martedì , Ottobre 15 2024

Tra il dire è il fare c’è di mezzo l’abuso d’ufficio

Tra il dire è il fare c’è di mezzo l’abuso d’ufficio

di Massimo Greco

abuso d’ufficioSe qualcuno aveva ancora dubbi sul fatto che amministrare un Ente territoriale di governo è obiettivamente difficile per tutti e che nel panorama politico non si registrano classi dirigenti al di sopra di ogni sospetto, con la notifica di un avviso di garanzia anche al Sindaco di Parma Pizzarotti per l’ipotizzato reato di abuso d’ufficio, la questione è definitivamente chiusa. In tale contesto, i nuovi moralizzatori delle politiche pubbliche farebbero bene a non puntare più il dito in modo indifferenziato su tutto ciò che non si presenta “a cinque stelle”.

 

Invero, al netto di deprecabili comportamenti delittuosi che trovano adeguata risposta nel Codice Penale, riteniamo che per un cittadino che esercita funzioni pubbliche (sia d’indirizzo politico che di gestione), o che sia incaricato di un pubblico servizio, non sia affatto difficile inciampare su un’indagine della competente Autorità Giudiziaria volta ad ipotizzare il reato di abuso d’ufficio, atteso che la casistica in cui si può configurare tale tipologia di reato contro la P.A. è parecchio ampia. Risponde infatti di abuso d’ufficio, “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”.

 

Ciò significa che all’aumentare del numero di atti sottoscritti o al numero di procedimenti amministrativi di cui si ha la responsabilità nell’esercizio delle rispettive funzioni pubbliche, aumentano le probabilità di scivolare in comportamenti annoverabili nella fattispecie delittuosa di che trattasi. E tuttavia, questa prospettiva non deve scoraggiare il fedele funzionario pubblico, se solo si considera che a differenza dell’illecito civile – per il quale è richiesta la colpa lieve – e dell’illecito erariale – per il quale è richiesta la colpa grave – per la configurazione dell’abuso d’ufficio è richiesta la prova del dolo, cioè la certezza che la volontà del funzionario pubblico sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto; e tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento antigiuridico, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici che animano il comportamento, quali, ad esempio, la specifica competenza professionale del funzionario, l’apparato motivazionale a supporto del provvedimento amministrativo ed il tenore dei rapporti personali tra il medesimo funzionario e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento stesso ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno.

 

Postulato di quest’architrave argomentativa, fondato su principi della giurisprudenza della Cassazione, è che il funzionario pubblico prima ancora di verificare il numero di stelle che possiede, deve accertarsi di avere “la coscienza a posto”.

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