Nel fitto sottobosco della libertà di parola si annida lei, la parola tossica. I nuovi unti, i possessori dell’ ortodossia di pensiero, non mancano mai di specificarlo: “Cosa ne sarebbe del mondo se non ci fossimo noi? Noi che per il bene altrui vomitiamo lordure su chi come noi non la pensa?” Quelli che scrivono tutto in maiuscolo e abbondano di!!!!!!!!!!!!!
E la parola diventa veicolo di irrisolti indicibili. Haters, Troll, Napal 51 o semplici webeti?
E la rete diventa un brodo di coltura, distorsiva mai obiettiva e neutrale. Non ci vuole intelligenza o talento particolare, basta applicarsi e metterci quello che si ha: al paese mio si dice che “il lannaro” urla quello che è.
Temo però che ci sia altro, qualcuno la definì “banalità del male” e forse di male banalmente insistito si tratta.
Il gioco è perverso e i nemici sono solo pupi al centro di un’arena popolata da anonimi, pronti a spostarsi dalla parte del latrato più forte.
A questo va aggiunto un maschilismo che esiste e impera perché aggrega perché fa gruppo che nella rete diventa branco perché è più facile farsi massa.
Queste però sono cose futili, a dicembre si vota, in America si decide il destino del mondo e in televisione c’è sempre una partita di pallone.
“Ben altri” sono i problemi dunque.
Ben altri.
Già.
Gabriella Grasso