Ci dispiace usare quasi a sproposito “Signor tenente”, la struggente canzone di Giorgio Faletti, seconda al Festival di Sanremo del ’94, di cui molti – scommettiamo – non ricordano il bellissimo testo ma solo quell’esclamazione tipicamente siciliana.
Ma come fare a rendere al meglio lo stupore, lo sconcerto di un ennese e di un cittadino davanti al comportamento della Ministra dell’Istruzione, che non contenta dello schiamazzo fatto a proposito e soprattutto a sproposito sulla facoltà rumena di medicina ad Enna, continua a non leggersi accordi e norme internazionali ma anche soltanto la (breve) sentenza del tribunale cui si è rivolta per fermare questo “scempio”.
Giorni fa un amico molto attento ed acuto si lamentava del fatto che non ci sono più le belle autorità di una volta. “Ma come? – mi diceva – un Ministero che si rivolge al Prefetto, al Questore, al Procuratore, all’Avvocatura e poi ad un tribunale ordinario per far valere la propria autorità? Ma dove siamo finiti? Non bastava un bel decreto, un editto, una grida? E se poi si è violata la legge si mandano i carabinieri non delle lettere…”
A questo proposito, (beata la mia ignoranza) vado a leggere sul vocabolario e mi accorgo che forse il mio amico in qualche cosa ha sbagliato, perché il ministro qualche cosa l’ha fatta, alla maniera del medioevo. riporta la Treccani: “Grida, s.f. – in origine, bando, editto, ordine o avviso dell’autorità che si faceva gridare pubblicamente dai banditori”. Appunto.
A parte gli scherzi, la Ministra, non solo si è rivolta al tribunale civile ma dopo che questo si è pronunciato, continua a restare ferma sulle sue posizioni e a ripetere il suo ritornello, spalleggiata dal sottosegretario.
C’è qualcosa che non torna. Basta leggere poche righe della sentenza per capire.
“Fermo restando che il reale obiettivo del Ministero sarebbe quello di impedire il conseguimento (o quantomeno la spendita) del titolo rumeno in Italia, si osserva che nel caso in cui il M.I.U.R. ritenesse che tali titoli non trovino automatico riconoscimento nel nostro Paese, ben potrebbe adottare, nell’ambito delle proprie attribuzioni, un formale provvedimento di diniego di tale efficacia, non risultando necessaria una preventiva pronuncia da parte dell’Autorità Giudiziaria. Qualora, al contrario, il Ministero ritenesse che tali titoli godano del riconoscimento automatico in Italia, mal si comprenderebbe su quale base giustificare la chiesta interruzione dei corsi. Sulla base delle suesposte ragioni, il ricorso proposto dal M.I.U.R. non può che essere rigettato”.
Traduco:
Alcune lauree conseguite in un paese della Comunità europea sono automaticamente valide negli altri paesi o in alcuni di essi in base ai programmi del corso di studio, all’ordinamento dei due paesi interessati o ad intervenuti accordi (e allora il Ministero ha torto ad opporsi); altri titoli, invece, hanno bisogno, per essere validi, di un riconoscimento volta per volta, che viene rilasciato dal Ministero all’interessato, verificando il programma del corso di studio (e allora il Ministero in questa fase non deve riconoscere niente, ma solo dopo e ha torto lo stesso).
E se capiamo pure noi che non sappiamo di legge, è possibile che non comprenda un signor Ministro, anche se è stata il rettore della più antica università italiana orientata agli stranieri? Potremmo pensare allora che il Ministro non l’ha nemmeno letta la sentenza, parla per sentito dire; mentre il sottosegretario, che è intervenuto solo adesso, agisce forse per motivi politici locali.
Una cosa è certa. Sicuramente i tre rettori siciliani parlano per interesse diretto (e dunque a suo modo legittimo) per difendere le loro “piazze” da una nuova concorrente, lo stesso motivo per cui fino ad ora non si è fatto l’accordo Enna-Caltanissetta per una italianissima facoltà di Medicina al centro della Sicilia.
Ma la Ministra dell’istruzione non è l’unica a farci esclamare: Minchia, signor Ministro.
