Stop all’uso arbitrario dei permessi per l’assistenza ai portatori di handicap
di Massimo Greco
Tra le brutte abitudini del dipendente pubblico non vi è solo la più mediatica questione sottesa alla non corretta timbratura del cartellino. Vi è anche quella di utilizzare impropriamente i permessi previsti dall’art. 33 della legge 104/92 a tutela di un portatore di handicap presente in famiglia. Il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa spetta al “lavoratore dipendente… che assiste persona con handicap in situazione di gravità…”; esso è riconosciuto dal legislatore in ragione dell’assistenza, la quale è causa del riconoscimento del permesso. Tale essendo la ratio del beneficio e in mancanza di specificazioni ulteriori da parte del legislatore, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile.
Nessun elemento testuale o logico consente di attribuire al beneficio una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata al disabile. La norma non consente affatto di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata. Invero, il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore come meritevoli di superiore tutela.
Orbene, qualora il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto, come spesso si verifica atteso che molti dipendenti fanno uso di tale diritto per fare fronte ad esigenze personali, in situazioni di tempo e di luogo incompatibili con l’espletamento dell’assistenza, non può rilevarsi una fruizione del permesso coerente con la sua funzione, bensì di un uso improprio, rectius “abuso del diritto”. I permessi devono infatti essere fruiti in coerenza con la loro funzione. In difetto di tale nesso causale diretto tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza, devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo, tanto da giustificare sia la revoca della concessione di tali permessi che l’apertura di ineludibili procedimenti disciplinari.
Meditate dipendenti pubblici, meditate!