domenica , Ottobre 13 2024

La Torre di Federico ad Enna

vista-torre-La città di Enna, definita dalle fonti classiche Umbilicus Siciliae per la sua posizione geografica al centro dell’isola, che si affaccia su un variegato territorio di pianure e altipiani, punteggiati da paesi e paesini arroccati in cima a cocuzzoli o adagiati in mezzo a valli o a fianchi d’alture che si stagliano all’orizzonte, sorge a 970 metri s.l.m. Per tale posizione era considerata roccaforte eccezionale, posto di vedetta naturale e baluardo inaccessibile, luogo di rifugio dalle invasioni, posto di sicurezza che le valse il motto di Urbs Inexpugnabilis, che ancora oggi compare nello stemma della città.
Giunti al quartiere Balata (dall’arabo Al Balat lastre di pietra) che ancora oggi rappresenta il crocevia in cui si incontrano le due parti della città, decidiamo di andare, per il nostro primo giro, verso la Torre di Federico, per cui, giriamo imboccando la via Roma, fino al quadrivio della zona “Monte”, da dove, svoltando a sinistra ci immettiamo nel viale IV Novembre. enna-federico-torre-300x189Sulla sinistra un poggio alberato, ci indica che siamo arrivati a destinazione. Entriamo in un parco pubblico, comunemente chiamato dagli ennesi “Villa di Federico” e due strade si aprono per raggiungere il monumento: possiamo scegliere di percorrere l’anello stradale che gira tutt’intorno la villa in una spirale, ricavata sui versanti della motta su cui sorgeva isolata la Torre, immergendoci nell’ombra proiettata su di noi dagli alberi di pino, cedro e dalle palme, salita resa agevole dalla sua dolce pendenza che non affatica il visitatore, oppure possiamo arrivare direttamente in cima per mezzo di una scalinata ripida che ci porta direttamente all’ingresso. veduta-secondo-pianoQuello che si apre di fronte ai nostri occhi è la cinta muraria, che doveva racchiudere al suo interno la Torre, anch’essa di forma ottagonale, che nonostante si presenti in forte stato di degrado, mostra ancora l’alloggiamento per gli stipiti della porta. Entrando la Torre svetta in tutta la sua imponenza, e il lato che mostra presenta un’apertura rettangolare incorniciata da arco ad ogiva. Guardando attentamente, si nota, come sopra e sotto l’apertura si trovino otto tagli simmetrici in doppio allineamento, gli inferiori più grandi di quelli superiori, sotto i quali vi sono altre quattro buche. enna-torre-federicoQuesto allineamento, unito a quello che doveva essere il solco di adesione di un tettuccio spiovente ancora visibile, suggerisce che nella sua formulazione originaria, questo lato potesse ospitare un ballatoio presumibilmente in legno, una “veranda” che, con un pò di immaginazione potremmo pensare simile alle “musciarabie” così frequenti nei palazzi di tutti il Mediterraneo orientale. Nella stessa cinta muraria distinguiamo un’altra porta che presumibilmente fungeva da posto di guardia, conservatasi interamente. La torre, da sempre ritenuta una domus regia, forse per brevi soggiorni a scopo ricreativi, «solacium», e di caccia risponde a criteri di semplicità e funzionalità nel suo impianto ottagono. pozzo-luce-della-scalaNello spazio che si apre tra la cinta muraria e il monumento, possiamo immaginare accampata in tende, di tessuti preziosi e impalcatura lignea, la corte, mentre l’imperatore soggiornava all’interno della Torre, in un periodo probabilmente, primaverile o autunnale, per la mancanza di riferimenti a sistemi di riscaldamento all’interno del monumento. La torre come detto era isolata dal resto della città e la sua posizione consentiva ai cavalieri riuniti alla corte dell’imperatore di raggiungere in breve il parco di caccia, localizzato secondo le fonti, nella vicina Pergusa in contrada Carangiara.
particolare-finestra-primo-piano-esternoFinora abbiamo fatto riferimento a Federico II e alle sue abitudini, ma non tutti concordano con l’attribuzione all’impero svevo della paternità della Torre. Per alcuni studiosi, tra i quali Agnello, Enlart, Bertaux, Bruhns, Krönig, Bottari, Wagner-Rieger, essa è opera di Federico II di Svevia (1194-1250), per altri, Carandente, Bruschi e Miarelli Mariani, Alberti, essa è stata elevata dal figlio Manfredi; un’altra tesi, ipotizzata dal Littara, accolta da Di Marzo e Mothes, suppone che sia stata edificata da Federico III d’Aragona (1272-1337), che probabilmente entra nel novero delle attribuzioni solo per omonimia. Attraverso un’unica porta, al pian terreno, si entra in un ambiente ottagonale, chiuso in sommità da una volta ad “ombrello”, sorretta da otto possenti costoloni a sezione rettangolare, ricadenti in basso su mensole a gocce alcune delle quali sfaccettate senza