Sono passate due settimane dai fatti di Parigi e da allora molto si è detto sul simbolismo dei luoghi attaccati dai terroristi. Sul Bataclan però la confusione si è mista al pregiudizio e molte voci hanno cominciato, da subito, a girare sui social. I proprietari del Bataclan sono ebrei e gli artisti che vi si esibiscono suonano rock. Per meglio capire cosa vuol dire tutto questo abbiamo intervistato il batterista dei NaGa, emergente rock band milanese, Marco Parano.
Al Bataclan venerdì 13 novembre suonavano gli Eagles of Deat banda rock di Palm Desert. Il genere musicale degli Eagles of Death Metal è il blues con una forte dose di umore, irriverenza e critica sociale come Charlie Hebdo. Nella copertina dell’ultimo disco, Zipper Down, è raffigurato un petto di donna nudo con i volti dei due musicisti sopra i capezzoli. Questa è può essere una “provocazione” a tuo parere?
Al Bataclan si suonava. A prescindere dal genere, si faceva musica. Suonava una band che , a dispetto del nome, non è una band di death metal: è una band rock-punk statunitense come milioni di altre band. Non c’entra il genere, non c’entra il metal, a dirla tutta non c’entra neanche la musica.
Il Bataclan è stato raffigurato come un luogo di promiscuità e devianza, un posto impensabile per gli jiadisti. In un comunicato, il non riconosciuto Stato Islamico rivendica il massacro al Bataclan perché “la sala era un obiettivo, lì si trovavano centinaia di idolatri di una festa perversa”. Un luogo di peccato dunque?
Sinceramente non penso che il Bataclan sia da considerare un luogo di peccato, semplicemente è un posto “comodo” per un attentato: tanta gente disarmata, distratta dalla musica quindi facilmente preda di una sorpresa. Non dovremmo cadere nella trappola del misticismo, non c’è sacralità in una strage, non c’è e non deve esserci una giustificazione religiosa in tutto questo. Il nostro compito dovrebbe essere quello di sostituire la logica e il pensiero razionale al fondamentalismo. Cercare giustificazioni logiche e umane.
L’Islam dovrebbe amare ogni forma di bellezza e di arte perché così è scritto nel Corano “Dio è bello e gradisce la bellezza” eppure a Parigi quel venerdì una presunta morale ha prevaricato ogni nota musicale. Si è detto di note diaboliche.
Le voci girano su quasi tutte le formazioni musicali che si discostano dal gusto popolare comune del tempo: giravano le stesse voci sul rock&roll degli anni 50, poi sui Beatles, sui Led Zeppelin, sui Black Sabbat e così all’infinito. Non c’è Satana nella musica, non esistono note diaboliche. Esiste la provocazione, la voglia di andare contro certi schemi, il desiderio di aprire nuovi orizzonti, di sperimentare nuovi linguaggi: c’è l’uomo e basta.
Il tuo gruppo si esibisce fra giovani desiderosi di musica e libertà, vi sentite minacciati? La minaccia alla libertà di espressione può convivere con l’idea asfittica di una fede intollerante alla diversità?
Sente la minaccia chi si esprime: sente la minaccia chi scrive, chi dipinge, chi suona, chi fa arte in generale, ma anche chi si espone. Siamo tutti minacciati, su più fronti: siamo minacciati nella libertà di espressione da parte di un fondamentalismo malato , ma siamo minacciati anche quando si pensa che lanciare bombe provochi solo una semina di sangue che frutterà un raccolto di odio per altri decenni. Mi fanno paura i terroristi tanto quanto i giustizieri dell’occidente.
Fra le incoerenze di quanto sta accadendo ricordiamo che l’Isis oltre a usare canzoni e video nella propaganda vanta dei rapper europei come Deso Dogg che si era unito al jihad in Siria contro il regime di Bashar al-Assad sotto lo pseudonimo di Abu Talha Al-Almani, ovvero Abu Talha il tedesco e Omar Ismail Mostefai, uno dei kamikaze che si è fatto saltare in aria al Bataclan.
Gabriella Grasso
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