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La morte dell’impresa e l’agonia della società

mercato settimanaleDal primo gennaio al 31 marzo di quest’anno, in Sicilia, sono scomparse 778 imprese artigiane. E’ questo il risultato delle 1.071 iscrizioni all’albo artigiani contro le 1.849 cancellazioni, che porta il comparto a 75.469 aziende, con un tasso di decrescita che si mantiene sostanzialmente negativo con un -1,02%, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso -1,29%.
I dati del settore artigiano arrivano dal rapporto di UnionCamere-Movimprese, relativo al primo trimestre 2016, sulla nati-mortalità delle imprese artigiane nell’isola. A livello provinciale il segnale peggiore arriva da Enna, con un calo del -0,59% (saldo -88 imprese ovvero 215 iscrizioni e 303 cancellazioni).
E sin qui la cruda cronaca, aggiungo io, di una morte annunciata…
Si, la cronaca di una cancellazione totale, profonda, definitiva della tradizione produttiva di un territorio. Gli artigiani, analizzati in questo caso, sono coloro i quali, attraverso l’uso combinato di sapienza, cultura, inventiva, fantasia e tecnica, danno vita ad opere se non uniche certamente non seriali, consentono alla tradizione locale di perpetrarsi e di guardare al futuro, costruiscono il presupposto per una società che si sostiene. Con essi gli agricoltori, intendiamoci, tutte le donne e gli uomini che si occupano della terra e dei suoi prodotti, quindi gli allevatori, i contadini, gli ortolani, senza distinzione alcuna.
Tutta gente vera, forte, abituata ad un lavoro che non prevede ferie, che non ha distrazioni, che non consente malattie, paturnie, marcamenti di visita.
Però le ditte chiudono, però la gente se ne va. Così, passeggiando lungo le strade dei nostri centri solo una vetrina su dieci appare ancora tenacemente occupata da un commerciante o da un artigiano, così sempre meno sono le bancarelle dei contadini che sfidano maltempo e sole a picco oltre che le esose richieste dell’annona per proporci i loro gustosissimi e sani prodotti di stagione.
Queste chiusure, lo si sappia, lo si ricordi, sono il portato di scelte fatte altrove, sulle nostre teste, scelte che hanno consentito a grandi multinazionali di invadere il nostro mercato, di riempirci di prodotti apparentemente a basso costo, di dare l’impressione di far lavorare tanta gente, ma che hanno drenato ogni centesimo di Euro che esce dalle nostre tasche senza che di esso si reinvesta nulla a casa nostra. Provo a spiegarmi con una sorta di metafora, immaginate di stare giocando ad un virtual game, voi siete i possessori di capitali e dovete prosciugare quelli degli altri concorrenti, aprite a casa loro un luogo ove vendete tutto a prezzo stracciato, li costringerete quasi compiacendoli a comprare da voi sino a quando, speso tutto senza pensare di rivivificare il loro, di profitto, saranno costretti a chiudere e andare via, avete vinto.
Si, è proprio così, ogni saracinesca chiusa, ogni vetrina spenta, ogni terreno lasciato alle erbacce è una dichiarazione di resa, un passo ulteriore verso la fine.
Poi tutti a gridare contro le olive tunisine, ma mai una voce contro l’invasione degli ultra…mercati.
Parrebbe che non vi sia possibilità di invertire la rotta, in realtà non è così, siamo forse ancora in tempo, ma per farlo bisogna mettere in campo politiche complesse e virtuose che consentano di dare nuovo respiro ai comparti produttivi locali, e non serve il protezionismo, serve la vantaggiosità.
Sono andato, come faccio appena mi è possibile, a comprare le verdure della settimana, al mercatino del contadino a Villa Pisciotto, la spesa è un piacere, è un’occasione per incontrare amici e per sentirsi parlare del processo produttivo di ogni singola pampina di lattuga, invece, mi sono sentito dire da uno dei contadini, che il Comune di Enna ha deciso di innalzare il costo del suolo. Non so quanto ci sia di vero, non so quanto sia stata aumentata la richiesta, so solo che il risultato sarà che i contadini preferiranno scendersene a Bicocca dove venderanno l’intero furgone a un sol colpo, io perderò l’occasione di comprare cibo buono, Enna perderà l’occasione di avere un luogo “socialmente vivo”, l’amministrazione perderà l’intero ammontare della contribuzione. La verdura mi toccherà comprarla proprio lì dove altro che olive tunisine, avrò il pomodoro olandese e la carota belga.
La politica deve invece fare semplici scelte, se non la gratuità di certo il vantaggio, l’incentivo.
Così è per gli artigiani ai quali bisogna dare supporto vero, che oggi è fatto, ad esempio dalla “fibra”, da connessioni potenti e veloci che gli consentano di stare al passo con l’e-commerce, che gli diano la possibilità di seguire i clienti durante la vita utile dei prodotti, che è fatto dalla trasformazione delle strade cittadine in mercati organizzati con servizi comuni, quelli che dovevano essere i Centri Commerciali Naturali e che in mano ad una Regione siciliana fatta di poltiglia politica divennero l’ennesima bufala e per tanti, la definitiva motivazione a chiudere.
Siamo ancora in tempo? Non lo so, penso di si, ma va dato un poderoso colpo di reni, ad iniziare proprio da quei mercatini. Invitiamoli i contadini, a prezzo stracciato, colleghiamo la loro presenza ad eventi, mostre, mercatini del baratto, a tutto quello che possa trasformare quella mattinata della spesa in un’occasione di agorà.

Giuseppe Maria Amato

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