decori, altre decorate con scanalature e baccelli. Questa alternanza dà all’ambiente un senso di movimento ritmico, che si ritrova nella distribuzione delle tre feritoie nei lati opposti dell’ottagono, in modo che i lati mediani restino ciechi. particolare-interno-delle-finestre-primo-pianoIl lato in cui si doveva sviluppare una quarta apertura, ha dovuto cedere il posto allo sviluppo della scala, ricavata nello spessore del muro. Al centro della sala si trova un’apertura circolare che scavi eseguiti dalla Soprintendenza BB. CC. AA. di Enna hanno accertato si tratti di una cisterna che doveva servire alla raccolta delle acque piovane, alla cui sommità esiste un cunicolo, esplorato in parte per la difficoltà di accedervi e la presenza di macerie che lo ostruiscono, che potrebbe essere un cunicolo sfiatatore, o il condotto sotterraneo per una via di fuga che la tradizione vuole si trovi in questo tipo di costruzione. Sulla sinistra si trova una porticina che permette l’accesso alla scala a chiocciola di 98 gradini, ricavata nello spessore del muro. La scala non più originale, è stata fatta ricostruire in calcestruzzo verso gli anni trenta del secolo scorso. Essa fu fatta demolire verso la fine del 1700 per la caparbia pedanteria del prete Felice Fidotta per evitare, secondo la sua opinione, che la domus divenisse o continuasse ad essere luogo di appuntamenti amorosi, e di malaffare. piano-terra-volta-ad-ombrello-e-mensoleLa scala viene illuminata, oltre che dalle finestre, nella sua parte terminale anche dal cono circolare formato da cerchi concentrici, che comunicando con l’esterno svolge la funzione di pozzo luce e permette l’aerazione degli ambienti comunicanti con la scala. Giunti a metà altezza, la scala permette l’accesso al primo piano, formato anch’esso da una volta ad ombrello su costoloni, la cui differenza architettonicamente più rilevabile si riscontra nei costoloni che qui si scaricano su semicolonne cilindriche su basi attiche a base ottagona, anche in questo caso con decorazione alternata nell’uso delle foglie. Su due lati opposti si trovano due finestre rettangolari, che all’interno sono formate da due alzate che consentono di accedere all’apertura, mentre lateralmente si trovano due sedili in pietra. Sedili molto diffusi, non solo per godere del panorama, ma probabilmente perché gli ambienti interni dei castelli erano poco illuminati e l’unico posto luminoso era il cavo delle finestre facendo configurare questo ambiente luminoso, come quello che più si confaceva alle dame. In questo livello attraverso una porticina si accede ad un piccolo locale, vano questo, sicuramente, sede dei servizi igienici. particolare-mensola-piano-terra-e1411321200612Il secondo piano, attualmente scoperto, si presenta mozzato alla quota di circa m. 3,20 dal piano di calpestio ed è definito, oggi, come piano terrazzo. Ai quattro angoli nei muri sono visibili quattro mensole coniche desinenti a goccia con lo stesso motivo del piano terra, sulle quali sono impostati altrettanti costoloni, a sezione rettangolare con angoli smussati, che, forse, dovevano sostenere la copertura. Un grosso concio tagliato con quattro facce sporgenti, ritrovato al culmine della scala tra le macerie del secondo piano, sembra essere chiave di volta a quattro elementi che chiudeva e riuniva i costoloni, e la presenza delle quattro arcate impostate agli angoli fanno supporre che la copertura fosse in legno e pietra, quindi più leggera di quella presente nei livelli sottostanti, e perciò non insistente su otto archi. Le arcate lapidee si imposterebbero sulle mensole a goccia, chiuse con la chiave di volta. particolare-colonna-primo-pianoOggi è possibile, per mezzo di scalette d’acciaio, salire, protetti da parapetti, sulla cortina muraria e perdere lo sguardo sul vasto panorama che si apre. A Nord individuiamo, coperta in parte dalla città di Enna, Calascibetta, le alture dei Nebrodi e delle Madonie, a Nord-Ovest Rocca Busambra e a Nord-Est, in successione, Agira, Assoro, Leonforte, Troina e la cima dell’Etna con i paesi che ne formano la cintura etnea. A sud riconosciamo l’eremo di Montesalvo e distinguiamo il Lago di Pergusa. Ad Est lo sguardo si perde nei vicoli e nelle strade che percorrono tutta la città custodi di Chiese, monasteri, palazzi fino a giungere all’altro grande monumento medievale della città: il Castello di Lombardia.

particolare-volta-ad-ombrello

Ad Ovest si apre la contrada di Papardura, e parte della Sicilia occidentale, in cui un occhio avvezzo distingue chiaramente il Monte di Sutera, Naro e Caltanissetta.

Valentina Di Natale
Archeologo

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