giovedì , Ottobre 10 2024

Candeggina

violenza donne 6All’esterno dell’auto, la città comincia a spegnersi: i venditori di castagne soffocano le ultime braci, i camerieri trasferiscono sul marciapiede i sacchi neri dell’ immondizia e una coppia di ubriachi si stringe per riscaldarsi mentre l’aria si riempie dell’odore di pane appena sfornato.
Piove. Piove una pioggia così debole che se non fosse per il fragore di un tuono lontano la pioggia non si sentirebbe neppure venire giù.
E io muoio. Muoio mentre la città si addormenta. Muoio mentre lui si odora le mani sbiancate di candeggina. Le sue enormi mani avvolgono il volante dell’auto con la forza di una presa idraulica e puzzano, puzzano di candeggina. “ Vestiti. Usciamo, che mi prudono le mani” aveva detto e io gli avevo risposto “grattatele” ma forse era meglio che mi stavo zitta. No, non ero felice, signora mia. Ero cambiata. Mi ero adeguata all’immagine di me che lui aveva creato, giudicato, offeso e infine cancellato.
Amato no. Amato mai. Si possono amare le cose venute male? Eppure io mi sforzavo, ma si vede che per quanto mi sforzassi non riuscivo a essere come lui mi voleva. Mancava sempre qualche cosa. E signora mia facile è dire dopo, ma io ero stanca di quell’esilio perpetuo che mi faceva straniera ovunque e stanca com’ero mi bastò una carezza per farmi serva. Poi capii che ci voleva forza per farsi serva e capii pure che la vita è un’altra cosa dal sogno e dalla finzione, un poco agra, un poco triste, piena di bugie e inutili complicazioni somiglia tanto alla follia più che al sogno. Grattatele gli avevo risposto. Non potevo crederci.
L’avevo comprata all’ARD nel pomeriggio, la candeggina, e non avevo avuto neppure il tempo di usarla. Mi serviva per smacchiare la sua camicia bianca. No, no signora mia non è cattivo, solo che quando gli vengono i cinque minuti non riesce proprio a controllarsi. La prima volta non risposi però la sberla mi arrivò lo stesso. Poi a forza di baci quasi mi mangiò, ma continuò a guardarmi avvelenato e dopo a denti sporgenti mi allentò un’altra sberla. “Non lo fare mai più!” “Cosa?” Pensai, senza dirlo però. Avevo paura che mi arrivasse un altro schiaffo e già mi sentivo la faccia così gonfia. “Io sono fatto così non posso scoppiare dentro per te. Mettiti in testa che io ti amo, se non ti amavo me ne fregavo” e io risposi “pure io ti amo”.
Dopo avere imbevuto di candeggina lo strofinaccio me lo ha premuto sulla bocca e sul naso e poi mi ha mi ha guardato le unghie e solo quando mi sono diventate nere ha allentato la presa. Non sono ancora morta! Avrei voluto urlargli, ma non mi uscì niente dalla bocca. Grattatele mi era scappato. Finirò di morire dentro questo sacco nero. E la morte sarà una liberazione. Sono morta così tante volte che questa finalmente sarà l’ultima. Avevo scoperto l’infelicità e mi ero accorta che ci si può accomodare fino a morirne perchè morire in certi casi è una liberazione.
Questa storia è ispirata a fatti realmente accaduti mille e più volte. Questa storia è dedicata a quanti pensano che femminicidio sia solo una brutta parola non corrispondente a una realtà maschilista e misogina . Questa storia è un omaggio a tutte le donne remissive e obbedienti che alle loro figlie dicono: “ti maltratta perché ti ama”.
Svegliamoci: l’amore è fatto di gentilezza e non di sberle. Chi ti ama non ti picchia, ti accarezza.
Gabriella Grasso

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