La presenza delle Eccellenze locali come pantomima di uno sviluppo locale clientelare ed assistito per confermare l’arretratezza delle zone interne perennemente sconfitte.
Tralasciamo di enunciare gli ingredienti poiché confidiamo nella grande capacità del lettore nel cogliere i soggetti della vicenda.
E’ oramai una litania, quasi permanente, che quando si parla della realtà ennese, alquanto depressa in tutte le indagini statistiche economiche e sociali, si evocano, più o meno in maniera interessata, eccellenze locali che devono stare al di fuori di qualsiasi analisi critica per il sol fatto di essere le uniche presenze con una certa speranza di futuro e, quando, qualcuna di queste eccellenze, non si sa per qual divinatoria circostanza, attraversa delle crisi, dobbiamo essere tutti al capezzale dell’eccellenza reclamando sostegni e finanziamenti pubblici.
Questa circostanza, tipica delle realtà arretrate e statiche, ci fa ricordare lo stesso ritornello che veniva ripetuto quando le grosse, anzi meglio dire l’unica, presenza industriale capillarmente diffusa in tutta Italia, Sicilia compresa, attraversava crisi e impasse produttiva. Sentivamo tutti allora che pur di salvaguardare posti di lavoro occorreva che la mano pubblica sganciasse cospicui sostegni economici e agevolazioni fiscali pur di mantenere in vita l’eccellenza che, alla fine del ciclo, manifestava chiaramente tutte le debolezze intrinseche. E a buon ragione si finì col coniare il detto che quando vi sono i guadagni essi sono dovuti alla capacità dell’imprenditore e quindi, come tali, appartengono alle sue tasche ma quando vi sono le perdite esse sono riconducibili immediatamente a cause del sistema e, quindi, anch’esse per definizione – sbagliata – appartengono all’intera società che deve aprire i rubinetti della finanza pubblica per farvi fronte.
In sintesi questa è stata la costante della politica italiana che in Sicilia, ovviamente, si è amplificata oltre ogni misura configurando la politica economica e sociale di questa Regione come quelle realtà di vero e proprio socialismo di stato per cui una grande Regione (ma coi piedi d’argilla) poteva permettersi la lussuosa caratterizzazione di sovvenzionare, a perdere, qualsiasi iniziativa che venisse propagandata come eccellenza locale. Questo è successo nel corso degli anni per cui da un lato la mano pubblica regionale sovvenzionava a dismisura qualsivoglia iniziativa benefica, sociale e culturale senza richiedere alcuna garanzia di continuità prestazionale e verifica della stabilità dei conti.
La famigerata, vituperata – ma assai gradita – e per questo, sempre rediviva, Tabella H (quella delle sovvenzioni diffuse) continua ad essere il triste ricordo di un simile forsennato intervento pubblico regionale assai gentile e cortese con “gli amici degli amici”.
Ecco che allora si levano, come veri e propri gendarmi di turno, gli strenui difensori di quelle cosiddette eccellenze locali portando ragionamenti ed argomentazioni a sostegno ma dimenticando di dire che tutte le volte si diventa eccellenza, nei nostri deboli territori, con il grande e massiccio sostegno pubblico articolato e declinato nelle diverse e più disparate maniere. Questo ragionamento distorsivo della realtà è quello, purtroppo vincente, quando ci si trova ad operare in realtà assai depresse per cui pur di garantire occupazione clientelare, temporanea e sottomessa si è disposti a sacrificare anche le coscienze di uomini liberi.
Sappiamo tutti, purtroppo, la fine di quell’industria assistita dall’enorme travaso di denaro pubblico che non riuscì mai a diffondere sviluppo locale autopropulsivo, con l’eccezione di un’occupazione assistita e un territorio devastato da ogni punto di vista ambientale, sociale ed economico. Meno male che di questi fattori degenerativi quello ambientale non riguarderà mai la nostra realtà ma come non voler ricordare che anche gli ultimi dati ISTAT, pur con la presenza delle eccellenze strenuamente difese in questi giorni, continuano a confermarci l’esito di una realtà marginale da ogni punto di vista, a cominciare da quello dello sviluppo culturale. Le eccellenze territoriali se tali sono devono, per forza di cose, avere dinamismo territoriale e capacità di innovazione nei processi di sviluppo locale. Ci pare che questa caratteristica ad Enna non sia presente ed ecco che allora vi è qualcosa di distorto che continua ad essere presente nella realtà interna ennese dove anche le istituzioni che una volta erano considerate “forti” rischiano di scomparire e desertificare l’intero territorio della presenza pubblica come sta accadendo a quel che rimane della ex Provincia Regionale di Enna con una crisi di entrate finanziarie senza precedenti collassando l’intero sistema.
Ci pare allora che questo territorio ennese più che avere eccellenze da decantare, molto spesso ad usum Delphini, assomigli più a quella descrizione contenuta nel libro dell’Apocalisse: “E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome”.
Eccellenze distorte come la descrizione della bestia biblica che salendo dalla terra a simboleggiare il male obbligava le persone a farsi marchiare dal momento che nessuno poteva comprare né vendere se non portava quel marchio bestiale.
Questo per confermare, in sintonia con quello descritto nel fatto biblico che quando le presunte eccellenze territoriali hanno la similitudine della negatività del potere, sia esso economico che anche politico, in quanto presenze chiuse e ristrette e non pervasive dell’intera territorialità ove sono insediate, esse sono simili a dominatori che ben materializzano quel potere negativo che impone regole a tutti, fino ad escludere da qualsiasi attività chi non si asservisse ad esso.
Possiamo allora ben dire che viene troppo facile rincorrere la salvaguardia delle eccellenze locali chiuse ed oligarchiche a spese della collettività e delle risorse pubbliche con la consapevolezza, come ampiamente risaputo, che questo non è sviluppo locale.
Il territorio ennese ha bisogno, invece, di un’autentica “democrazia vibrante” dove magari il dissenso sia riconosciuto come vera leva della democrazia.
Giuseppe C. Vitale – Urbanista