La notte. La pioggia. Uno scialbo cielo che ritaglia
da guglie e da torri il profilo
d’una città gotica perduta nella grigia lontananza.
La pianura. Un patibolo invaso d’impicci rattrappiti
scossi dal becco avido delle cornacchie,
danzano nell’oscurità gighe ineguagliabili,
mentre i loro piedi sono pasto per i lupi.
Qualche cespuglio di rovi sparsi, agrifogli
che a destra e sinistra drizzano le loro orride foglie,
sul fuligginoso disordine di uno sfondo da schizzo.
E poi, intorno a tre lividi prigionieri
che procedono scalzi un drappello di alti armigeri
in marcia: le loro lance dritte come ferri di una cancellata
brillano come lance dell’acquazzone.
Paul Verlaine
rubrica a cura di Dina La Greca
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