La genitorialità disattesa, attesa, sottesa…
di Giovanni Rotolo
Il recente e attuale dibattito sulla maternità, che ha fatto seguito alle proposte della ministra della salute Lorenzin, centrate sul “fertility day”, si sviluppa, come è comprensibile, sui temi sociali ed economici di tutti gli altri analoghi dibattiti che si sono svolti da alcuni decenni ad oggi.
Questi temi, individuati come cause principali del basso tasso di natalità in Italia, sono ampiamente noti, e ricorrenti, nelle analisi sociologiche e giornalistiche, come nei più ordinari e “disimpegnati” discorsi, patrimonio condiviso della nostra comunità nazionale. Su di essi, vi è inoltre un tale ampio livello di accordo e contiguità di vedute, che appare superfluo perfino menzionarli. Si tenta anzi, a fatica, di aggiungerne qualcuno di non ancora individuato, in ogni nuova inchiesta o discussione politica pubblica!
Credo che riesca, in questo, il bell’ articolo di Michela Marzano, “La scelta difficile di diventare madre”, pubblicato sulla “Repubblica” del 3 Settembre 2016.
Ne riporto testualmente alcune frasi, per non offuscarne l’ immediatezza che lo caratterizza.
“Un tempo i figli arrivavano senza che le donne si ponessero troppe domande … era ovvio, scontato, normale, automatico, naturale, biologico, anche quando non si lavorava ancora, forse non si sarebbe mai trovato un posto di lavoro a tempo indeterminato …
“la logica oggi non è più quella dell’ avere figli, ma del diventare genitori, padri e madri responsabili che … appena è il momento, decidono appunto di fare della propria maternità o paternità un progetto di vita.
“E se non sono all’ altezza? Non sono capace? Sbaglio qualcosa? Hanno cominciato a chiedersi tante ragazze, poi giovani donne, poi donne mature. Talvolta con l’ illusione che il tempo non sarebbe mai passato … mentre il tempo passava inesorabile, e appena dopo, è veramente troppo tardi … “
“D’ altronde non siamo cresciute con l’ idea che prima di tutto ci si sarebbe dovuto realizzare professionalmente?…”
“Prima il lavoro, quindi, magari ben retribuito … Prima la certezza di essere all’ altezza del ruolo materno, quindi … Prima la persona giusta, quindi. Tanto c’ è tempo, no? Prima di rendersi conto che il tempo è scaduto …”
“Il non avere figli è un sintomo profondo … ma anche, talvolta, un desiderio profondo che non si realizza mai …”
Vorrei prendere queste frasi quali spunti e suggerimenti per alcune notazioni aggiuntive.
1) L’ orologio biologico esiste, non soltanto per le donne, ma anche per gli uomini. Sia pure in forma più mediata, soffusa, diluita … Chiamiamolo pure, se vogliamo, orologio biologico-esistenziale-sociale, per dare l’ idea di una sua (appena) minore cogenza; ma non culliamoci troppo sulle definizioni …
Esso dovrebbe invece ricordarci alcune cose molto semplici e intuitive, quali, ad esempio:
che la “accelerazione” verso l’ invecchiamento che avviene a partire dai 40 anni, è ovviamente comune ad entrambi i generi;
che, sempre in questo decennio, 40-50, vanno, sia pur lentamente, riducendosi, la capacità progettuale, le opportunità sociali, le prospettive di successo e riuscita nel lavoro, la forza e la resistenza organica, le possibilità, in sintesi, di “prendere e accogliere il mondo”;
che (last, but not least), per i figli è molto meglio, da tanti punti di vista, avere dei genitori (ragionevolmente) giovani, piuttosto che dei genitori in età “matura”.
2) Mi sembrerebbe opportuno, allargare e congiungere il dibattito sulla maternità a quello sulla paternità; e, di conseguenza, parlare – anche- di genitorialità.
Senza voler minimamente intaccare lo specifico femminile della procreazione, appare questo un modo per coinvolgere anche gli uomini nei tanti risvolti, teorici e operativi, delle cause della bassa fertilità italiana. E soprattutto, appare la strada di accesso rispetto a quella che mi sembra una dimensione ineludibile del problema: Il livello psicologico-esistenziale.
