IL SUICIDIO ASSISTITO
Un uomo chiamato cavallo remake
Dopo la débâcle di Casson a Venezia, Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco della laguna, ha definito la sconfitta come “il suicidio perfetto del PD”.
Noi che apprezziamo Cacciari ma siamo a Enna, parlando della débâcle di Crisafulli, la definiremmo piuttosto come un “suicidio assistito”.
Anche i più distratti di voi ricorderanno che da queste stesse pagine, su cui uno di noi Borghese ha tifato fino all’ultimo per Mirello, avevamo avanzato in tempi non sospetti un ragionamento, più che un’ipotesi di candidatura, e per non scoprire le carte subito l’avevamo chiamato “Un uomo chiamato cavallo”.
Se andate a leggervi quell’articolo (era il 1° febbraio 2015), troverete un’analisi nemmeno difficile del dramma interiore del PD, delle possibili soluzioni che avevamo intravisto con un po’ di buon senso e di esperienza, e del percorso logico che si poteva seguire e che sapevamo, ve ne renderete conto leggendo quell’articolo adesso, non sarebbe stato seguito.
A guardare bene c’era pure raccontata la storia di questi ultimi quindici giorni, con la facile predizione di quelle storie di mutuo soccorso che a volte colpiscono questa città e fanno storicamente più vittime illustri che vincitori forti, da Gino Curcio (2 volte), a Claudio Faraci, a Peppe Petralia e via discorrendo. Solo che questa volta il personaggio è di quelli extra large.
Apprezzo, forse per antiche reminiscenze gramsciane, i partigiani, quelli che parteggiano, che prendono parte e allo stesso modo odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. Sarà per questo che apprezzo chi voleva Mirello e lo voleva con tante ragioni che non vale adesso riprendere; per questo continuo ad apprezzare Mirello perché penso che la sua caparbietà ed esperienza poteva essere l’unica risorsa capace di risollevarci, e perché si è sempre messo in gioco, ha preso parte.
Ma per lo stesso motivo questa volta non griderei allo scandalo, non griderei al tradimento, come invece si sta facendo, perché non sono stati i notabili a decidere ma gli elettori, ed ognuno è libero di votare come vuole (e sto parlando del popolo bue o sovrano che dir si voglia).
Questa volta, infatti il mutuo soccorso c’è stato ma è stato meno forte di quanto si pensi. Non ci sono più i grandi manovratori di voti in questa città, non è più tempo di grandi timonieri. Qualcuno che ancora si favoleggia esista da qualche parte su alla capitale, come Nessy nell’omonimo lago scozzese, è sufficientemente esperto e disilluso da non sporcarsi le mani, e semmai avesse voluto intervenire lo avrebbe fatto alla luce del sole, visti gli schieramenti in campo e gli uomini armati. Forse ci ha messo un pizzico di strategia, quell’arte che altri cosiddetti ex grandi non hanno mai imparato a maneggiare così bene, per arrivare più facilmente al ballottaggio.
Se qualcuno nel PD, invece, grazie a queste voci intende candidarsi per il dopo-Mirello, non si illuda di averne provocato lui la sconfitta. Il vecchio Alessandro Manzoni gli avrebbe detto: va’ va’ povero untorello, non sei tu che schianti Milano (in questo caso Mirello)!
Dei due pubblici indiziati (ognuno si scelga quello che preferisce) abbiamo sufficiente stima per pensare che sono stati leali fino in fondo; ma se mai – durate le notti elettorali – si fossero montati la testa, pensando così di crearsi uno spazio nel PD liberato (per usare l’aggettivo di queste ore), allora hanno sbagliato di grosso, perché non sembrano essere loro “il nuovo che avanza”. Non sono credibili se vorranno vestirsi da neo-renziani, saranno fischiati se dovessero azzardarsi a seguire il vero impresentabile (per meriti speciali) del PD, quasi PD, per niente PD siciliano, e cioè il (poco) amato governatore. Lo hanno capito anche i suo ex seguaci, che essendo persone intelligenti si sono ben guardate dal farsi coinvolgere nuovamente da microfoni, altoparlanti e affini.
Quanto a fare, al contrario, il verso alla politica mirelliana di ultima barricata cuperliana e comunque anti-renziana, è meglio che cambino mestiere, non per incapacità ma perché questo può riuscire, anzi poteva riuscire solo al lui.
Se errore c’è stato, ma si tratta – secondo noi – piuttosto di calcolo delle probabilità, di raffinato gioco d’azzardo o forse di ultima spiaggia da parte del leader maximo, se errore c’è stato questo è tutto interno al PD ennese nel suo complesso, e come insegna il prof. Cacciari, non c’entra Renzi e, mi dispiace per i renziani piazzesi, non capisco cosa c’entri nel bene o nel male nemmeno Crocetta, visti i danni che ha fatto al suo paese.
Si è trattato di un suicidio assistito del PD, nel senso che sono stati in molti ad aiutarlo in questo volontario trapasso politico.
Tranne gli irriducibili, i nemici giurati che guidavano le schiere avversarie fin dal primo momento a suon di voti o di parole, a seconda delle capacità e dell’indole, e tranne in particolare i tre tre (Dipietro, Bruno e Contino) che pure abbiamo minchionato e che invece guideranno il Comune nei prossimi anni, quell’anima PD erroneamente indicata come ex Margherita (ché la Margherita non esiste più da prima dello strappo di cinque anni fa), poteva e doveva essere recuperata. Lo ha detto, a denti stretti e certamente fuori tempo massimo, il portavoce PD appena ieri.
Da quelle parti, quelle che Bufalino avrebbe definito “degli infedeli”, c’era e c’è gente in gamba, uomini e donne di spirito pronto, gente che sa di politica da quando giocava con le macchinine o la bambola, e che non può essere sprecata dal nuovo PD, se veramente si vuole ricostruire un partito vincente a Enna come l’ha reso per decenni Crisafulli.
A loro mi permetto di dire: sarà stata invivibile l’aria, sarà stata inquinata l’acqua, ma non si può continuare a fare i cespugli per sempre, e lo dico anche a chi per età, ruoli e capacità è da sempre un bell’albero adulto.
Dall’altra parte, passata la festa e gabbatu lu santu, conviene a tutti farli tornare sotto uno stesso tetto, perché alcuni di questi involontari migranti hanno alle spalle una grande esperienza e le giuste entrature regionali e nazionali, quella esperienza e quelle entrature che dopo la bocciatura di Mirello solo in pochi hanno nel suo entourage. Ce n’è bisogno.
Ho iniziato con una parola francese e finisco con una parola francese. Sarà tempo di espatriare?
P.S.
Col senno di poi la frase di commiato può essere male interpretata. Infatti non temo di subire l’ostracismo da parte di chicchessia, ma semplicemente temo che ci voglia qualcosa di più delle bandiere, qualche lacrima e qualche faccia improbabile per dare un futuro a questa città!
Q – G.L. Borghese
Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.
Q è “plurale” anche in un senso più ampio.