, se ogni angolo di questo paese come di altri limitrofi, è impregnato di quel malaffare che da tempo immemore si perpetra con la benedizione di tutti? Quella logica sottile, che dalle cime ennesi è scesa a valle, a permeare buona parte della popolazione: “Io ti do questo, tu mi sarai sempre grato”. La vogliamo chiamare gratitudine? Riverenza? Io la chiamo debito, schiavitù. Io non glielo voglio dire “I love you”. E neanche a te, Buttafuoco, te lo dirò più, perché con quel capitolo mi hai amareggiata. Tu e tutti quelli che assieme a me ti hanno applaudito. Perché ora, diciamocela tutta. L’anno scorso siamo stati visitati da Beppe Grillo, che ci ha detto quanto è bello il patrimonio che abbiamo mentre noi siamo educati al brutto, alla munnizza che hai ammirato pure tu. Era il periodo della campagna elettorale, quando Grillo disse così, e non immagini lo scroscio delle mani che si scioglievano in applausi. Vieni tu e ci dici che sarebbe bellissimo far rivivere il centro storico, via libera ad altrettanti scroscianti applausi. Le mani non cambiano, sono le stesse di chi, levati questi eventi, non se la consuma la suola delle scarpe per farsi uno a uno quei gradini che dalla Matrice ti portano dritto alla Granfonte, svelando angoli che sono poesia. Sono mani che coprono le boccucce sbigottite perché è sparita la targa commemorativa del nostro amato Enzo Barbera, uno che per Leonforte di suole ne ha consumate assai. Sparita così, sotto silenzio, dalla neonata e subito uccisa Galleria degli artisti – che ora non è né galleria, né pescheria – e finito lo sbigottimento, ognuno resta nel proprio salotto a sognare di far rivivere il centro storico leonfortese. Usciranno forse per i prossimi applausi, magari da riservare a Cettolaqualunque che ci verrà a dire quanto è bella la nostra terra, peccato che siamo rassegnati al brutto. Magari coprirà con le sue “montagne di pilu” i cumuli di munnizza che arredano le nostre strade, così la nostra madre Sicilia sarà pilusissima oltre che buttanissima. Lo scroscio degli applausi sarà sempre forte. La fila per i selfie altrettanto lunga. Perché noi sì, saremo malati di “vipperia”, ma intanto Pietrangelo ricordati che di questa Buttanissima terra sei figlio pure tu, che ti sei macchiato di ossequiose parole destinate a chi non ci aiuta a svegliarci e a prendere coscienza della nostra vera identità. Siamo tutti buttanissimi dunque, ma di un buttanìsimo charmant.
di Gabriella Grasso e Alessandra Maria
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