È il caso dell’inaugurazione della biblioteca della Kore, che doveva avvenire il 28 gennaio e poi è stata spostata al 3 febbraio per l’indisponibilità del Ministro Franceschini. Che indisposto evidentemente lo era pure una settimana dopo se non si è presentato lo stesso!
Chi tocca i fili muore, ha scritto il Borghese burlone qualche settimana fa (questa rubrica è come i Puffi!), e il Ministro ha avuto / paura? / timore reverenziale? / “liquirofobia” (paura dei rumori forti)? strizza di farsi vedere dalle parti di Enna, la stessa causa che ha fatto disertare l’inaugurazione ad alcune personalità e non ad altre.
Abbiamo sempre considerato Franceschini una persona seria, forse perché riservato e prudente, questa volta pure troppo! Nell’occasione ci è sembrato un tantino maleducato e non è nel suo stile, sarà perciò per ragioni di stato, o meglio per motivi di solidarietà interna al governo.
Ha tanto un bel dire il prof. Salerno che la Kore non ha niente a che fare con la c.d. Fondazione Proserpina e la facoltà di Medicina (tradotto in volgare con il senatore Crisafulli), intanto Ministro e Governo regionale hanno preferito non farsi vedere in giro lo stesso.
Caso a parte è quello della Prefettura, in quel momento ancora priva di vertice. A dire la verità il Viceprefetto Vicario, che era assente nell’aula magna, era poi presente nella visita inaugurale dei magnifici locali della nuova biblioteca. Un stranezza ben diversa che merita qualche riflessione, se non altro perché assomiglia a quella della signora Giannini ma se ne scosta perché qui la politica non sembra entrarci molto.
Riassumiamo i fatti.
Prima di abbandonare serenamente la sede di viale Diaz per il meritato riposo, il Procuratore generale di Enna aveva disposto il sequestro del conto della Fondazione Kore. Negli stessi giorni, prima di abbandonare precipitosamente la sede ennese per la remota Isernia, il Prefetto Mori aveva chiesto il commissariamento della stessa Fondazione. L’ordine cronologico non sarà questo ma la logica è stringente.
Passano i mesi senza che arrivi un nuovo Prefetto (si chiama sede vacante anche questa, come quella del Papa o del Presidente della Repubblica?) e intanto Il Tribunale del riesame annulla il sequestro del conto bancario della Fondazione Kore.
Con tempismo pari solo a quello ministeriale, qualche ora dopo la prefettura acefala (si dice così quando manca il capo?) procede a commissariare la Fondazione. Come a dire: anche noi, come la Ministra, della magistratura ce ne fottiamo! Oppure, alla maniera del ventennio, le cui vestigia campeggiano scolorite e solo in parte sulla facciata del palazzo del Governo: Noi tireremo dritto!
Qui però il provvedimento è stato formale, con un decreto, come si conviene alle istituzioni (i funzionari dello Stato sono ben altra cosa dei politicanti) anche se curioso per noi osservatori nelle motivazioni: “a seguito della richiesta della Fondazione Kore di modifica dello statuto”.
Ma allora perché tanto rumore da parte della Kore? E soprattutto com’è che qualche mese, settimana, giorno prima della richiesta prefettizia, il Prof. Salerno si è dimesso da presidente della Fondazione ed è stato eletto al suo posto il più autorevole degli altri componenti (ultimo titolo nobiliare: un posto in un ufficio di gabinetto all’ARS). Uomini in fuga?
Intanto i nemici di Crisafulli, della Kore e del nostro territorio tornano a farsi sentire, con le sciocchezze grossolane e volgari degli improbabili eredi di Peppino Impastato (povero Peppino!) e quelle più raffinate ma ugualmente offensive e tendenziose di una nota testata giornalistica, entrambe querelate. La sensazione è che (con rispetto parlando) sparano al porco e prendono il porcaro, anzi ai porcari che siamo noi. Se n’è accorto anche un anti crisafulliano di lungo corso come il prof. Cimino. Chapeau!
Allora l’esclamazione finale non è più quella di Faletti ma molto più prosaicamente quella dell’ispettore Coliandro: minchia!
Q – G.L. Borghese
Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.
Q è “plurale” anche in un senso più ampio.