Dopo lunghi ritardi, commissariamenti e scioperi ad oltranza, l’ARS è riuscita a completare il processo di riforma degli enti intermedi in Sicilia trasformando le Province regionali in Liberi Consorzi di comuni. In attesa di ricevere il nulla-osta della Presidenza del Consiglio dei Ministri in ordine alla costituzionalità della legge che, a differenza del soppresso Commissario dello Stato, non arriverà prima di due mesi, cominciamo per grandi linee ad evidenziare con Massimo Greco luci ed ombre.
Cominciamo dalle luci?
Intanto, ancorchè tardivamente, la riforma è stata approvata e come tutte le leggi è sempre possibile migliorarla. Di positivo c’è l’affermazione solenne della necessità ordinamentale di un ente intermedio tra Regione e Comuni, questione messa in discussione invece a livello nazionale con la legge Delrio. E’ previsto anche un potenziamento di funzioni e servizi riconducibili all’area vasta con la prospettiva di aggregare attorno al medesimo Consorzio di comuni la gestione integrata di vitali servizi come l’acqua e i rifiuti. In tale contesto il personale in atto in servizio non solo sarà garantito, ma potrà anche essere potenziato, a patto che vi sia corrispondenza tra funzioni amministrative e risorse finanziarie. Altro elemento positivo è certamente quello di far cessare i commissariamenti restituendo la governance dell’ente ai nuovi organi di governo che dovranno essere eletti con il sistema indiretto.
Passiamo alle ombre…
Le ombre sono tante, anzi tantissime e richiederanno specifici approfondimenti.
1) Nei fatti l’autonomia e la libertà riconosciuta ai Comuni di aderire ad un nuovo Consorzio non c’è.
2) 2) Il potenziamento di funzioni e servizi avrebbe richiesto il mantenimento dello status di ente territoriale di governo dotato di autonomia politica e, quindi, di organi direttamente eletti. Gli organi eletti con il sistema mediato vanno bene in presenza di funzioni di coordinamento e di regolazione e non gestorie. La Sicilia ha dimostrato di non avere la cultura della gestione associata di servizi pubblici. Riproporre il modello fallimentare degli ATO per governare anche i Consorzi di comuni significa perseverare nel suicidio delle Istituzioni.
3) 3) Manca la copertura finanziaria non solo per le funzioni già esercitate dalle ex Province regionali a seguito della riduzione traumatica dei finanziamenti statali, ma soprattutto per le nuove funzioni attribuite.
Quindi non è così scontato il nulla-osta di costituzionalità?
Assolutamente no per una semplice ragione che abbiamo illustrato in altra occasione. Anche la Regione Sicilia, dotata di autonomia statutaria, dovrà adeguarsi ai principi contenuti nella legge statale Delrio che, al contrario di quanto fatto dall’ARS, mira alla soppressione dell’ente intermedio. Non importa il nome che viene utilizzato (Provincia o Consorzio di comuni), il principio cardine della riforma statale è che si dovrà fare a meno dell’ente intermedio con la soppressione programmata della voce Provincia dall’art. 114 della Costituzione. L’inevitabile corollario di questo principio-cardine ha un ovvio risvolto riconducibile alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, anch’esse direttamente incidenti sugli ordinamenti regionali a Statuto differenziato. Come si può pensare che il Governo nazionale possa chiudere un occhio a favore dell’unica Regione d’Italia che non intende adeguarsi ai principi soppressivi della legge Delrio? Peraltro, la legge appena votata dall’ARS è in contraddizione rispetto alla stessa previsione dello Statuto siciliano, perché potenziando all’inverosimile il Consorzio di comuni – anche attraverso l’attribuzione della funzione impositiva tributaria -, finisce per simulare un ente territoriale di governo dotato anche di autonomia politica. Il Consorzio di comuni invece non solo non lo è, ma non lo può essere secondo lo spirito dello Statuto siciliano.
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