Il contenzioso sulla TARSU 2009/2010
scomoda i filosofi della politica
di Massimo Greco
Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède e di Montesquieu, meglio noto unicamente come Montesquieu, ideologo del principio di separazione dei poteri, non è mai passato dal Comune di Enna. Arriviamo a questa conclusione dopo aver preso atto della difficoltà manifestata in alcune occasioni di separare nettamente l’attività politica – riservata agli organi di governo (Sindaco, Giunta e Consiglio comunale) – dall’attività gestionale – riservata a funzionari e dirigenti -. L’ultima in ordine di tempo si registra nel contesto della scottante attività di mediazione che vede coinvolti 1900 contribuenti/ricorrenti da una parte e il Comune impositore dall’altra per il vessato contenzioso sulla TARSU del biennio 2009/2010. Fonti autorevoli ci comunicano che l’assenza di uno specifico atto d’indirizzo politico da parte della Giunta in ordine ai criteri che l’Avvocatura comunale dovrà seguire per le mediazioni con i contribuenti sia dovuto al rischio di essere chiamati in correità dalla Corte dei Conti nell’ipotesi di danno erariale.
Ci permettiamo di dissentire facendo tesoro proprio degli insegnamenti di Montesquieu in generale, e della giurisprudenza della Corte Costituzionale in particolare, secondo cui il principio di separazione tra politica e gestione costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost., precisamente nel principio d’imparzialità, costituendone un naturale corollario.
La discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nell’esercizio dell’attività di mediazione tributaria, recentemente introdotta anche per i tributi locali, non solo non è riconducibile alla categoria dei semplici apprezzamenti tecnici, involgendo essa valutazioni di carattere politico-amministrativo sulla natura e sul diverso rilievo degli interessi potenzialmente coinvolti nelle numerose controversie attivate, ma, per il suo stesso oggetto, si esprime in giudizi che, incidendo sulle risorse finanziarie del Comune, rilevano ai fini del rapporto tra Ente impositore e cittadini contribuenti. Tale tipologia di attività, ancorchè non possa considerarsi per sua intrinseca natura, espressione di indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, è indubbiamente fondamentale per il suo indiscutibile rilievo finanziario.
Fatta questa premessa, che porta inevitabilmente ad un coinvolgimento dell’organo di governo del Comune, occorre altresì precisare che l’esclusività delle funzioni e competenze dirigenziali non può, comunque, essere ridotta o condizionata dalla relazione funzionale con gli organi di governo perché altrimenti risulterebbe violato il citato principio di separazione dei poteri. Ciò significa, che gli atti d’indirizzo politico o le direttive, non servono a ridurre o attenuare l’eventuale responsabilità del dirigente, visto che l’insorgere dell’azione lesiva dell’erario non si ha nel momento dell’emanazione della direttiva bensì in quello della sottoscrizione del provvedimento dirigenziale. Infatti, il dirigente deve sempre esprimere la propria autonomia decisionale e in presenza di una “discutibile” direttiva dovrà disattenderla (ovviamente motivandola) o, nel dubbio, interpretarla (qualora possibile) in modo da renderla conforme e rispettosa delle norme.
Delle due quindi l’una. Se la Giunta ritiene di non avere una specifica competenza in materia di mediazione tributaria non dovrebbe avere alcun problema ad adottare un atto d’indirizzo politico nei confronti del dirigente in capo al quale si riconosce la competenza amministrativa; sarà infatti quest’ultimo ad essere eventualmente chiamato dalla Corte dei Conti in presenza di danno erariale, a prescindere dall’esistenza dell’atto d’indirizzo. Se, invece, è competenza della Giunta, il dirigente preposto all’attività di mediazione tributaria non potrebbe agire autonomamente in assenza di un propedeutico atto dell’organo di governo che, come tale, andrebbe veicolato attraverso una delibera collegiale.