Se un personaggio mitologico piombasse sul presente direttamente dall’Ade, come gli si potrebbe rappresentare il mondo? Gli si potrebbe offrire oggettiva e nitida memoria di quanto è stato in sua assenza?
E’ quanto accade a Clitennestra, che dopo tremila anni fa ritorno fra i viventi per espiare le sue colpe, spiegare al mondo il perché delle sue azioni e sottrarsi al Mito che la raffigura come moglie assassina e madre snaturata. Ad andarle incontro, in una spettrale Micene, sono delle cittadine laide e stracce, che le prospettano un luogo intriso di peste e di rovina dove i ricchi si guardano bene dal recarvisi e non esistono più luoghi sacri o unioni familiari. Le donne sembrano pure sconoscere il lustro passato della loro città e non sanno chi siano Zeus e Tiresia, la regina parla dunque al vento in uno scenario privo di presente oltre che di un passato. Cosa resta del futuro?
V’è solo una certezza: Oreste ed Elettra sono i nuovi Dei da venerare e obbedire. Tale è la vanità degli uomini a spingersi così oltre? si chiede turbata Clitennestra. E com’è possibile che quelle cagne selvagge che incontra nel cammino verso i figli, siano state le Erinni che davano la caccia agli ingiusti e ora terrorizzano gli onesti e gli oppressi? E qui fantocci vestiti di bianco che dimorano in una reggia celeste simile a una discoteca? Sono proprio loro, Elettra e Oreste, intenti a celebrare il giubileo della loro ascesa al potere celeste, in un’atmosfera opaca e lattiginosa, circondati da persone dai vestiti pomposi e dai movimenti robotici.
Sembra di essere ad una festa mondana tra Vip in preda al delirio di esaltazione, mentre la tirannia e l’anarchia determinano il caos degli uomini. Si tratta piuttosto del terzo mondo, quello dei sacerdoti, attraversato da Clitennestra dopo quello della disperazione (le cittadine) e della ferocia (le Erinni). I figli, dopo averla riconosciuta, ammettono che stanno solo colmando un vuoto che l’essere umano sente da tempo: l’assenza di Dei tangibili incapaci di dare risposte e fermi alle sole apparizione in cielo o a sporadici miracoli, i due offrono quindi al genere umano l’occasione di “credere” in qualcosa.
La fine a una tale impostura non può che giungere tragicamente, ancora una volta ad opera di Clitennestra. Da questa rovina spirituale e materiale si potrà forse ripartire e recuperare un’entità superiore, una guida che restituisca uguaglianza e civiltà.
Pirrotta mette in scena un’opera drammaturgica forte che rispetta tutti gli elementi della tragedia greca: il prologo, il coro, e la catarsi e, al tempo stesso, rappresenta una bruciante attualità, di cui tuttavia gli interpreti non esprimono a fondo la forza emotiva: la Bonaiuto non sembra attraversata appieno dalla rabbia, dallo sgomento e dallo smarrimento di cui si fa portatore il suo personaggio; la forza del coro emerge maggiormente nei momenti di espressione dialettale ( che confermano la natura “cuntista” del regista) e nell’interpretazione delle cagne; imponente la scenografia, funerea ed infernale.
Lo spettacolo “Clitennestra”, in scena al Teatro Biondo Stabile di Palermo fino al 17 maggio, è prodotto da Teatro Biondo Stabile di Palermo / Teatro Stabile di Catania. Testo e regia sono di Vincenzo Pirrotta, scene di Renzo Milan, costumi di Giuseppina Maurizi, luci di Nino Annaloro, musiche di Giacomo Cuticchio. Intepreti: Anna Bonaiuto, Silvia Ajelli, Giulia Andò, Roberta Caronia, Elisa Lucarelli, Cinzia Maccagnano, Lucia Portale, Yvonne Guglielmino.
Livia D’Alotto