Sicilia. Il modello di gestione dei rifiuti è incostituzionale
di Massimo Greco
L’ingovernabilità del sistema integrato dei rifiuti in Sicilia deriva da tanti fattori così come opportunamente evidenziato dalla Corte dei Conti prima e dall’ANAC più recentemente. Un fattore che sembra però essere sfuggito agli organi di controllo e monitoraggio è quello della natura giuridica delle società d’ambito. Se per un verso è vero che la normativa vigente, interna e comunitaria, esclude in radice ogni possibilità dei singoli Comuni soci consorziati di sottrarsi unilateralmente alla gestione accentrata del ciclo dei rifiuti, quest’ultima essendo imposta dal legislatore in esito alla sua opzione vincolante per la determinazione di un “ambito territoriale ottimale” sovra comunale, cui gli enti coinvolti non si possono sottrarre, per altro verso l’avvenuto trasferimento di funzioni dall’ente territoriale di governo Comune alla società d’ambito costituita in forma di s.p.a., a seguito del commissariamento emergenziale della Regione Sicilia in materia di rifiuti, sta creando non pochi problemi. I versanti in cui il modello societario contrasta con le esigenze pubblicistiche sottese al citato trasferimento di funzioni pubbliche sono quelli del reclutamento delle risorse umane, dell’assoggettamento alle procedure fallimentari, dell’imputazione di responsabilità per gli illeciti amministrativi derivanti da reato, dell’assoggettamento alle pretese fiscali e tributarie, dell’applicazione delle norme anticorruzione e trasparenza, delle norme in materia di aiuti di Stato all’impresa.
In tale contesto di siffatta complessità, la Regione Sicilia non solo non sembra capace di dare adeguate risposte, ma ha inteso legiferare mantenendo il modello societario in capo alle individuate Autorità d’ambito. Alle liquidande società d’ambito, costituite in s.p.a., stanno infatti subentrando le società di regolamentazione rifiuti (SRR) anch’esse costituite in società di capitali, ancorchè consortili. Invero, la Regione avrebbe dovuto fare tesoro di quanto suggerito dalla Corte di Cassazione, chiamata a scrutinare in più occasioni, e sotto diverso profilo, la natura giuridica delle società d’ambito. La sezione tributaria della Cassazione ha affermato che l’ipotesi della delega del potere impositivo ad un soggetto privato nella specie una s.p.a che delibera attraverso un c.d.a. che risponde soltanto ai soci della società, invece che con delibera consiliare adottata dai rappresentati eletti dai cittadini (ai quali devono risponder) destinatari dell’imposizione, appare del tutto illegittima. Il soggetto attivo del rapporto tributario non può che essere un ente pubblico dotato dello specifico imperium (potestà impositiva); potere che deve essere necessariamente esercitato dagli organi elettivi, secondo le procedure democratiche e non mediante delega a soggetti provati, politicamente irresponsabili. La Sezione penale della medesima Cassazione ha altresì affermato che l’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale, quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali, come i Comuni, non possono essere tralaticiamente essere riconosciute a soggetti che hanno la struttura di una società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico, è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione.
Corollario di questi autorevoli principi è che l’evidente natura pubblicistica delle società d’ambito è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero, al pari degli Enti locali, di discipline come l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui al d.lgs. n. 231/2001. Infatti deve necessariamente essere presente anche la condizione dell’assenza dello svolgimento di attività economica da parte delle società d’ambito medesime. E questo non può verificarsi proprio in ragione della struttura societaria che, al contrario, evidenzia la presenza, non solo statutaria, di tale caratteristica.
A questo punto però delle due l’una. Se l’attribuzione di funzioni pubbliche per la cura di servizi pubblici necessari come quello dei rifiuti ad opera del legislatore non mette al riparo le società d’ambito dal potenziale assoggettamento alle procedure sanzionatorie (e all’occorrenza anche fallimentari?) occorre prendere atto che tutto il sistema così concepito si pone in palese violazione dei principi di legalità e di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione che, com’è noto, non contempla alcuna ipotesi di soluzione di continuità nell’esercizio di funzioni pubbliche.