Fatta la legge trovato l’inganno. I test di accesso alle professioni sanitarie e mediche si possono evitare
di Massimo Greco
Con l’ingresso dello nostro paese nell’Unione Europea molti “capricci” presenti del nostro ordinamento vengono aggirati dalla sovraordinata normativa comunitaria. Tipico è l’esempio del numero chiuso per l’accesso alle facoltà universitarie mediche e sanitarie. Ogni anno il Ministero dell’Università di concerto col Ministero della Salute stabilisce il numero massimo degli studenti che possono iscriversi al primo anno delle diverse discipline per ogni Facoltà, oltre il quale non sono più ammissibili iscrizioni se non con riserva. Bene, questa regola comporta una selezione iniziale per accedere ai corsi di laurea notoriamente difficile e motivo di ansia non solo per gli studenti interessati ma anche per i rispettivi genitori. Quest’ultimi sono spesso costretti a sostenere le spese per preparare i propri figli a sostenere tali test selettivi.
In attesa che il nostro ordinamento si adegui a quello di altri Paesi europei come la Francia la cui selezione avviene sul campo, cioè sulla base del numero di materie che gli studenti riescono a superare al primo anno d’iscrizione aperto a tutti, qualcuno ha pensato bene di aggirare l’ostacolo dei test preselettivi sfruttando la normativa comunitaria. Numerosi sono ormai i casi di studenti iscritti in Università non italiane che chiedono il trasferimento in Università italiane con accesso diretto al 2° anno. Dopo una prima fase in cui le Università hanno negato l’iscrizione di questi furbi studenti provenienti da Università straniere, la giurisprudenza, alla luce dell’attuale normativa italiana, ha dovuto acclarare la conformità di tali trasferimenti ancorchè gli studenti interessati non avessero partecipato ad alcuna selezione iniziale per accedere al primo anno. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, nei giorni scorsi, ha ribadito il principio già autorevolmente espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato a mente del quale il trasferimento di studenti da Facoltà di medicina straniere (nella specie, facoltà europea) ai corsi di laurea in medicina e chirurgia delle Università italiane non subisce altre limitazioni, se non le medesime di quelle previste per gli studenti che chiedono tale trasferimento provenienti da altre università italiane.
Pertanto, esso rimane subordinato esclusivamente: a) alla sussistenza – nell’ateneo al quale la domanda è proposta – di posti vacanti per l’anno per il quale il trasferimento viene richiesto; b) alla valutazione di merito della compatibilità della preparazione maturata nei corsi di provenienza con quella ritenuta necessaria dall’ateneo di accoglienza, se del caso, verificata anche attraverso prove specifiche regolamentate attraverso l’esercizio della propria potestà regolamentare in materia. Nessuna preclusione invece – precisa il C.G.A. – deriva dalla disciplina italiana relativa esclusivamente alla materia della prima ammissione degli studenti agli studi in questione e non anche perciò di quella di coloro che già lo siano stati e chiedano ora di proseguirli producendo uno specifico curriculum studiorum.
Infatti, osserva il C.G.A., l’esistenza di detto curriculum costituisce prova di una “attitudine” agli studi medici, almeno non diversa (e forse in concreto anche prevalente, perché affidata all’esibita acquisizione di un accreditamento degli stessi da parte di una istituzione universitaria, tanto più, in relazione ai principi del diritto comunitario, se anche europea) da quella verificata attraverso i test italiani di ammissione, calibrati ad accertare tale attitudine sulla base della formazione conseguita negli studi secondari superiori.
Il mondo è di chi lo sa canzonare!