La bocciatura della la riforma costituzionale del governo Renzi nel referendum del 4 dicembre, che è anche la bocciatura di un’intera fase politica, ha molte motivazioni diverse. Non ci sono solo i voti del Movimento 5Stelle, della Lega, di Forza Italia, di un parte non trascurabile del Pd e della sinistra radicale e delle frange antisistema, di quelli che vogliono difendere la Costituzione e rifiutano le forzature parlamentari. Ad influire sulla sconfitta di Renzi al referendum ci sono delle motivazioni che non hanno alcun legame con il merito della riforma costituzionale e neppure con l’appartenenza ad un’area politica. Che vada letto in questa chiave l’esito del referendum sono in molti a pensarlo. Tra questi ne segnalo alcuni. Mario Calabresi su “la Repubblica“ di lunedì scrive che il “No” al quesito referendario “era dettato dalla rabbia, dalla frustrazione e dal malcontento: voto di chi dice no alla disoccupazione, alla precarietà, all’incertezza e all’impoverimento, ma anche ai migranti, e alle politiche dell’accoglienza”. Anche Maurizio Molinari del quotidiano “La Stampa” la pensa allo stesso modo quando scrive che “a votare No sono state le famiglie del ceto medio disagiato, impoverito dalla crisi, senza speranza di prosperità e benessere per figli e nipoti. Sono sati i giovani senza lavoro, gli operai che si sentono minacciati dai migranti e gli stipendiati a cui le entrate non bastano più”. A chi gli chiedeva se il paese ha votato con la pancia, Massimo Cacciari ha risposto che la pancia non si tratta di pancia né di mente, ma semplicemente di una rivolta contro “un establishment che non riesce a risolvere i problemi concreti, il declino del ceto medio, l’assenza di mobilità sociale”. Quando penso al ruolo di massa di manovra avuto dal ceto medio frustrato nell’avvento al potere di movimenti e partiti reazionari, come il fascismo e il nazismo negli anni 20 e 30 del Novecento, temo che il peggio debba ancora avvenire. Il dato sul quale voglio soffermarmi è quel 70% di giovani under 35 che ha detto “No” alla riforma costituzionale di Renzi e della Boschi. Il dato è stato rilevato dall’Istituto Piepoli. Che tra i ragazzi di oggi ci sia quel “sentiment antisistema, frutto di un’insoddisfazione che continua ad essere molto violenta” di cui scriveva tanti anni fa a Giuliano da Empoli nel suo libro “Un grande futuro dietro di noi, i giovani e la crisi italiana”, l’hanno segnalato in molti prima ancora che si votasse il 4 dicembre per il referendum costituzionale.
La Banca d’Italia ha individuato nei giovani i soggetti più colpiti dalla crisi del 2008.L’Istat, nel suo rapporto annuale, scrive che un ragazzo su tre sotti i 34 anni è “sovraistruito”, cioè troppo qualificato rispetto al lavoro che svolge. Questo vuol dire che lui e la sua famiglia, ma anche la società in cui vivono, hanno investito tempo e denaro per una formazione che l’ha portato a fare lavori poco qualificati e pagati poco. Almalaurea ci ha fa confermato quello che molti di noi sospettavamo: sola la metà dei laureati ha trovato lavoro corrispondente agli studi fatti. L’Isfol, un ente pubblico del ministero del lavoro, ha ammesso onestamene che il progetto “Garanzia giovani” (il programma nato per aiutare i giovani con meno 30 anni di età a trovare un posto di lavoro) è stato un fallimento: un milione di iscritti al progetto, ma solo 32 mila hanno trovato un lavoro vero ed un contratto decente. Si stima che sino 7 milioni i giovani sotto i 35 anni che sono costretti a vivere ancora con i genitori perché non hanno un lavoro o, se l’hanno è un lavoro saltuario e malpagato. I giovani hanno la certezza che l’istruzione non è più la chiave di volta della mobilità e la consapevolezza che le loro condizioni di vita saranno peggiori di quelle dei loro padri.
Silvano Privitera