Adesso assisteremo ai balletti rituali delle indignazioni sterili, alle ipocrite prese di posizione e alle proteste poco convinte, alle interlocuzioni e agli interessamenti di facciata per segnare non tanto una ferma e concreta opposizione all’ennesima decisione piovuta dall’alto, che sta svilendo ulteriormente un territorio prossimo alla desertificazione, ma piuttosto per certificare l’esistenza in vita e giustificare ruoli che ormai sembrano privi di peso e di significato.
Affermare che tale decisione sia piombata improvvisa ed inaspettata sarebbe una menzogna, ammettere che si sapeva già che si stava andando verso il completo spostamento del nostro baricentro politico, sociale ed economico verso altri territori, sarebbe più onesto, specialmente da parte di quei soggetti che, nel recente passato, ricoprendo a vario titolo ruoli di rappresentanza, incarichi politici ed istituzionali, questo processo lo hanno precorso, accettato e agevolato.
A ben vedere erano chiari da tempo i segnali di un ragionato, pervicace e determinato attacco ad un territorio già dilaniato e indebolito da contrasti interni e da lotte intestine tese non tanto a determinare un nuovo gruppo dirigente o a costruire una nuovo disegno politico, quanto invece a destabilizzare, destrutturare e demolire l’esistente, favorendo interessi esogeni a noi ostili.
Al di là degli aspetti e dei criteri legati a spending review, riassetto organizzativo, razionalizzazione e ottimizzazione dei servizi, che pure ci stanno, dovrebbe far riflette l’atteggiamento rinunciatario e remissivo che ha creato le condizioni e i presupposti per una smobilitazione generale, sotto gli occhi indolenti e rassegnati di cittadini, lavoratori, imprenditori e giovani che hanno ritenuto più comodo essere spettatori passivi difronte ad un declino preannunciato.
Con un pò di onestà intellettuale e una sana, quanto tardiva, autocritica molti si dovrebbero chiedere dove erano quando sono iniziate l’incontrastata occupazione di ruoli direttivi da parte di soggetti estranei al territorio e l’invasione pervasiva di commissari in quasi tutte le istituzioni locali di rilievo, cosa facevano quando si consumava, nella indifferenza totale anche da parte dell’imprenditoria locale, la defenestrazione di un ex presidente di Confindustria che si era permesso di osteggiare l’insediamento di una mega discarica a Dittaino, segno di un attacco cinico e preciso che passava anche attraverso le rappresentanze di categoria, da che parte guardavano mentre ci spogliavano dell’ex Consorzio Industriale a beneficio di Caltanissetta, cosa pensavano quando, in stanze lontane da Enna, si decideva di sopprimere la Camera di Commercio per accorparla a quella di Palermo, cosa dicevano quando hanno azzerato la Provincia, uno di quegli enti che ancora riusciva a garantire quel minimo di controllo, di pianificazione e programmazione che non pochi effetti positivi aveva prodotto … per non parlare dell’atteggiamento nei confronti dell’attacco a presidi ospedalieri, della chiusura del tribunale di Nicosia e della Banca d’Italia … strutture ed enti che garantivano non solo la presenza istituzionale del Governo centrale o regionale, bensì, cosa ancor più grave, l’autogoverno politico, economico e sociale del territorio, il presidio di ruoli e competenze la cui prerogativa era attribuita dalla legge ai rappresentanti locali e che invece è stata calpestata e oltraggiata vergognosamente e impunemente.
A nulla sono valsi gli sforzi di pochi “facinorosi” che si sono prodigati in incontri, appelli, denunce sui giornali, esposti alla magistratura, manifestazioni, audizioni all’Assemblea regionale, occupazioni di sedi istituzionali come la Camera di Commercio … tutto è passato quasi tra la totale indifferenza e l’insofferenza.
Però oggi ci ritroveremo tutti pronti ad esternare indignazione e a scandalizzarci per una scelta che appare prevaricatrice ma che ha il sapore amaro di una logica quanto ineludibile conseguenza, forse anche meritata, per non aver saputo mostrare, a tempo debito, con forza e determinazione, attaccamento alla propria terra, capacità di difendere gli spazi vitali e gli strumenti essenziali attraverso i quali si dispiega la sovranità popolare, la capacità programmatoria e le ambizioni di crescita.
Ora dovremmo atteggiarci a difensori di quel presidio di legalità che lo stesso Stato ha ritenuto superfluo, mutuando il metro di giudizio dal computo ragionieristico che non lascia spazio a considerazioni di tipo opportunistico, sociale e politico.
Così quest’ultima non sembra neppure la maggiore perdita registrata.
Ma se dovesse essere utile come esercizio per riacquistare coesione e compattezza, coraggio e dignità, per dare vigore alla riconquista di una sovranità perduta e di una capacità di rappresentanza e di governo del territorio ormai sopita, allora che sia la ben venuta.
Tonino Palma
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