Come affrontarlo? Nessuno può pensare di avere una risposta sicura , ma tutti sarebbero in grado di avanzare ipotesi e opinioni. Se non altro della propria (genitoriale o no) esperienza. Come è noto, saper ascoltare a volte è più importante che sapersi esprimere. E riuscire ad ascoltare e rendere pubbliche alcune storie di vita, centrate sulla genitorialità, potrebbe, credo, dare indicazioni preziose e spunti di riflessione molto utili.
Ad esempio, la pubblicazione del libro “Sesso amaro. Trentamila donne rispondono”, nel 1977, con Editori Riuniti, consistente in racconti e interviste, disvelò una realtà sommersa di impressionanti sofferenze femminili, e diede conoscenze e spunti di riflessione, allora mai sentiti, su argomenti quali, la contraccezione, l’ aborto, la sessualità (vissuta come dovere e costrizione, dalle donne).
Le pubblicazioni, simili o sugli stessi argomenti, di oggi, esprimono realtà ovviamente ben diverse, spesso più leggere e gioiose, e in futuro potrebbero esprimere anche alcuni germogli di avvicinamenti tra le direzioni delle esistenze dei generi.
3) Sarebbe auspicabile, inoltre, un ripensamento delle priorità con cui si vuole (o si tenta di volere) ordinare la propria vita.
Soprattutto le priorità di chi può scegliere qualcosa. E siamo in tantissimi a poterlo, nell’ era della tecnologia fruibile da tutti.
Ad esempio, potremmo umilmente chiederci … se siano assolutamente necessari, al fine di
poter donare la vita ad un nuovo essere umano – altro da noi – , il nostro lavoro sicuro e ben retribuito; la nostra stabilità affettiva-coniugale; la nostra sicurezza e autostima rispetto al “ruolo” (bruttissimo termine!) di genitori; la possibilità di programmare la vita (nostra o loro?); l’ asilo nido privato e la palestra; il corso di Inglese e di Informatica; la palestra e gli amici selezionati; le
vacanze al mare o in montagna; la baby-sitter e i nonni (che, ovviamente e purtroppo, più si aspetta e meno possibilità si hanno di trovarli).
Le difficoltà che incontriamo tutti nel programmare e raggiungere questi obiettivi, o anche soltanto alcuni di essi, sono dovute, oggi in particolare, all’ epoca di crisi economica e di incertezze in cui viviamo. E questo è evidentemente acquisito alla comune consapevolezza.
Non tanto e non in questo modo, è acquisito, forse, il fatto che questa crisi appare di non facile superamento e di lunga durata.
Appare strutturale, perché causata anche da fattori esterni incontrollabili rispetto alle possibilità delle politiche economiche degli Stati nazionali.
Tra cui, il progressivo esaurimento delle materie prime, gli innumerevoli “vulnus” cui sottoponiamo il pianeta, il disordine internazionale.
Con tali realtà, i nostri figli e i nostri nipoti dovranno, probabilmente, convivere a lungo.
Esse non sono alla nostra, diretta e immediata, possibilità di elusione. Le risorse e le ricchezze che dovremo offrire loro, sono prevalentemente, credo, extra-economiche: razionali, affettive, interiori.
Ma forse, l’equivoco più diffuso è quello che inverte i termini di un aspetto del problema: quello del perché abbiamo il pressante e intimo bisogno di fare dei figli.
Non tanto, o non soprattutto, per contrastare il decremento demografico, per permettere il ricambio generazionale, per non interrompere la solidarietà tra le generazioni, per non essere “colonizzati” dagli stranieri, per non impoverire la creatività e l’ innovazione produttiva del paese nel suo complesso … (obiettivi, peraltro, sensati e, in linea di massima, condivisibili).
Abbiamo bisogno di fare dei figli, soprattutto, perché essi sono un fine e una gioia in sé. Perché, non appena nati, non chiedono alcun perché: vivono. Oltre e nonostante noi e la nostra ricorrente perfidia. Perché costituiscono l’ unico, vero miracolo che – a quanto sembra – la specie umana ha la possibilità di fare e perpetuare: “il miracolo dell’ essere” (A. Harendt).