Il Pd, il “suo” partito che ora vuole farlo cadere senza sapere come, si trova costretto ad annotare che in una sola cosa di certo Rosario Crocetta ha battuto sinora i suoi predecessori Cuffaro e Lombardo: nel numero di assessori nominati. Trentacinque in trentuno mesi. Uno ogni 26 giorni. Cifra inesorabilmente destinata a crescere, dopo le dimissioni (annunciate) di Lucia Borsellino.
«Si stanno spegnendo le luci nella Regione siciliana», twitta Antonello Cracolici, potente deputato palermitano. Mentre il sottosegretario Davide Faraone, da tempo in rotta con Crocetta, dopo le dimissioni della Borsellino ha gioco più facile nell’invitare i colleghi alla linea dura. Diventa decisiva una direzione regionale del partito, convocata per sabato.
La linea, gradita al Nazareno, sarebbe quella di “accompagnare” il governatore verso elezioni anticipate nella prossima primavera, che si terrebbero assieme alle amministrative di Napoli, Torino, Milano. Magari utilizzando come strumento di convincimento i fondi (quasi tre miliardi) che Roma deve concedere per evitare il default a una Sicilia che il centrodestra ieri ha paragonato alla Grecia. Ma il timore di molti, fra i democratici, è che Crocetta dica no a qualsiasi ipotesi di dimissioni e che una sfiducia nei suoi confronti non passi in aula per il timore dei deputati di andare a casa anticipatamente.
È il rebus che tiene in vita un governo che ha fatto poche riforme (quella delle Province, annunciata in tv a inizio 2013, è ancora al palo) e consumato molti assessori, fra cui Battiato, Zichichi, il magistrato antimafia Nicolò Marino, la studentessa universitaria Nelli Scilabra. «La rivoluzione non si fa con gli uomini di Cuffaro e Lombardo », diceva Crocetta.
Ma solo venerdì scorso il primo presidente comunista e omosessuale della Sicilia ha infranto l’ultimo tabù. Facendo entrare nel suo governo non un tecnico ma un politico, l’ex senatore Giovanni Pistorio: già assessore di Cuffaro e braccio destro di Lombardo. L’ultimo inganno di una stagione che pare ormai al tramonto.
Emanuele Lauria per “la Repubblica”
Foto Dagospia
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