sabato , Gennaio 25 2025

La disoccupazione in Sicilia

disoccupazioneLa disoccupazione, soprattutto quella giovanile, costituisce il più grave e inquietante fenomeno che attraversa la società italiana. Essa produce miseria, sfiducia, alienazione ed è una delle cause di micro e macrocriminalità.

Nonostante questo, non sembra essere una priorità, né del governo nazionale né di quello regionale.

Il governo nazionale ha varato il Jobs- act, ma, dinanzi a dei dati contrastanti, solo il tempo e l’esperienza diranno se il prezzo pagato sul piano dei diritti sarà compensato da un maggior numero di assunzioni. E poi quali sono stati i provvedimenti a favore dell’occupazione giovanile? Per fare un solo esempio: In Italia , per favorire l’alternanza scuola-lavoro o il passaggio dalla scuola al mondo delle imprese sono stanziati circa 100 milioni di euro, in Germania 2 miliardi di euro, e le aziende poi, terminato il ciclo di stage, nell’80% dei casi tende ad assumere lo studente apprendista.

In Sicilia, su cinque milioni di abitanti, più di un milione è senza lavoro o non lo ricerca più perché è sfiduciato: Abbiamo perso circa 200 mila posti di lavoro e hanno chiuso circa quattromila imprese.

Il governo regionale, contro la disoccupazione, si è prodotto in una serie di interventi confusi e contraddittori, ha rischiato e riportato cattive figure, tra marcia avanti e marcia indietro che hanno creato un clima di smarrimento e di sconcerto.

Inoltre, afflitto com’è dal problema di un gigantesco precariato da fronteggiare e sistemare, non ha neanche tentato di mettere in campo un piano organico mirato al superamento, sia pure parziale e graduale, del triste fenomeno.

Non si può nascondere che trovare soluzioni al problema è difficilissimo , ma, prendendo le distanze da facili appelli demagogici, si possono avanzare alcune proposte:

1. Sarebbe utile un piano straordinario di edilizia popolare con la realizzazione diretta di abitazioni (ce n’è tanto bisogno!) da parte della mano pubblica e un sistema agevolato di credito, ora che il costo del denaro è ai minimi storici, (mutui trentennali a tasso minimo, specie per le giovani coppie, come un tempo si fece con il piano Fanfani o con la legge Tupini).

Si sa che l’edilizia è stato uno dei settori più colpiti dalla crisi e che è un sistema che ha immediate ricadute occupazionali che coinvolge contemporaneamente numerosi altri settori produttivi legati alla casa.

2. Un’altra proposta: la destinazione di adeguate risorse alla sistemazione idrogeologica del territorio. L’Italia sta franando, la Sicilia sta franando (abbiamo visto quello che è successo lungo l’autostrada Pa-Ct, con la Sicilia spaccata in due). Basta un po’ di pioggia in più e succede una catastrofe. Si può pensare ad interventi mirati, a situazioni locali immediatamente spendibili. Anche questo settore promuove immediata occupazione.

3. Un terzo intervento potrebbe riguardare una politica sociale per il sostegno alla terza età, ai disabili, ai bisognosi di assistenza domiciliare, per il potenziamento degli asili –nido. E’ un settore nel quale la Sicilia è molto carente rispetto ai livelli dell’Italia del nord e degli altri paesi europei. Si darebbe un grande aiuto a chi ne ha bisogno e si moltiplicherebbe il numero degli addetti.

4. Bisognerebbe incrementare anche dal punto di vista qualitativo la fruizione dei beni culturali che potrebbe determinare maggiori flussi turistici.

5. Si potrebbe ancora puntare sull’incremento qualitativo del settore agro-alimentare tra ricerca , innovazione e tradizione. Un altro settore da non trascurare, come è stato fatto finora, è quello sui siti industriali come il potenziamento dei Cantieri Navali a Palermo e la nuova destinazione produttiva degli stabilimenti FIAT di Termini Imerese. Anche da punto di vista della politica energetica, non è mai stato varato un piano energetico regionale.

6. Altro punto dolente: il ritardo nella spesa dei fondi europei. Nell’ambito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, entro il 31 dicembre di quest’anno, si dovrebbero spendere 2,2 miliardi. L’andamento della spesa però è fermo al 48,5% rispetto all’obiettivo fissato dall’UE al 60%. In un anno bisognerebbe fare quello che non è stato fatto in sei. Per la Sicilia viene a mancare un’ulteriore occasione di sviluppo. Perché questo? Per l’incapacità della politica regionale di dotarsi di un piano di sviluppo economico che preveda ricerca, innovazione e crescita sostenibili nei vari settori. Gli Uffici non hanno saputo predisporre progetti adeguati e adeguatamente finanziabili.

7. Stupisce poi che la Sicilia, la regione italiana con il maggior numero di Km di costa balneabile, circa 900 km, abbia soltanto cinque spiagge con bandiera blu, rispetto alle 23 della Liguria, alle 18 della Toscana e alle 17 delle Marche. In questi numeri c’è proprio il segno dell’incapacità dei politici e amministratori siciliani che non hanno fatto proprio nulla per quelli che dovrebbero essere i punti di forza della Sicilia, prima di tutto il mare che potrebbe dare una forte spinta all’incremento delle attività turistiche e quindi occupazionali. L’isola continua ad essere nel mirino della UE per gli scarichi fognari a mare, per i reati ambientali, per l’abusivismo, per la raccolta della spazzatura. Ci sono, per fortuna, delle realtà in controtendenza, vedi quest’anno la cittadina di Tusa, ma sono ascrivibili unicamente alla buona volontà di amministratori virtuosi e di cittadini volenterosi che collaborano e che hanno a cuore il luogo in cui vivono, mentre altre due città come Ragusa e Marsala sono uscite dall’elenco.

Ma soprattutto quello che occorre è che il problema del lavoro prenda il primo posto nell’agenda dei governi, i quali hanno l’obbligo di affrontare la questione funditus, con provvedimenti che abbiano il carattere dell’organicità e dell’immediata risposta, rispetto a una questione così drammatica che non può più attendere. Qualcuno potrebbe obiettare che un intervento strutturale per combattere la disoccupazione richiede risorse finanziarie che non ci sono. Ciò è contestabile, perché anche impegni di portata limitata, se ben mirati , organizzati e coordinati, possono portare a risultati importanti. E poi sappiamo che quando si è voluto e si vuole, i fondi si trovano. Si tratta di fissare delle priorità: quali settori privilegiare e quali possono attendere. Il punto politico è questo: la politica del lavoro deve avere il primo posto.

Ci ricordiamo dell’art.1 della Costituzione italiana che recita che la Repubblica è fondata sul lavoro? Oppure ci ricordiamo della nostra Costituzione solo quando fa comodo e serve e ce ne dimentichiamo quando costa fatica applicarla?

prof. Serafino Scorsone

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