
Era il dicembre 2015, si era nell’aula magna della facoltà di Ingegneria di Palermo si doveva discutere dei “Mercanti di luce. Narrare la bellezza tra padri e figli”, organizzato dall’associazione Genitori e figli. Si ricorda? “Arrivo dall’aeroporto, entro in città e praticamente ci sono 400 persone su 200 senza casco e in tutti i posti ci sono tre file di macchine in mezzo alla strada e si passa con fatica. Questo significa che tu non hai capito cos’è il senso dell’esistenza con gli altri. Non lo sai, non lo conosci. E’ inutile che ti mascheri dietro al fatto che hai il mare più bello del mondo. Non basta, sei un’isola di merda”.
Bene. Passa un anno e Palermo viene nominata capitale della cultura 2018. Orlando esulta e la buona borghesia pure. Città dell’accoglienza e dell’integrazione, città piena di contrasti e irrisolti perennemente ossessionata dalla paura di cadere nello stereotipo certo, ma capace di emergere dalla topica filmica che la voleva odorosa di gelsomini insanguinati. Caro professore la Sicilia è così fatta: contraddittoria e magnifica, difficile da capire per gli insofferenti annoiati e autocelebrativi. Porti pazienza e torni che i palermitani non portano rancore.
Gabriella Grasso