Io sono l’unica il cui destino
lingua non indaga, occhio non piange;
non ho mai causato un cupo pensiero,
ne un sorriso di gioia, da quando sono nata.
Tra piaceri segreti e lacrime segrete,
questa mutevole vita mi è sfuggita,
dopo diciott’anni ancora così solitaria
come nel giorno della mia nascita.
E vi furono tempi che non posso nascondere,
tempo in cui tutto ciò era terribile,
quando la mia triste anima perse il suo orgoglio
e desiderò qualcuno che l’amasse.
Ma ciò apparteneva ai primi ardori
di sentimenti poi repressi dal dolore;
e sono morti da così lungo tempo
che stento a credere siano mai esistiti.
Prima si dissolse la speranza giovanile,
poi svanì l’arcobaleno della fantasia;
infine l’esperienza mi insegnò che mai
crebbe in un cuore mortale la verità.
Era già amaro pensare che l’umanità
fosse insincera, sterile, servile;
ma peggio fu fidarmi della mia mente
e trovarmi la stessa corruzione.
Più felice sono quando più lontana
porto la mia anima dalla sua dimora d’argilla,
in una notte di vento quando la luna brilla
e l’occhio vaga attraverso mondi di luce.
Quando mi annullo e niente mi è accanto
né terra, né mare, né cieli tersi
e sono tutta spirito, ampiamente errando
attraverso infinite immensità.
Emily Bronte
rubrica a cura di Dina La Greca
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