Strangolata con un cavo elettrico e poi soffocata con un fazzoletto imbevuto di candeggina.
Vivienna ha intervistato papà di Vanessa Scialfa. “Mia figlia è stata ammazzata dall’uomo che amava. L’ha portata via dalla famiglia e dagli amici. L’ha uccisa e l’ha gettata via. Sono tre anni che cerco di capire perché. Si può ammazzare una donna per gelosia? L’ha uccisa con spietatezza e cinismo. Ha confessato e gli hanno dato 30 anni anche in appello. Pagherà? In Italia non c’è certezza della pena. Sono tre anni che mi domando cosa può spingere un uomo a soffocare una donna inerme. Mi chiedo se era solo, mi faccio domande che restano inevase e trovo ombre che non mi danno pace. Indago per mio conto e scopro inesattezze e lacune sulla ricostruzione dei fatti. Capire non mi ridarà mia figlia, ma la salverà dall’onta della vergogna che ricade sulle vittime, sempre. Il reo confesso ha diritto di riabilitarsi, la vittima no e non passa udienza senza che si alluda, si insinui, si cerchi di far passare mia figlia come “una che se l’è cercata”. E’ una afflizione perenne. Perdi una figlia, ti domandi dove hai sbagliato, perché non l’hai salvata dall’orco, perché l’hai lasciata andare. Non ci sono giustificazioni e anche se ci fossero tua figlia non tornerebbe. Siamo soli. Enna non ci perdona di essere umili. Io non porto la cravatta e per questo non merito la compassione dei miei concittadini. Scriva, scriva che non mi sono arricchito col cadavere di mia figlia, che i miei debiti li pago e che non cerco la fama. Lo scriva. Io e la mia famiglia lottiamo per avere giustizia, ma fino a quando le donne moriranno per mano di principi assassini nessuno potrà sentirsi sicuro. Cresci una figlia come puoi, come sai e poi viene uno che la se la porta via e ne fa quel che vuole. Quale padre può stare sereno? Grazie anche a nome di Vanessa”.
Il 25 novembre è la ‘Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne’. A proclamarla l’Onu nel 1999, scegliendo una data-simbolo. Perché il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, quand’era dittatore Trujillo, tre sorelle, Mirabal il cognome, considerate rivoluzionarie, furono torturate, massacrate, strangolate e i loro corpi furono scaricati in un burrone. Fu simulato un incidente. Insomma, un brutale assassinio da non dimenticare.
Uccise da mariti, fidanzati, spasimanti… perché? Perché donne desiderose di affermare la propria autonomia o semplicemente perché cose, oggetti posseduti da rompere piuttosto che condividere o semplicemente lasciare. Avremmo voluto un 2015 senza femminicidi, ma non è così. Un ricordo per alcune delle tante, troppe donne, uccise. Un ricordo che per quanto breve servirà a non dimenticare le loro storie. Le vittime di qualcosa che gli assassini si ostinano a chiamare amore. Gli assassini sono uomini normali: mariti, padri, compagni.
Non sempre e non ovunque le cose sono cambiate la Redazione di Vivienna ha voluto ricordare alcune delle vittime della misoginia strutturata; latente negli animi feriti e evidente nei corpi offesi e gettati come cose inservibili, inutili. Nell’augurarci che cali l’indifferenza verso i soprusi di genere ricordiamo il 1522, numero antiviolenza attivo ogni giorno, ogni ora perché la violenza non riposa mai.