Attenti a banalizzare il ruolo del Responsabile della prevenzione della corruzione
di Massimo Greco
Tra le numerose incombenze di quei Dirigenti che risultano essere stati nominati Responsabili della trasparenza e della prevenzione della corruzione (RPCT) negli enti pubblici ed in quelli privati sottoposti a controllo pubblico vi è anche quella di monitorare e segnalare quei casi che richiedono la sospensione dal servizio dei dipendenti che sono stati condannati, ancorchè in presenza di sospensione condizionale della pena, per alcune tipologie di reati.
La norma disciplina con chiarezza un’ipotesi di sospensione obbligatoria dal servizio correlata ad una intrinseca valutazione di gravità dei reati dei quali il pubblico dipendente è stato ritenuto responsabile, con sentenza di condanna anche solo in primo grado, e dunque non definitiva. La valutazione del legislatore è dettata da estremo rigore, al punto che, anche in caso di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, il che avviene solo quando è ragionevole ritenere che il colpevole si asterrà in futuro dal commettere altri reati, la sospensione dal servizio deve avere luogo.
Da tanto consegue che il RPCT, sempre più dominus del procedimento sanzionatorio previsto dal nuovo sistema anticorruzione, venuto a conoscenza di una sentenza di condanna in capo ad un collega dipendente per uno dei reati previsti dalla legge, non ha alcun margine di apprezzamento in ordine all’esigenza di segnalare il fatto all’organo di governo, atteso che la P.A. deve dare ineludibilmente applicazione alla previsione legislativa in esame. La sospensione obbligatoria dal servizio si pone non solo quale misura a protezione della immagine della P.A., ma anche dell’interessato, la cui posizione resta comunque sub iudice e tutelata dall’ordinamento in caso di eventuale esito favorevole del processo.
Non vi è dubbio che il ruolo del RPCT previsto dalla legge n. 190/2012 sia inquadrabile nell’ambito dei doveri di protezione e di garanzia dell’Amministrazione dalle azioni illecite e dalle attività illegittime, assimilabile anche ad altre figure previste dall’ordinamento giuridico, come quella prevista all’art. 40, comma secondo, del C.P. dove non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.