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I limiti dell’obiezione di coscienza nelle Istituzioni pubbliche

I limiti dell’obiezione di coscienza nelle Istituzioni pubbliche

di Massimo Greco

Il grado di civiltà di un popolo si misura anche in relazione allo spazio che viene riconosciuto ai cosiddetti “obiettori di coscienza”. La locuzione “obiezione di coscienza” indica la possibilità che ha un cittadino di eccepire un fatto di coscienza (etica, morale, religiosa, politica, ecc…) per disattendere un precetto che grava sui consociati in forza di una specifica previsione contenuta nell’Ordinamento positivo.

Colui che si avvale di tale facoltà viene definito “obiettore di coscienza”. Diversi sono i campi in cui si manifesta l’obiezione di coscienza. Si pensi alle deroghe negoziate con alcune confessioni religiose che rendono immuni da responsabilità per i comportamenti illeciti prescritti dai canoni confessionali. Quanto alle questioni di coscienza non necessariamente legate ad uno precetto religioso, le soluzioni sono altre. Vi può essere la conversione dell’obbligo a cui si rifiuta l’obbedienza in un obbligo alternativo, com’è accaduto quando è stato consentito agli obiettori di prestare il servizio civile in luogo della leva militare ovvero, quando la conversione non è possibile, il trasferimento dell’obbligo gravante sull’obiettore in capo ad un altro soggetto, onde assicurare la continuità e la certezza della prestazione del servizio cui era sotteso il predetto obbligo: come nel caso della partecipazione alle tecniche di interruzione volontaria della gravidanza, nonché a quelle di fecondazione medicalmente assistita, ove è sì consentito di fare obiezione di coscienza, ma con la garanzia che le strutture ospedaliere assicurino la continuità del servizio, attraverso la necessaria presenza di personale non obiettore.

L’obiezione di coscienza subisce una decisa limitazione allorquando viene sollevata da quei cittadini che, oltre ad essere chiamati alla fedeltà alla Repubblica e al rispetto di leggi e Costituzione (art. 54 comma 1 Cost.), risultano affidatari di funzioni pubbliche che devono adempiere con disciplina ed onore e prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge (art. 54, comma 2, Cost). In questi casi, l’obiezione di coscienza può essere eccepita solo in via del tutto eccezionale e, come tale, solo in forza di una specifica previsione di legge che, all’occorrenza, va interpretata restrittivamente. Tipico è il caso della legge n. 194/1978, per la quale la giurisprudenza ha riconosciuto l’esonero dal prendere parte alle procedure connesse agli interventi per l’interruzione di gravidanza al solo personale sanitario – la cui obiezione di coscienza è stata preventivamente dichiarata – impegnato specificamente e necessariamente a determinare l’interruzione di gravidanza e non anche a quello impegnato (spesso nei Consultori familiari) nella fase antecedente e conseguente all’intervento.

Il cittadino che esercita funzioni pubbliche, quindi, si spoglia delle sue convinzioni etiche, morali, politiche e religiose, per veicolare all’esterno solamente la volontà dell’Istituzione pubblica che rappresenta o per la quale presta servizio. In tale contesto, peraltro, non appare ultroneo evidenziare a chi avanza – anche in tali contesti pubblicistici – motivi di coscienza che solo gli individui hanno una coscienza, mentre la coscienza delle Istituzioni pubbliche è costituita dalle sole leggi che le regolano (principio di legalità).

 

 

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