E la chiamano estate

torturaL’estate impazza anche nel cuore arso della Sicilia centrale e fra una processione casalota, con sindaco a spalla (San Giuseppe, apparso in sogno a padre Alessandro pare abbia detto, allargando le braccia “ubi maior…) e una exit strategy chiazzese dal mallito regno del cappellaio grasso, il Ferragosto si appropinqua. In quel di Tavi i nostoi scemano e i pochi eroi che ancora ci provano si sentono inadeguati all’indecoroso contesto urbano. Munnizza e randagi accompagnano le desolate vasche umbertine e la sola Granfonte, malinconica e bella, non basta più. Enna, arroccata sul cucuzzolo incenerito, attende che torni l’inverno così che la nebbia, cancellando ogni miseria, la faccia di nuovo milanese e pronta ad accogliere la prima tappa della nuova Fiera del Libro dopo la diaspora torinese. Il Lingotto non è più adeguato e per ciò si è pensato a una errabonda sagra della carta scritta. Enna sarà la prima città dello Stivale che si convertirà alla cultura 2.0. Pire di cookbooks e banner con post autocelebrativi per la salvezza del mondo di oggi e di domani, decoreranno le vie della città e pletore di indignati maschi urleranno “non in mio nome” per fermare l’emergenza femminicidio e orde di pacifisti diranno “NO” alla guerra in nord Africa e “SI” alla legge contra la tortura di Stato e poi, poi basta che le scempiaggini per oggi le abbiamo tutte consumate.

Gabriella Grasso

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